Il tempo di cui l’RSPP deve disporre per poter svolgere i suoi compiti
Spesso accade che le norme non sanzionate (o quantomeno non sanzionate in maniera diretta) non vengano tenute nella dovuta considerazione, nonostante contengano quelli che a tutti gli effetti possono essere considerati obblighi giuridici.
Credo che questo valga anche per la disposizione contenuta nel Testo Unico che prevede che “gli addetti e i responsabili dei servizi, interni o esterni, di cui al comma 1, […] devono essere in numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell’azienda e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati” (art.31 c.2 primo periodo D.Lgs.81/08).
Ciò attiene al tema della costituzione del servizio di prevenzione e protezione da parte del datore di lavoro, il quale ultimo, ai sensi del comma precedente a quello su riportato, “organizza il servizio di prevenzione e protezione prioritariamente all’interno della azienda o della unità produttiva, o incarica persone o servizi esterni […] secondo le regole di cui al presente articolo” (art.31 c.1 D.Lgs.81/08).
E tra le “regole di cui al presente articolo”, cui deve attenersi il datore di lavoro nell’organizzazione del servizio di prevenzione e protezione, vi è anche quella relativa al tempo “adeguato” di cui i componenti del servizio stesso devono disporre.
Il parametro di riferimento per la valutazione della congruità di tale tempo, dunque, è rappresentato - secondo il dettato legislativo - dallo svolgimento dei compiti elencati dall’art.33 D.Lgs.81/08, quali compiti assegnati all’ RSPP e all’ASPP direttamente dalla legge.
Di fatto, va detto che eventuali ulteriori incarichi - e, quindi, conseguentemente, compiti - assegnati all’RSPP o all’ASPP dal datore di lavoro possono sottrare tempo allo svolgimento di quelli attribuiti ex lege e quindi vanno soppesati secondo tale prospettiva.
Ciò in quanto i compiti attribuiti dall’art.33 del Testo Unico all’RSPP e all’ASPP sono, a differenza di altre incombenze che il datore di lavoro può decidere di assegnare in azienda, previsti da una norma primaria di diritto penale speciale - quale è il D.Lgs.81/08 - e dunque inderogabili, oltre che finalizzati alla tutela di un bene di rango costituzionale quale è quello della salute dei lavoratori (art.32 Cost.).
Dunque, nel caso in cui il datore di lavoro intenda affidare ad un RSPP o ASPP ulteriori incarichi aziendali in aggiunta a quello di componente del servizio di prevenzione o addirittura conferirgli una delega di funzioni, così come, ancora, nel caso in cui intenda nominare quale RSPP o ASPP un soggetto che ricopra già altri incarichi in azienda, dovrà domandarsi: alla luce dei compiti assegnati ai componenti del SPP dal D.Lgs.81/08, quegli avrà/avrebbe un tempo sufficiente e, per dirla con l’art.31, “adeguato” per svolgere i compiti previsti in maniera inderogabile dall’art.33 del Testo Unico?
A tale valutazione il datore di lavoro dovrà procedere tenendo anche conto del fatto che i compiti dell’RSPP e dell’ASPP previsti dall’art.33 del D.Lgs.81/08 sono funzionali a permettere al datore di lavoro di dare adempimento al suo obbligo generale contenuto nell’articolo 2087 del codice civile di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori adottando tutte le misure necessarie secondo particolarità del lavoro, esperienza e tecnica e, quindi, di “uniformarsi alla migliore scienza ed esperienza del momento storico in quello specifico settore” (Cassazione Penale, Sez. IV, 16 giugno 1995 n.6944).
In sostanza, nel ponderare se l’RSPP o l’ASPP disponga di un tempo congruo (anche nel caso di assegnazione a quello di ulteriori incarichi), il datore di lavoro dovrà tenere conto dell’“importanza del ruolo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in quanto il datore di lavoro, normalmente a digiuno […] di conoscenze tecniche, è proprio concretamente avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che ottempera all’obbligo giuridico di analizzare e di individuare, secondo l’esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno del luogo di lavoro” (Cassazione Penale, Sez.IV, 13 maggio 2016 n.20051).
Ma la migliore scienza ed esperienza, dal punto di vista concreto, non sono elementi di scontata e banale acquisizione: esse vanno ricercate, reperite, analizzate, valutate e selezionate.
E’ evidente quindi che l’RSPP e l’ASPP devono disporre del tempo materiale da un lato per venire a conoscere e dall’altro per approfondire tale “esperienza” e “migliore evoluzione della scienza tecnica”, incarnata principalmente (ma non solo) dalle linee guida di salute e sicurezza, dalle buone prassi, dalle norme tecniche, dagli studi scientifici, dalle innovazioni tecnologiche e, più complessivamente, da tutto il patrimonio tecnico-scientifico consolidato quale rappresentato dalla relativa letteratura e nei dibattiti del settore.
