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Il principio della causalità additiva o cumulativa in materia di infortuni

Il principio della causalità additiva o cumulativa in materia di infortuni
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

09/01/2023

Quando ci sono più titolari della posizione di garanzia ovvero dell’obbligo di impedire un evento infortunistico ciascuno è per intero destinatario dello stesso e per andare esente da responsabilità non può invocare un eventuale subingresso di terzi.

Sono evidenziati dalla Corte di Cassazione in questa sentenza due principi che governano la materia dell’infortunistica sul lavoro e cioè quello della cosiddetta “causalità additiva o cumulativa” e quello del “rischio eccentrico” in grado di interrompere il nesso causale fra la condotta colposa del datore di lavoro e un evento infortunistico. Secondo il primo, se ci sono più titolari della posizione di garanzia ovvero dell’obbligo di impedire un evento infortunistico, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge e ciascuno di essi per andare esenti da responsabilità non può invocare un eventuale subigresso di terzi in tale obbligo. Quando infatti l’obbligo di impedire un evento connesso a una posizione di garanzia grava su più persone obbligate l’accertamento del nesso causale rispetto all’evento verificatosi deve essere compiuto con riguardo alla condotta e al ruolo di ciascun titolare della posizione di garanzia.

 

Secondo l’altro principio la condotta colposa del lavoratore è idonea a interrompre il nesso di causalità tra la condotta stessa e un evento se è tale da daterminare un “rischio eccentrico” in quanto esorbitante dall’area di rischio governata dal soggetto sul quale ricade la relativa gestione.

 

Il caso in esame ha riguardato la condanna di un datore di lavoro e di un direttore dei lavori per un infortunio accaduto a un lavoratore durante le operazioni di uno scavo e dovuto al crollo di una parete dello stesso non puntellata. In merito alla responsabilità del direttore dei lavori la suprema Corte ha richiamata una precedente sentenza della stessa Corte, la n. 29022 del 22/7/2022, pubblicata dallo scrivente nell’articolo “ Sulla responsabilità del direttore dei lavori per un infortunio" nel commentare la quale ha avuto modo, elencando le relative sentenze, di mettere in evidenza come la stessa Corte di Cassazione non abba assunto una posizione ben definita, essendosi a volte espressa nel senso di ritenerlo responsabile dell’infortunio accaduto a un lavoratore e a volte di ritenerlo invece estraneo.

 

A seguito del ricorso presentato dal datore di lavoro, che aveva basata la sua difesa sul fatto che il direttore dei lavori in un separato procedimento penale era stato già condannato per lo stesso infortunio per non essere intervenuto a sospendere i lavori una volta accertato che lo scavo non era rispondente al progetto nonché sul fatto che se avesse sospeso i lavori e fatto mettere in sicurezza lo scavo l’infortunio non si sarebbe verificato, la Corte suprema ha rigettato il ricorso stesso richiamando proprio i principi  sopraindicati.

 

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Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.

La Corte di Appello ha confermata la sentenza con la quale il datore di lavoro di una impresa edile era stato condannato dal Tribunale, all'esito di un giudizio abbreviato, con riferimento al delitto di omicidio colposo di un artigiano di cui all'art. 589, comma secondo, del codice penale. L'imputato, in particolare, era stato ritenuto responsabile di aver cagionato la morte dell'artigiano per colpa consistita, oltre che in imprudenza, imperizia e negligenza, nella violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui agli artt. 118, 119 e 120 del D. Lgs. n. 81 del 2008, per non aver provveduto inoltre all'armatura di uno scavo, nonostante fosse stato eseguito con una profondità superiore a 1,5 m nonché per avere depositato il materiale di scavo sul ciglio dello stesso.

 

Per come accertato dai giudici di merito, il tragico evento si era verificato nel mentre il lavoratore, unitamente ad un altro operaio, era intento ad effettuare, all'interno del cantiere, uno scavo finalizzato alla posa in opera di una tubazione per le acque reflue posta al servizio di una stalla in costruzione di proprietà della committente. I due lavoratori, in particolare, erano posizionati all'interno dello scavo della profondità media di 220-230 cm, di larghezza pari a circa 110 cm, nonché lungo 40 m, privo di armature di sostegno e con ingenti depositi di materiale riposti sul ciglio, allorquando erano stati travolti da un movimento franoso distaccatosi da una delle pareti, così venendo schiacciati contro la parete dello scavo, con conseguente decesso di uno dei lavoratori per asfissia meccanica determinata dalla subita compressione dell'emitorace sinistro.

