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L’obbligo del datore di lavoro di accertare la sicurezza dei macchinari

L’obbligo del datore di lavoro di accertare la sicurezza dei macchinari
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

18/07/2023

Il datore di lavoro è tenuto ad accertare la rispondenza alla legge dei macchinari utilizzati né la presenza sugli stessi della marcatura "CE" o l’affidamento riposto sulla notorietà del costruttore valgono ad esonerarlo dalle sue responsabilità.

  

È un principio noto da tempo quello alla luce del quale la Corte di Cassazione in questa sentenza ha rigettato il ricorso di un datore di lavoro condannato nei due primi gradi di giudizio per l’infortunio accaduto a un dipendente della propria azienda durante l’utilizzo di una pressa in quanto colpito a una mano per la caduta di un convogliatore sganciatosi dai relativi fermi. Secondo tale principio il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, né la presenza sul macchinario della marcatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgono ad esonerarlo dalle sue responsabilità.

 

La responsabilità del costruttore, infatti, nel caso in cui l'evento dannoso sia stato provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude quella del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la macchina stessa e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori. A detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione della stessa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza.

 

Nella sentenza in commento la Corte suprema ha ripreso anche il concetto della “delega implicita” ribadendo che non è motivo di esonero di responsabilità da parte del datore di lavoro la sussistenza di tale delega desunta dalle dimensioni della struttura aziendale richiedendosi in tal caso non solo che si sia in presenza di un'organizzazione altamente complessa in senso proprio, ma anche che esista una comprovata ed appropriata strutturazione della gerarchia delle responsabilità al livello delle posizioni di vertice e di quelle esecutive, requisiti questi che nel caso in esame non sono stati riscontrati. La delega implicita in ogni caso, ha precisato ancora la Corte di Cassazione, non può comunque esonerare il datore di lavoro da responsabilità per ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione delle lavorazioni che attingono direttamente la sua sfera di responsabilità.


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Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le sue motivazioni.

La Corte di Appello ha confermato la pronuncia del Tribunale con cui il legale rappresentante e datore di lavoro di una società, ritenuto responsabile del reato di lesioni colpose commesse con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, era stato condannato alla pena di 600 euro di multa oltre al pagamento delle spese di giudizio. Allo stesso era stato contestato di avere cagionato delle lesioni personali gravi a un operaio dipendente consistite nella ferita del primo dito della mano destra con interessamento parziale del muscolo adduttore breve del pollice da cui era derivata una malattia e un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a 40 giorni.

 

Il lavoratore si era ferito, durante l'utilizzo di una pressa per essere stato colpito dal "convogliatore" che si era sganciato dai relativi fermi cadendo su uno stampo sottostante che il lavoratore stava proprio in quel momento spingendo. I giudici del Tribunale e della Corte di Appello, nelle loro sentenze conformi, avevano ritenuta accertata la responsabilità del datore di lavoro, in relazione al fatto come contestato, individuando a suo carico profili di colpa generica e colpa specifica, consistita quest'ultima nella violazione dell’art. 71, comma 3 del D. Lgs. n. 81 del 2008. Dalla ricostruzione emersa durante l’istruttoria era risultato, infatti, che il ricorrente aveva messo a disposizione dell'infortunato una pressa non idonea ai fini della sicurezza dei lavoratori, in quanto il meccanismo di aggancio e sollevamento della parte superiore denominata "convogliatore" (parallelepipedo metallico vuoto che viene sistemato sopra lo stampo per facilitare l'immissione di una miscela nell'apparecchio) non era stato efficacemente assicurato in quanto tre fermi su quattro non erano dotati di un meccanismo di blocco tale da evitare che il convogliatore stesso potesse ruotare e sganciarsi.

 

Avverso la sentenza della Corte di Appello l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore, articolandolo con alcuni motivi di doglianza. La difesa ha innanzitutto evidenziato che nel processo di appello era stato affermato che non poteva ritenersi dimostrato che, anche qualora il meccanismo di blocco fosse stato installato su tutti i ganci, il sinistro non si sarebbe verificato e ciò perché il bloccaggio avveniva solo quando i ganci di chiusura fossero stati effettivamente attivati. Nel processo era stato inoltre provato che almeno uno dei fermi non era stato azionato in quanto una foto scattata dopo il sinistro, senza che la macchina fosse stata ancora toccata, rappresentava un gancio in posizione di totale apertura.

 

Con riferimento poi alla osservazione fatta dai giudici di merito secondo cui il ricorrente, benché avesse individuata una criticità nel macchinario consistente nella possibilità che i ganci privi di bloccaggio potessero non funzionare correttamente, non avesse comunque provveduto a munire di un sistema di blocco i punti di aggancio, ad eccezione di uno, in applicazione dell’art. 2087 del codice civile che richiede l’adozione da parte del datore di lavoro di tutte le misure che, secondo l'esperienza  e  la tecnica,  sono  necessarie  a  tutelare  l'integrità fisica dei prestatori di lavoro, lo stesso ha fatto presente che il macchinario aveva ricevuto tuttavia la marcatura CE anche in assenza dei dispositivi di blocco e che inoltre prima di allora non si era mai verificato alcun incidente.

 

La Corte di Appello inoltre, secondo il ricorrente, non aveva considerata la presenza in azienda di preposti sui quali gravava l'obbligo di verificare la presenza dei quattro dispositivi di bloccaggio dei ganci, verifica che non poteva essere ragionevolmente richiesta all'amministratore delegato di una società di grandi dimensioni con circa 250 dipendenti. Nel processo di appello era stato evidenziato che l'installazione dei sistemi di bloccaggio doveva essere disposta dalla dirigenza ma l’omissione, secondo il ricorrente. non era da ascrivere all'amministratore delegato ma a chi avrebbe dovuto vigilare sulla completa attuazione di quanto disposto dalla dirigenza.