E’ la giurisprudenza stessa infatti a segnalarci che il DVR, alla cui elaborazione l’RSPP collabora ai sensi dell’art.29 c.1 del D.Lgs.81/08, “costituisce un esempio scolastico di “studio di ricerca, di progettazione e pianificazione”, dovendo contenere tutte le indicazioni necessarie all’adozione delle misure di sicurezza in un ambito di prescrizioni di massima; l’esistenza di una fitta rete di normative, spesso di difficile comprensione, comporta un’attività ampiamente discrezionale di studio e di adattamento della previsione astratta alla realtà concreta dell’unità operativa cui il RSPP è addetto” (Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 marzo 2019 n.7172).
La complessità insita in tale attività di studio e ricerca, che non è sfuggita alla Suprema Corte, richiede un tempo di applicazione adeguato.
Allo stesso modo, l’RSPP e l’ASPP dovranno disporre del tempo necessario per l’aggiornamento costante del documento di valutazione dei rischi ai sensi dell’art.29 c.3 del D.Lgs.81/08, sulla base dello stringente presupposto - sottolineato dalla Cassazione - secondo cui “il DVR è uno strumento duttile, suscettibile di essere in ogni momento aggiornato per essere costantemente al passo con le esigenze di prevenzione che si ricavano dalla pratica giornaliera dell’attività lavorativa” ( Cassazione Penale, Sez.IV, 30 agosto 2018 n.39283).
E’ chiaro dunque a questo punto che il responsabile e l’addetto al servizio di prevenzione e protezione devono avere un tempo congruo a disposizione per poter svolgere tutti i compiti elencati dall’art.33 del D.Lgs.81/08, quali ad esempio quello di individuare i fattori di rischio, valutare i rischi, individuare le misure, elaborare le procedure di sicurezza, proporre i programmi di formazione e informazione etc.
Ma, ragionando sul tempo materiale di cui l’RSPP e l’ASPP devono concretamente disporre, non ci si può fermare solo ad una lettura di tale norma - e quindi dei compiti elencati - senza considerare quelli che a tutti gli effetti rappresentano degli antecedenti necessari e ineludibili per un pieno e diligente svolgimento di tali compiti.
Mi riferisco in particolare all’ampio (e cruciale sotto il profilo delle responsabilità) tema delle informazioni e dei sopralluoghi, sempre più all’attenzione della giurisprudenza di legittimità.
L’art.33 c.1 lett.a) del D.Lgs.81/08 prevede infatti che “il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali provvede: a) all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale”.
In attuazione di tale norma, fermo restando che il datore di lavoro ha l’obbligo di comunicare all’RSPP e al medico competente le informazioni di cui all’art.18 c.2 D.Lgs.81/08, la Cassazione ribadisce costantemente il fatto che “non v’è dubbio che [il datore di lavoro, n.d.r.], quale dominus dell’organizzazione aziendale, sia depositario di tutte le informazioni influenti sulla valutazione dei rischi; e che mentre talune devono essere necessariamente veicolate al consulente [RSPP, n.d.r.] perché questi ne possa avere conoscenza, altre sono agevolmente reperibili da questo solo che il rapporto di consulenza abbia una sua dimensione reale” ( Cassazione Penale, Sez.IV, 25 giugno 2015 n.26993).
In termini ancora più stringenti, poi, secondo la Corte “non è il datore di lavoro a dover informare il R.S.P.P. delle modalità e degli aspetti logistici e organizzativi di ogni momento del processo lavorativo e dei pericoli connessi ma è al contrario quest’ultimo a dover attentamente valutare tali elementi, attraverso una costante opera di controllo e verifica delle condizioni di lavoro e di eventuali mutamenti, anche di fatto, dell’organizzazione aziendale”.
Secondo la Cassazione, qualora si ragionasse “diversamente, peraltro, è evidente che, come detto, la previsione di una siffatta figura di collaboratore non avrebbe significato alcuno dal momento che, postulandosi un onere informativo in capo allo stesso datore di lavoro, si presuppone per ciò stesso, contrariamente al vero, che lo stesso sia sempre e comunque in grado di procurarsi ex se le informazioni necessarie al fine di un compiuto espletamento dei doveri prevenzionali su di lui gravanti (si pensi all’esistenza di rischi la cui conoscenza derivi da competenze specialistiche)” ( Cassazione Penale, Sez.IV, 10 febbraio 2015 n.5983).
Concludiamo questa analisi con una riflessione sul tempo che l’RSPP esterno deve avere a disposizione per poter svolgere i propri compiti.
Come abbiamo visto all’inizio, la norma di riferimento in questa materia fa riferimento anche agli RSPP esterni, prevedendo che “gli addetti e i responsabili dei servizi, interni o esterni, […] devono essere in numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell’azienda e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati” (art.31 c.2 primo periodo D.Lgs.81/08).
Dal momento che i compiti assegnati ex lege all’RSPP esterno sono gli stessi attribuiti a quello interno (art.33 D.Lgs.81/08), le valutazioni che il datore di lavoro sarà chiamato a fare, in questo caso, non sono molto dissimili da quelle che abbiamo esaminato sopra, pur passando in questa ipotesi la gestione della questione anche attraverso gli impegni contrattuali con il professionista.