 

Avverso la sentenza di Appello il datore di lavoro, tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi. Secondo lo stesso, in particolare, la Corte territoriale lo avrebbe ritenuto responsabile senza considerare il ruolo e la condotta del progettista e direttore dei lavori, presente in cantiere lo stesso giorno del sinistro, giudicato separatamente e già ritenuto responsabile dell'omicidio colposo del lavoratore. Il direttore dei lavori, difatti, era stato condannato con sentenza irrevocabile per aver omesso di vigilare sulla corretta esecuzione delle opere provvisionali e di sostegno dello scavo effettuato dalla vittima, opere necessarie per la sicurezza dei lavoratori, con particolare riferimento all'adozione delle misure idonee a impedire crolli delle pareti dello scavo, omettendo altresì di disporre il blocco dei lavori o, quantomeno, la sospensione della loro prosecuzione nell'interesse della sicurezza dei lavoratori.

 

La Corte territoriale, ha sostenuto altresì il ricorrente, avrebbe dovuto quindi verificare il peso della condotta del direttore dei lavori, anch'egli titolare di una posizione di garanzia, in quanto se avesse tenuto la condotta dovuta l'evento non si sarebbe verificato. La condotta omissiva del direttore dei lavori, unitamente alla scelta abnorme dei lavoratori di effettuare un'attività completamente diversa rispetto a quella commissionata (scavo di profondità superiore a 1,5 m), avrebbe quindi in definitiva interrotto, secondo il ricorrente, il nesso eziologico tra la sua condotta, nella qualità di datore di lavoro, e l'evento.

 

Con un secondo motivo il ricorrente ha dedotto l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 62 n. 6 del codice penale nonché la mancanza di motivazione in merito alla non applicazione dell’attenuante che, a suo dire, che doveva essere concessa in ragione del risarcimento del danno intervenuto prima del giudizio. La Corte territoriale, infatti, essendo stato il danno risarcito in parte dalla sua compagnia assicuratrice e in parte dall'INAIL, avrebbe erroneamente escluso la sussistenza dell'attenuante facendo riferimento alla non integralità del risarcimento.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

Il ricorso è stato ritenuto globalmente infondato dalla Corte di Cassazione. Con riferimento al primo motivo la Corte territoriale, secondo la Sezione IV, ha evidenziata la cooperazione colposa tra il datore di lavoro e il direttore dei lavori e ha chiarito altresì che nei confronti di quest'ultimo era stata disposta dal Tribunale la restituzione degli atti al Pubblico Ministero per le ragioni di cui alla stessa sentenza di primo grado; ciò in ragione dell'emersione a suo carico di diversi profili di colpa sostanzialmente consistenti proprio nell'omessa vigilanza sulla corretta esecuzione delle opere e nell'omessa interruzione delle stesse in quanto eseguite ad una profondità superiore a 1,5 m e senza l'adozione delle misure idonee a impedire crolli delle pareti dello scavo.

 

La Corte territoriale, ha precisato la Sezione IV, ha ritenuto responsabile il datore di lavoro essendosi egli limitato a comandare ai lavoratori dipendenti di eseguire lo scavo senza fornire agli stessi indicazioni sia sulla lunghezza che sulla profondità e senza  istruirli sulla necessità di non scendere con lo scavo al di sotto della cosiddetta quota antigelo (convenzionalmente compresa tra 1,2 m e 1,5 m), quota che rappresenta in particolare la soglia di rischio superata la quale le pareti della trincea necessitano di essere armate per garantire la sicurezza dei lavoratori dal pericolo di crollo; nel caso in esame inoltre sono state omesse anche istruzioni in merito all'area di stoccaggio del materiale di risulta, che era stato invece posizionato sul bordo dello scavo. Così facendo, sostanzialmente, il datore di lavoro ha abdicato agli obblighi inerenti alla propria posizione di garanzia che invece gli imponevano di garantire la sicurezza dei lavoratori e di vigilare sull'andamento dello scavo, sia in merito alla sua profondità che alla necessità di armare la trincea.

 

La Corte di Cassazione ha sostenuto che quella territoriale ha fatto buon governo del principio della c.d. «causalità additiva o cumulativa» che governa la materia degli infortuni sul lavoro e, quanto alla tematica dell'interruzione del nesso eziologico, della teoria del rischio eccentrico. La stessa ha difatti ribadito quanto più volte affermato in giurisprudenza in tema di infortuni sul lavoro: ciascun garante risulta per intero destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, fino a che non si esaurisca il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia. Allorquando l'evento sia determinato dalla sommatoria delle condotte omissive ascrivibili a diversi garanti (in termini di gestori del rischio), intervenuti in tempi diversi, è configurabile il nesso causale tra l'evento e ciascuna delle riscontrate omissioni, essendo ognuna di esse essenziale alla sua produzione.