 

Con riferimento poi al comportamento del lavoratore la difesa ha rilevato che, sebbene la giurisprudenza di legittimità sia consolidata nel ritenere che il datore di lavoro possa essere responsabile anche in presenza di comportamenti imprudenti o negligenti del lavoratore, è anche vero che, quando la negligenza consista nell'omessa effettuazione delle manovre base previste dalle istruzioni impartite, imputare al datore di lavoro anche le conseguenze di tali condotte viola il principio collaborativo vigente nella normativa antinfortunistica, passata da un modello iperprotettivo, interamente incentrato sull'obbligo di vigilanza assoluta da parte del datore di lavoro, ad un modello collaborativo.

 

Nel caso in esame il lavoratore infortunatosi, esperto e da tempo addetto alla macchina in questione, non aveva compiuto un'operazione basilare attinente al suo usuale compito, circostanza assolutamente imprevedibile, tanto che il sinistro occorso, come confermato nel corso dell'istruttoria, mai si era verificato prima nella storia dell'azienda. I giudici si erano limitati a sostenere che, anche a voler ritenere la negligenza o l'imprudenza del lavoratore, non si sarebbe trattato di condotta abnorme in quanto pienamente rientrante nelle mansioni affidategli dal datore di lavoro e sicuramente non eccentrica o esorbitante. Gli stessi avevano trascurato di considerare che, per pervenire all'affermazione di responsabilità, è comunque necessario dimostrare anche la prevedibilità della condotta e dell'errore del dipendente.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso essendo i motivi di doglianza in parte infondati e in parte inammissibili. Secondo la stessa, la Corte territoriale aveva fornito una soddisfacente e logica motivazione in ordine alle cause dell'infortunio patito dalla persona offesa, alla violazione delle norme antinfortunistiche collegate alle modalità accertate dell'incidente e alla riferibilità di tali violazione alla persona del ricorrente. La dinamica e la causa dell'infortunio erano state congruamente accertate in motivazione attraverso un percorso logico non censurabile in sede di legittimità, avendo la Corte di merito richiamato e adeguatamente valutato le emergenze probatorie illustrate in sentenza. Era stato ritenuto in sentenza, con argomentare logico, che l'infortunio si fosse verificato in conseguenza del fatto che il macchinario non fosse munito di un sistema di bloccaggio delle staffe o ganci che reggevano il "convogliatore". Secondo la prospettazione difensiva il lavoratore non aveva chiuso tutte le staffe, la qualcosa aveva determinato la caduta del convogliatore, mentre la Corte di merito aveva invece esclusa tale ipotesi sulla base delle dichiarazioni rilasciate dal lavoratore e sulla base di argomentazioni che non avevano offerto il fianco a critiche sotto il profilo logico.

 

Il motivo di ricorso poi basato sul fatto che il macchinario fosse dotato del marchio CE, è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione. Per consolidato orientamento della stessa Corte infatti “il  datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità ‘CE’ o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità". In tema di infortuni sul lavoro, ha aggiunto la Corte suprema, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui un evento dannoso sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza.

 

Anche il motivo di ricorso fondato sull’esistenza di una delega implicita in materia di salute e sicurezza sul lavoro è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione. In materia di violazione della normativa antinfortunistica, ha sostenuto infatti la suprema Corte, la sussistenza di una delega di funzioni idonea a mandare esente da responsabilità il datore di lavoro può essere, in effetti, desunta dalle dimensioni della struttura aziendale, ma, a tal fine, si richiede, non solo che si sia in presenza di un'organizzazione altamente complessa in senso proprio, ma anche che esista una comprovata ed appropriata strutturazione della gerarchia delle responsabilità al livello delle posizioni di vertice e di quelle esecutive; a ciò dovendosi comunque aggiungere che tale delega implicita non può esonerare da responsabilità per ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione delle lavorazioni che attingono direttamente la sfera di responsabilità dei datore di lavoro.

 

Nel caso in esame la difesa aveva fatto riferimento alla presenza di preposti e dirigenti dell'azienda che avrebbero dovuto intervenire per porre rimedio alla criticità. Si è trattato, tuttavia, di riferimenti generici, inidonei a rivelare la esistenza, nell'ambito dell'azienda, di una struttura organizzativa nella quale era demandata a specifici soggetti la predisposizione delle misure di prevenzione. Dal canto suo la Corte di merito aveva puntualizzato che, oltre a non risultare alcuna specifica delega in materia di sicurezza, il datore di lavoro era, sulla base delle risultanze istruttorie, molto presente in azienda e, pertanto, in grado di constatare aspetti di criticità nel funzionamento dei macchinari ivi presenti.

 

Al rigetto del ricorso è quindi conseguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 13031 del 29 marzo 2023 (u.p. 26 gennaio 2023) - Pres. Piccialli – Est. Bruno – PM Tampieri. - Il datore di lavoro è tenuto ad accertare la rispondenza alla legge dei macchinari utilizzati né la presenza sugli stessi della marcatura "ce" o l’affidamento riposto sulla notorietà del costruttore valgono ad esonerarlo dalle sue responsabilità.

 

 

 




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Rispondi Autore: Mazzeranghi - likes: 0
18/07/2023 (09:06:36)
Giusto citare l'art. 71 e non l'allegato V come riferimento legale.
Se ho capito bene si trattava di un rischio non occulto. Quindi più che condivisibe la condanna!

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