Come devono essere comunicate le prescrizioni degli organi di vigilanza?
Roma, 11 Ott – Come indicato negli articoli 17 e 31 del Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro ( D.Lgs. 81/2008) il datore di lavoro deve provvedere alla nomina del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione e protezione dai rischi. E il Testo Unico indica che gli addetti e i responsabili dei servizi di prevenzione e protezione devono essere in numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell’azienda e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti assegnati.
Riguardo alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ci soffermiamo brevemente oggi su una recente sentenza della Corte di Cassazione, la sentenza n. 38196 del 01 agosto 2017, relativa proprio all’omessa nomina, da parte di un’azienda, di un RSPP. Una sentenza che ci permette di comprendere tuttavia anche le modalità idonee (anche in sede processuale) della comunicazione alle aziende, da parte di ispettori e Asl/Ats, di verbali e prescrizioni.
Nella sentenza della Corte di Cassazione si indica che con sentenza del primo giugno 2016 “il Tribunale di Lecce ha dichiarato B.D.D. colpevole del reato di cui all'art.17, comma 1 lett. b) d. lgs.81/2008 per omessa nomina”, in qualità di legale rappresentante dell’azienda XXX, del “responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, condannandolo alla pena di € 1.900 di ammenda ritenendo che avesse provveduto tardivamente all'adempimento della prescrizione impartitagli dalla ASL a mezzo di lettera raccomandata”.
E successivamente l'imputato “ha proposto appello innanzi alla Corte di Lecce la quale, attesa l'inappellabilità delle sentenze di condanna alla pena pecuniaria dell'ammenda e verificata la voluntas impugnationis, ha riqualificato l'atto in ricorso per Cassazione trasmettendo gli atti a questa Corte”.
In particolare il ricorrente lamenta “con un unico motivo di ricorso di non aver mai avuto contezza dell'accesso ASL presso la sede sociale, avendo gli ispettori trovato al momento del sopralluogo M.L. il quale aveva provveduto a nominare, a fronte della contestazione svolta, un tecnico che aveva realizzato e presentato il piano di sicurezza sul lavoro, e che non gli era stata mai comunicata l'ammissione al pagamento della sanzione amministrativa così da consentirgli di avvalersi della causa di non punibilità. Contesta inoltre la sospensione condizionale della pena applicatagli di ufficio senza che egli ne avesse fatto mai richiesta, intendendo avvalersi del suddetto beneficio, ove mai ne ricorressero le condizioni, solo a seguito di un'eventuale condanna a pena detentiva”.
A questo proposito la Cassazione indica che “risulta dagli atti di causa che ancorché al momento del sopralluogo da parte degli ispettori del lavoro fosse stato trovato presso la sede della società, in assenza dell'imputato, tale M.L. qualificatosi come responsabile in assenza del titolare, ciò nondimeno il verbale redatto a seguito del constatato inadempimento alla disposizione di cui all'art.17 d.lgs 81/2008 contenente la prescrizione relativa alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione con termine per la regolarizzazione di 30 gg. dalla ricezione della comunicazione, era stato ritualmente inviato all'imputato a mezzo di raccomandata da quest'ultimo ricevuta, così come afferma la sentenza impugnata, in data 30.6.2012”.
E al riguardo si rileva che, “come già affermato da questa Corte in tema di reati contravvenzionali in materia di lavoro, la procedura di estinzione prevista dagli artt. 20 e ss. del D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, pur configurando un'ipotesi di condizione di procedibilità dell'azione penale, non richiede una formale notificazione del verbale di ammissione al pagamento redatto dalla P.A., essendo sufficiente una modalità idonea a raggiungere il risultato di notiziare il contravventore della ammissione al pagamento e del relativo termine, sicché l'accertamento in ordine alla sua esecuzione comporta un'indagine di fatto, da ritenersi preclusa in sede di legittimità (Sez. 3, n. 5892 del 24/06/2014 - dep. 10/02/2015, Giordano, Rv. 26406201). Non essendo rilevabile, né comunque evidenziato uno specifico error in procedendo in cui sia incorso il Tribunale leccese, e non essendo deducibili in sede di legittimità valutazioni in punto di merito, la censura svolta non può che essere ritenuta inammissibile”.
E – continua la Corte di Cassazione - manifestamente infondata è anche la contestazione del ricorrente “in ordine al mancato inoltro della raccomandata presso il suo domicilio posto che secondo la normativa vigente in materia di notifiche di atti sia civili che penali la comunicazione a mezzo del servizio postale può essere eseguita, indifferentemente, presso l'abitazione del destinatario ovvero il luogo in cui questi esercita abitualmente la propria attività lavorativa: pienamente rituale risulta, pertanto, l'invio della raccomandata presso la sede della società, tale essendo il luogo dove questi svolge la propria attività lavorativa e dove risulta essere stata ricevuta. A sconfessare peraltro, anche in punto di fatto, la tesi della mancata ricezione della suddetta comunicazione milita la circostanza che, sia pure tardivamente rispetto al termine concesso, risulta essersi provveduto alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione che nessun altro, se non il datore di lavoro, aveva il potere né tanto meno l'interesse ad effettuare. Dal momento tuttavia che l'adempimento alla prescrizione è avvenuto ben oltre il termine prescritto dall'organo di vigilanza, l'imputato non è stato perciò ammesso al pagamento dell'oblazione. Questi non ha pertanto titolo per dolersi della mancata estinzione del reato, che gli è stato pertanto, in difetto degli adempimenti di cui all'art. 21 d. lgs 758/1994, legittimamente ascritto”.
La sentenza si sofferma poi ampiamente anche sul tema della sospensione condizionale che, si indica, “non può risolversi in un pregiudizio per l'imputato in termini di compromissione del carattere personalistico e rieducativo della pena”, e riguardo a questo aspetto conclude che in difetto “di un interesse giuridicamente qualificato a supporto della revoca della sospensione condizionale della pena, ancorché applicata d'ufficio, anche il suddetto profilo di censura deve essere ritenuto inammissibile”.
In definitiva la Corte di Cassazione, in relazione all’infondatezza del ricorso e dei singoli profili di censura svolti, dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
RTM
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