 

La causalità additiva o cumulativa, ha così proseguito la suprema Corte, costituisce difatti applicazione della teoria condizionalistica di cui all'art. 41 cod. pen., giacché, essendo ciascuna omissione essenziale alla produzione dell'evento, l'eliminazione di ciascuna di esse fa venir meno l'esito letale, tenuto conto dell'insufficienza di ognuna delle altre omissioni a determinarlo. Tali principi si pongono in linea di continuità con l'orientamento già consolidato nella giurisprudenza di legittimità per cui “se più sono i titolari della posizione di garanzia ovvero dell'obbligo di impedire l'evento, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge e, in particolare, ciascuno per andare esente da responsabilità non può invocare neppure l'esaurimento del rapporto obbligatorio, fonte dell'obbligo di garanzia e l'eventuale subingresso in tale obbligo di terzi, ove il perdurare della situazione giuridica si riconduca alla condotta colpevole dei primi”.

 

Nel caso in esame caratterizzato dalla coesistenza delle posizioni di garanzia del datore di lavoro e di quella del direttore dei lavori, che ha omesso di intervenire nel disporre la messa in sicurezza dei lavori o la loro sospensione proprio nonostante l'inerzia del primo nella gestione del rischio a lui spettante, non vi è stata alcuna modifica della situazione di pericolo per effetto del tempo o di un comportamento dell'altro garante (il direttore dei lavori) tale da rendere eccentrico il rischio. La mancata armatura dello scavo, quale specifica competenza del datore di lavoro, ha integrato peraltro un difetto strutturale del cantiere con la conseguenza che la posizione di garanzia assunta dal direttore dei lavori non ha esonera il datore di lavoro dalla gestione del relativo rischio.

 

La sentenza impugnata, ha osservato inoltre la suprema Corte, ha correttamente applicato i principi in tema di interruzione del nesso causale tra condotta del «gestore del rischio» e evento, in ragione dell'«eccentricità del rischio» determinato dalla condotta del lavoratore, già sanciti dalla giurisprudenza di legittimità. In merito, la più recente giurisprudenza ha suggerito di abbandonare il criterio della imprevedibilità del comportamento del lavoratore nella verifica della relazione causale tra condotta del reo ed evento, perché ciò che davvero rileva è che tale comportamento attivi un rischio eccentrico o, se si vuole, esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto al quale viene attribuito l'evento.

 

Nel caso in esame, ha precisato la Sezione IV, la Corte territoriale si è attenuta al principio di cui innanzi escludendo nella specie l'interruzione del nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro («gestore del rischio») e l'evento. Qualora l’evento infatti sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro.

 

Nel caso in esame, inoltre, l'addebito colposo è stato in particolare ritenuto caratterizzato dall'inesistenza di forme minime di tutela, avendo l'imputato abdicato agli obblighi inerenti alla posizione gestoria ricoperta per cui essendosi configurata una situazione di gravissima illegalità, per la violazione di una molteplicità di disposizioni inerenti alla prevenzione degli infortuni e alla sicurezza dei luoghi di lavoro, non si può valutare come eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio propria del titolare della posizione di garanzia il comportamento del lavoratore per avere posto in essere una condotta in ipotesi gravemente pericolosa, in quanto l'inesistenza di qualsivoglia forma di tutela della sicurezza ha comportato l'ampliamento della stessa sfera del rischio.

 

Manifestamente infondato è stato ritenuto infine dalla Corte di Cassazione il secondo motivo di ricorso riguardante la mancata applicazione dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, prima parte, del codice penale essendo stato applicato nel caso in esame il principio per cui la stessa non è configurabile in caso di erogazione di somme da parte dell'INAIL, avendo la relativa prestazione carattere indennitario e non risarcitorio. Al rigetto del ricorso è conseguita in conclusione la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 41340 del 3 novembre 2022 (u.p. 15 settembre 2022) - Pres. Di Salvo – Est. Antezza - P.M. Lignola – Ric. F.M.. - Quando ci sono più titolari della posizione di garanzia ovvero dell’obbligo di impedire un evento infortunistico ciascuno è per intero destinatario dello stesso e per andare esente da responsabilità non può invocare un eventuale subingresso di terzi.




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