L’obbligo di adottare misure per la protezione dai rischi interferenziali
È una rassegna delle disposizioni di cui all’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008 quella fatta dalla Corte di Cassazione in questa sentenza e in particolare di quella riguardante la redazione del documento di valutazione dei rischi interferenziali (Duvri) che il legislatore ha posto a carico del committente datore di lavoro che affida in appalto a imprese o lavoratori autonomi lavori, servizi o forniture da svolgere nell’ambito della propria azienda o del proprio ciclo produttivo, Duvri che serve ad assicurare una valutazione globale e univoca di tutti i rischi e che deve conseguire comunque il risultato di una cooperazione e di un coordinamento tra tutti i datori di lavoro i quali però non sono comunque esonerati dal rispetto dell’obbligo di prevederli e di proteggersi dagli stessi.
Il caso di cui a questa sentenza aveva riguardato l’infortunio di un lavoratore dipendente di una ditta appaltatrice a seguito del quale erano stati condannati nei due primi gradi di giudizio i rappresentanti legali sia dell’impresa committente che della ditta appaltatrice, accusati entrambi di non avere preso in considerazione il rischio che aveva portato all’evento infortunistico.
Avendo ricorso per cassazione la rappresentante legale della società committente, che nello stesso aveva sostenuto di avere nominato un delegato alla sicurezza cui competevano le mansioni di controllo sulle lavorazioni comprese quelle appaltate e che pertanto era da ritenere responsabile per quanto accaduto, la Corte di Cassazione, ha dichiarato inammissibile il ricorso, avendo ritenuta logica e coerente la decisione assunta dai giudici di merito, e ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento dovuto a favore della Cassa delle Ammende.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni
La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha riconosciuto le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante e ha rideterminato la pena inflitta al Presidente del Consiglio di amministrazione di una società in due mesi di reclusione, confermandola nel resto. Il capo di imputazione aveva riguardato in particolare l'art. 590 commi 1, 2 e 3 e 113 del codice penale perché, per colpa generica e specifica e in cooperazione con l’amministratore unico di un’altra società (nei confronti del quale si è proceduto separatamente), in violazione delle prescrizioni di sicurezza sul lavoro di cui agli artt. 18 comma 1 lett. c), e), f), 28 comma 2 lett. a) e b), 36 comma 1 lett. a), comma 2 lett. a) e comma 4, e art. 37 commi 1, 3, 4 e 5 del D. Lgs. n. 81/2008, aveva adottato un Documento di Valutazione dei Rischi che non conteneva alcuna indicazione relativa ai pericoli connessi alle operazioni di immagazzinamento e stoccaggio dei prefabbricati, e perché non aveva altresì fornito a un proprio dipendente, che aveva stipulato un contratto di appalto per la lavorazione delle strutture prefabbricate comprese le attività di saldatura e assemblaggio stampi, adeguate informazioni e idonea formazione sui rischi per la salute e la sicurezza del lavoro e in particolare su quelli specifici derivanti dalle mansioni allo stesso demandate.
Così facendo quindi, secondo i giudici di merito, non aveva impedito che il lavoratore, dopo avere verniciato all'interno dei locali della società committente un pannello prefabbricato per parete di circa 5 metri di lunghezza e 1,35 di larghezza e dopo avere tinteggiato tutta la superficie, restando esclusa solo la parte coperta da una verga di ferro che fungeva da fermo del pannello, rimanesse, una volta rimossa tale verga, schiacciato a seguito del ribaltamento del pannello subendo così lo schiacciamento del torace e del bacino con una malattia conseguente per un tempo superiore ai quaranta giorni e riportando altresì una invalidità permanete del 30% che gli aveva impedito di trovare altra occupazione compatibile con le sue condizioni fisiche.
La Corte di Appello nel confermare l'affermazione di responsabilità penale, aveva rilevato la inadeguatezza del sistema di sicurezza che avrebbe dovuto prevenire ed evitare oscillazioni e cadute dei pannelli e in specie evidenziava che entrambi i documenti di valutazione dei rischi elaborati dalle aziende coinvolte non avevano previsto l'incastro e il fermo alla base del pannello durante le operazioni di verniciatura né alcuna valutazione dei rischi interferenziali generati dalla presenza del personale adibito alle operazioni di verniciatura. La Corte territoriale aveva rilevato altresì che per le operazioni di rifinitura era stato previsto l’impiego di un carroponte e che le aziende in questione avevano corretto i DVR solo dopo l’infortunio prevedendo alla base del pannello l'incastro cosiddetto femmina che doveva servire a mantenere in equilibrio il pannello insieme alle verghe laterali.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Presidente del Consiglio di amministrazione della società committente, a mezzo del difensore di fiducia. La stessa difesa ha sostenuto che la società committente aveva nominato un delegato alla sicurezza cui competevano le mansioni di controllo di esecuzione dell’attività di verniciatura e che le operazioni dovevano comunque essere svolte mediante l’utilizzo di un carroponte e si è lamentata altresì per il fatto che la Corte territoriale non aveva tenuto conto dell’esistenza di una delega di funzioni. L’accaduto quindi, secondo la difesa, non aveva avuto nulla a che fare con le previsioni del DVR.