Mi limito in questo caso ad aggiungere un elemento: è anche nell’interesse dell’RSPP esterno stesso valutare, all’atto dell’assunzione dell’incarico professionale, se il tempo che potrà dedicare a tale impegno sarà adeguato alla luce di tutto quanto detto sopra (rilevanza del ruolo ai fini della tutela di un bene di rango costituzionale, elenco dei compiti di cui all’art.33 D.Lgs.81/08, applicazione in concreto del principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile attraverso il reperimento delle fonti di riferimento, acquisizione delle informazioni ed effettuazione dei sopralluoghi, etc.).
Un esempio per tutti in tal senso è fornito da una sentenza in cui la Cassazione ha confermato la responsabilità per omicidio colposo aggravato del presidente del C.d.A di una S.p.A., del direttore tecnico e responsabile della produzione e dell’RSPP sul quale ultimo incombeva “l’obbligo di valutare con diligenza e prudenza i processi produttivi, individuando i possibili fattori di rischio e segnalandoli al datore di lavoro per l’adozione degli opportuni provvedimenti.”
Nel caso specifico, “egli avrebbe omesso di segnalare al datore di lavoro il grave rischio connesso all’esistenza dei depositi di materiale infiammabile ed alle procedure di travaso”.
A parere della Corte, “al B.E., quale professionista esperto, prima consulente e poi RSPP dell’azienda A. (specializzata nella produzione di antine in legno per arredamenti, dotata di un reparto di tinteggiatura ove normalmente vengono utilizzati smalti, vernici e diluenti), non poteva sfuggire la valutazione del “dove” e “come” venissero depositati, spostati, travasati, usati e poi smaltiti i detti materiali liquidi altamente infiammabili; né esorbitava dai suoi obblighi la ponderazione della collocazione e dell’utilizzo delle cisterne presenti nel piazzale dell’azienda (di dimensioni tali da non poter essere “non notate”).”
“Eppure” - ha precisato la Cassazione - “di tutto ciò non v’è traccia nei documenti di valutazione dei rischi redatti dal ricorrente” e “nel caso in esame, oltretutto, l’oggetto della mancata valutazione non era certamente marginale o poco evidente, trattandosi di un deposito di alcune grandi cisterne poste in un’apposita area al di fuori dello stabilimento, la cui esistenza non poteva essere ignorata da alcuno.”
La Corte ha così concluso affermando che “nel presente procedimento il B.E. assume la doppia veste di consulente esterno del datore di lavoro nell’elaborazione del documento di valutazione e di RSPP successivamente nominato. Egli non poteva ignorare, e se lo ha fatto ciò è ascrivibile a colpa, l’esistenza del deposito esterno formato da cisterne di materiale infiammabile. Come ha correttamente rilevato il perito nella propria relazione, gli accordi fra lo studio professionale del B.E. e la A. prevedevano sopralluoghi periodici in azienda al fine di verificare i rischi presenti. L’appellante non può quindi giustificare la (asserita) mancata conoscenza del deposito con la constatazione che esso non fosse indicato nelle planimetrie” ( Cassazione Penale, Sez.IV, 18 gennaio 2017 n.2406).
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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Rispondi Autore: matteo - likes: 0 | 13/06/2024 (08:51:27) |
davvero un bell'articolo |
Rispondi Autore: Alessio Toneguzzo - likes: 0 | 13/06/2024 (09:19:21) |
In realtà, il datore di lavoro per valutare il tempo di cui il RSPP (interno ed esterno) e l’ASPP devono disporre per svolgere con diligenza i compiti inderogabili assegnati direttamente dalla legge, ha anche a disposizione un valido strumento: la prassi di riferimento UNI/PdR 87:2020. Tale prassi fornisce elementi utili al datore di lavoro e, in generale, a tutti i soggetti coinvolti nell’organizzazione e gestione della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, per esplicitare le attività tipiche svolte nell’ambito del servizio di prevenzione e protezione così come previsto dall’art. 33 del D.Lgs. 81/2008. Provare per credere! |
Rispondi Autore: raffaele scalese - likes: 0 | 13/06/2024 (09:45:38) |
Il problema è molto importante anche in relazione ai professionisti esterni con incarico di RSPP. Infatti mi è capitato con frequenza di vedere curricula in cui si vantavano anche 20 / 30 Clienti anche importanti (numericamente e come estensione ed articolazione di stabilimento) SENZA evidenziazione di una struttura : cioè SOLO il professionista firmatario della offerta. Lo stesso problema (peggio a mio avviso) è facilmente riscontrabile con l'incarico di MC. Anche oltre 100 Aziende assistite SENZA citare alcuna struttura di supporto (anche in considerazione che le visite periodiche per l'emissione della certificazione di idoneità alla mansione NON sono delegabili) Sarebbe molto importante che i Datori di Lavoro valutassero queste condizioni PRIMA dell'affidamento dell'incarico e, perchè No anche una maggiore attenzione da parte degli organismi di controllo quando verificano le idoneità ad assumere gli incarichi sopra indicati. |
Rispondi Autore: Lucia - likes: 0 | 15/06/2024 (06:43:55) |
Bellissimo e illuminante articolo. Complimenti. |