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I destinatari degli obblighi in materia di prevenzione infortuni

I destinatari degli obblighi in materia di prevenzione infortuni
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

12/04/2023

L'individuazione dei destinatari degli obblighi antinfortunistici deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita da un soggetto bensì sulle funzioni in concreto esercitate che prevalgono rispetto alla carica attribuitagli e alla sua funzione formale.

Si registra un’altra sentenza della Corte di Cassazione sull’applicazione dell’articolo 299 del D. Lgs n. 81/2008 riguardante l’esercizio di fatto dei poteri direttivi e sul criterio di individuazione dei soggetti sui quali grava la posizione di garanzia in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il caso sottoposto all’esame della suprema Corte in questa circostanza riguarda il ricorso presentato dal datore di lavoro di un’impresa appaltatrice alla quale erano stati affidati in un cantiere edile dei lavori di scavo per la posa di tubazioni di un impianto fognario, il quale era stato condannato nei primi gradi di giudizio per l’infortunio mortale accaduto a un lavoratore rimasto sepolto dal franamento di una delle pareti dello scavo stesso risultato privo delle protezioni previste dalle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro.

 

Il datore di lavoro era ricorso alla Corte di Cassazione per l’annullamento della sentenza di condanna sostenendo che, contrariamente a quanto emerso dall’istruttoria dibattimentale e dalle prove testimoniali, il vero datore di lavoro dell’infortunato non era lui ma suo fratello, al quale quindi era da ascrivere la responsabilità dell’accaduto. La suprema Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha messo in evidenza che i giudici avevano fatto buon governo della giurispru­denza di legittimità secondo cui assume una posizione di garante colui che, pur non essendone for­malmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e agli altri garanti indicati nell’art. 299 del D. Lgs. n. 81/2008, sicché l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita da un soggetto, bensì sulle funzioni in concreto esercitate dallo stesso, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuitagli, ossia alla sua funzione formale.

 

La Corte territoriale, ha aggiunto la Corte di Cassazione, aveva chiarito del resto come non vi fosse alcun dubbio in ordine alla responsabilità dell’imputato nella gestione dei lavori di scavo e che lo stesso era il responsabile dell’attività di cantiere, presente peraltro sul luogo teatro del sinistro al momento dell’accaduto con un automezzo a lui intestato.


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Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.

La Corte di Appello ha confermata la sentenza con cui il Tribunale, in composizione monocratica, dichiarati improcedibili per intervenuta prescrizione i reati contravvenzionali originariamente contestatigli, ha condannato il datore di lavoro di un’impresa appaltatrice, incaricata di effettuare alcuni lavori di scavo per la realizzazione di un impianto fognario, alla pena di giustizia, in quanto ritenuto colpevole del reato previsto e punito dall'art. 589 co. 1 e 2 c.p., per avere cagionato il decesso di un lavoratore dipendente, per colpa consistita in negligenza imprudenza e imperizia e nella violazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro. In particolare all’imputato era stato contestato di non avere osservato le elementari regole prudenziali di buona tecnica nella effettuazione dei lavori di scavo e di non avere adottato le misure che, per la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica erano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei prestatori di lavoro (art. 2087 c.c.) segnatamente omet­tendo di verificare e di assicurarsi della consistenza e della stabilità del terreno su cui eseguire lo scavo e di non avere effettuato lo stesso in modo da garantire un'adeguata pendenza delle pareti.  

 

Il datore di lavoro, al momento dell’infortunio, stava procedendo, mediante un escavatore da lui condotto, alla movimentazione di terreno in prossimità dello scavo così creando un pericolo di franamento o di cedimento; il lavoratore invece era all'interno dello scavo avente lunghezza pari a 36 m circa, profondità pari a 4 m e larghezza pari a 0,80 m ed era intento a posizionare un tubo in PVC che doveva collegare gli scarichi fognari di un costruendo manufatto con la fogna comunale allorquando, a causa delle mancate protezioni, le pareti franavano e lo seppellivano cagionandone il decesso per asfissia meccanica violenta.

 

Avverso il provvedimento di condanna l’imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione e chiesto l'annullamento della sentenza impugnata deducendo due motivi. Con il primo motivo lo stesso ha denunciato mancanza, insufficienza o contraddittorietà di motivazione quanto alla affermata sua responsabilità, ribadendo la linea difensiva proposta nelle fasi di merito e sostenendo che la responsabilità doveva essere ascritta a suo fratello reale datore di lavoro¸ con il secondo motivo di ricorso ha denunciato violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla dosimetria della pena.