Il Procuratore Generale, da parte sua, ha presentato una memoria scritta nella quale ha concluso chiedendo dichiararsi la inammissibilità del ricorso. Lo stesso ha messo in evidenza che la responsabilità dell'imputata, nella sua qualità di legale rappresentante della società appaltante, era dovuta alla totale assenza di qualsivoglia disposizione sia organizzativa, che di prevenzione di possibili infortuni rispetto alle lavorazioni che venivano completamente riferite alla stessa committente, per quanto concerne lo stoccaggio dei pannelli; la fase di verniciatura inoltre si inseriva in una catena produttiva ed era la sola attività conferita alla appaltatrice, senza una previsione specifica del rischio di caduta degli stessi e senza l'indicazione di una procedura per operare in sicurezza.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile da parte della Corte di Cassazione in quanto nello stesso erano state sostanzialmente ripercorse le censure già proposte in appello, senza confrontarsi adeguatamente con le risposte e le argomentazioni della Corte territoriale, mirando di fatto all'accreditamento di una diversa ricostruzione dei fatti il che esula dai poteri della Corte di Cassazione.
Quest’ultima, per quanto riguarda la dinamica dell’accaduto ha sottolineato che la Corte territoriale aveva valorizzata sul punto la testimonianza del teste Ufficiale di polizia giudiziaria che aveva dichiarato che l'incidente era avvenuto per un difetto dell’incastro alla base del pannello e che, una volta rimossi i fermi laterali, lo stesso oscillando si era ribaltato schiacciando il lavoratore e aveva dichiarato altresì che l’utilizzo del carroponte avrebbe certamente garantita una maggiore stabilità del pannello. La stessa Corte territoriale ha affermato in coerenza che, in capo alla ditta committente e quindi in capo all'imputata nella sua qualità, era mancata una attività organizzativa di prevenzione del rischio concreto rispetto alle operazioni da eseguire nei propri locali di lavoro e che costituivano l'oggetto della propria linea produttiva.
In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha ribadito a tal punto la suprema Corte, qualora in uno stesso luogo operino più lavoratori, dipendenti da diversi datori di lavoro, ciascuno di questi, anche se subappaltatori, è tenuto all'elaborazione del documento di valutazione dei rischi (DVR) ai sensi degli artt. 28 e 29 de D. Lgs. n. 81/2008, mentre il solo datore di lavoro committente è tenuto altresì alla redazione del documento di valutazione dei rischi da interferenze (DUVRI), previsto dall'art. 26, comma 3, dello stesso D. Lgs. e ha citato in merito come precedente la sentenza della III Sezione penale n. 5907 del 11/01/2023, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “La distinzione fra DVR e DUVRI e la mancata correlazione fra imputazione e sentenza”.
I riferimenti normativi richiamati e la pertinente interpretazione giurisprudenziale, ha sottolineato la suprema Corte, inducono a ritenere che ogni datore di lavoro, pur se subappaltatore, ha l'obbligo di osservare le disposizioni sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e, quindi, deve adottare idonee misure di prevenzione e protezione contro "tutti" i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa, anche quando questi siano dovuti alle "interferenze" con l'attività di altre imprese, ed anche quando l'organizzazione del luogo di lavoro resta sottoposta ai poteri direttivi dell'appaltatore o del committente. Ogni datore di lavoro, infatti, ha così proseguito, è tenuto, a norma dell'art. 17 del D. Lgs. n. 81 del 2008, ad effettuare "la valutazione di tutti i rischi", e, a norma dell'art. 28 comma 2, ad apprestare le misure di prevenzione e di protezione che si rendono necessarie in conseguenza della valutazione di tali rischi. Né l'obbligo per ciascun datore di lavoro di adottare idonee misure di prevenzione e protezione contro "tutti" i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa può essere escluso con riferimento ai rischi da "interferenze" anche se il dovere di elaborare un unitario documento di valutazione di tali rischi, il DUVRI (Documento Unico per la Valutazione dei Rischi da Interferenze), grava esclusivamente sul datore di lavoro committente.
L'art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008 invero, ha ricordato la Sezione IV, fa una distinzione tra gli obblighi di coordinamento e di attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro, pur se derivanti dalle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva, che a norma del comma 2 gravano su tutti i datori di lavoro anche se subappaltatori, e l’obbligo invece di elaborare il documento di valutazione dei rischi da interferenza, che, a norma del comma 3, incombe solo sul datore di lavoro-committente. In altri termini, sulla base della disciplina desumibile dal citato art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008 e dell'intero sistema del testo normativo, il datore di lavoro non committente, pur non avendo l'onere di redigere il documento di valutazione dei rischi da interferenza, ha però il dovere di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dei rischi, anche quando dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva.
Questa soluzione, del resto, secondo la suprema Corte, appare coerente con l'obiettivo di incrementare la tutela contro i rischi cui sono esposti i lavoratori. La redazione di un unico documento di valutazione dei rischi da interferenza, infatti, risulta prevista in funzione di assicurare una valutazione unitaria e globale di questi, al fine di una più efficace tutela contro i fattori di pericolo, e non certo per esonerare i datori di lavoro diversi dal committente dagli obblighi di protezione e prevenzione: basta considerare infatti che il DUVRI, come si evince dal combinato disposto dei commi 2 e 3 dell'art. 26 del D. Lgs. n. 81 del 2008, costituisce il risultato di un'attività di cooperazione e coordinamento tra tutti i datori di lavoro coinvolti. L’obbligo inoltre per ciascun datore di lavoro di adottare idonee misure di prevenzione e protezione contro "tutti" i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa non trova un limite quando l'attività dei lavoratori di una ditta affidataria di un appalto o di un subappalto si svolge in un luogo nella disponibilità giuridica di altri, o comunque sottoposto ai poteri direttivi di altri.
A tal punto la Corte di Cassazione ha inteso ricordare la definizione dei luoghi di lavoro. Per "luoghi di lavoro" infatti, ha sostenuto, debbono intendersi, a norma dell'art. 62 comma 1 del D. Lgs. n. 81 del 2008, anche i luoghi esterni all'azienda o comunque non sottoposti alla giuridica disponibilità del datore di lavoro, quale è stata ritenuta ad esempio anche "una strada pubblica ed aperta al pubblico transito, esterna al cantiere", purché in essi il lavoratore debba o possa recarsi per eseguire incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività. Le disposizioni di cui all'art. 26, comma 2, lett. a) e b), del citato D. Lgs. prevedono anche per i subappaltatori l'obbligo di compiere interventi di protezione e prevenzione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto, quantunque dovuti alle interferenze, pure in caso di concorrente presenza di altre imprese, e, quindi, pur se tra queste vi sia quella del datore di lavoro committente.
In merito poi alla figura del committente la suprema Corte ha ricordato che questi, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, è il soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta e finanzia un'opera, ed è titolare "ex lege" di una posizione di garanzia che integra ed interagisce con quella di altre figure di garanti legali (datori di lavoro, dirigenti, preposti etc.). Lo stesso può designare un responsabile dei lavori, con un incarico formalmente rilasciato accompagnato dal conferimento di poteri decisori, gestionali e di spesa, che gli consenta di essere esonerato dalle responsabilità, sia pure entro i limiti dell'incarico medesimo, fermo restando la sua piena responsabilità per la redazione del piano di sicurezza, del fascicolo di protezione dai rischi e per la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento del suo incarico e sul controllo delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e ha citato in merito come precedente quanto già indicato da varie sentenze della stessa Corte di Cassazione fra le quali la sentenza n. 14012 del 12/02/2015, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “Sul ruolo e sulle responsabilità del committente nei cantieri".
Secondo la Corte di Cassazione in conclusione la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi giuridici sopra richiamati in quanto l’imputata, benché tenuta, nella qualità di datore di lavoro committente, al rispetto di una serie di regole cautelari specifiche inerenti la propria attività di produzione di prefabbricati e alla correlata pericolosità di determinate operazioni afferenti la rifinitura, aveva omesso di prevedere idonee misure di sicurezza volte a prevenire il ribaltamento delle pareti di notevoli dimensioni e garantire la stabilità delle stesse. La Corte suprema ha quindi dichiarata la inammissibilità del ricorso e condannata la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 3000 euro in favore della cassa delle ammende.
Gerardo Porreca
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