 

Le considerazioni e le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La stessa ha evidenziato che il ricorrente ha chiesto sostanzialmente di effettuare una rivaluta­zione del fatto non consentita in sede di legittimità riproponendo le medesime lamentele già sollevate in appello, senza aver fatto un adeguato confronto critico con le risposte fornite dai giudici del merito.

 

L'impianto argomentativo del provvedimento impugnato, ha sostenuto la suprema Corte, è apparso puntuale, coerente e del tutto idoneo a rendere intelligi­bile l'iter logico-giuridico seguito dai giudici e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di ap­prezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

 

Il ricorrente, in concreto, ha aggiunto la suprema Corte, non si è confrontato adeguatamente con la motivazione della Corte di Appello, che è apparsa logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e pertanto immune da vizi di legittimità. Il provvedimento impugnato inoltre, cor­retto in punto di diritto, ha rilevato che la difesa dell'imputato ha speso maggiori energie ad introdurre elementi di accusa nei confronti del fratello piuttosto che ad addurre argomenti propriamente difensivi rispetto all'addebito.

 

La Corte di Appello, ha sostenuto ancora la Corte di Cassazione, ha chiarito come non vi fosse alcun dubbio in ordine alla responsabilità dell'imputato nella gestione dei lavori di scavo effettuati essendo emerso dalla istruttoria che lo stesso era il titolare in fatto dell'impresa edile cui era stata conferita in appalto la realizzazione dei lavori in questione e responsabile in prima persona delle attività di cantiere. Egli, peraltro, ad ulteriore riscontro della sua qualità, presiedeva al momento della verificazione del sinistro, come dimostrato dalla inconte­stata presenza sul luogo teatro del sinistro, non soltanto della sua persona ma anche di un automezzo a lui intestato, gravando su di esso la posizione di garanzia connessa alla sua qualità di datore di lavoro.

 

La sentenza impugnata, secondo la Sezione IV, inoltre, ha operato un buon governo della giurispru­denza della Corte di legittimità secondo cui assume una posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto risultando, pertanto irrilevante la prospet­tata inesistenza di una impresa edile facente capo al ricorrente, titolare di una impresa individuale dichiarata fallita, e rappresentando, al contrario, la totale abusività dell'esercizio di attività d'impresa da parte del prevenuto, un ulteriore fattore di incremento del disvalore dei fatti.

 

Corretto è apparso anche, ha aggiunto la Corte di Cassazione, il richiamo, che si legge in sentenza, alla disposizione di cui all'art. 299 del D. Lgs. n. 81/2008 secondo cui “la posizione di garanzia grava anche su colui che, non essendone for­malmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e agli altri garanti ivi indicati, sicché l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale” citando a proposito la sentenza della IV sezione penale n. 18090 del !0 aprile 2017 pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo " La responsabilità del preposto non formato".

 

Analogamente generica e assertiva è stata ritenuta dalla Corte di Cassazione la formulazione del motivo di doglianza riferito alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla dosimetria della pena. La Corte territoriale aveva rilevato come, in particolare, dalle fotografie in atti e dalle prove dichiarative e documentali, erano emerse, in maniera inconfutabile, condizioni di assoluta ed inescusabile mancanza di qualsiasi presidio di sicurezza all'interno del cantiere edile in questione, a maggior ragione alla luce dell'obiettiva e intrinseca pericolosità della specifica lavorazione, peraltro completamente abusiva, in corso al momento del fatale incidente, dimostrative di una evidente negligenza, imprudenza ed imperizia oltre che della violazione di numerose nonne antinfortunistiche. La pena irrogata in primo grado è stata, quindi, ritenuta assolutamente adeguata alla intrinseca gravità del fatto ed alla elevata rimproverabilità della condotta, nonché in linea con i criteri di cui all'art. 133 cod. pen., pur essendosi il giudice di prime cure discostato in maniera significativa dal minimo edittale, cor­rettamente ancorando tale discostamento non soltanto agli elementi sopra indicati, ma anche e soprattutto ai meccanismi attivati dall'imputato, immediatamente dopo il luttuoso evento, per distogliere dalla sua persona la responsabilità per i fatti ascritti.

 

La Corte di Cassazione ha in conclusione dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissi­bilità, al pagamento di 3000 euro in favore della cassa delle ammende.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 9451 del 7 marzo 2023 (u. p. 8 febbraio 2023) - Pres. Dovere – Est. Pezzella – Ric. P.A. - L'individuazione dei destinatari degli obblighi antinfortunistici deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita da un soggetto bensì sulle funzioni in concreto esercitate che prevalgono rispetto alla carica attribuitagli e alla sua funzione formale.




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