Per utilizzare questa funzionalità di condivisione sui social network è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing'
Per visualizzare questo banner informativo è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing'
Rischio stress: cambiare le prospettive
Continuiamo la pubblicazione, in più puntate, di un testo sullo stress lavoro correlato o, meglio, sul “mal-essere” nel mondo del lavoro. Un testo curato dallo psicologo del lavoro Andrea Cirincione e dal titolo “Lavori o Scleri?! Teoria e Pratica del mal-essere per scelta” che presenta il tema con un linguaggio semplice, ironico e diretto, arricchendosi delle esperienze di lavoro in organizzazioni pubbliche e private di ogni tipo e dimensione.
Dopo i capitoli dedicati alla sindrome generale di adattamento, alle esperienze, ai temperamenti, alle emozioni di base, alla fase di allarme, di resistenza ed esaurimento, e alla semplice logica di causa-effetto un nuovo capitolo si sofferma sul pensiero probabilistico e presenta le, ormai immancabili, nuove leggi dello “sclero” e del lavoro.
Pubblicità
Capitolo 7- Verso il pensiero probabilistico.
Capitolo che comincia a cambiare le prospettive.
Stiamo affrontando un piccolo –ma importante– salto concettuale che è bene spiegare perché assolutamente non evidente a una prima lettura.
L'uomo ha la caratteristica di essere un soggetto “pensante”, una complicanza non di poco conto. C’è un intervallo che va messo a fuoco.
=> La legge della causa-effetto mette l'attenzione sul fatto che c'è un momento, che potremmo definire perturbativo, che si colloca tra lo stato di quiete e la richiesta omeostatica.
Beh, cosa vuol dire?
Facciamo un esempio banalissimo:
Giuseppe viene licenziato, e si ritrova senza lavoro né reddito; reagisce, e decide di prendere i propri risparmi ed aprire l'attività in proprio. In due anni si ritrova una bella attività, tre dipendenti e tutto sembra girare bene.
Il caso di Giuseppe fa riflettere sulla peculiarità umana consistente nel poter pensare di essere artefice –almeno in parte– del proprio destino (homo faber fortunae suae secondo un celebre motto latino). Abbiamo presente quando si dice “non tutto il male viene per nuocere”? Questo è un tema che deve trovare una sua dignità nel campo della gestione dello stress.
Affermare che lo stress è uno stato mutevole vuol dire che esso può avere tre tipi di conseguenze:
1. neutrali, quindi tutto torna come prima (rubberband effect, o effetto elastico);
2. peggiorative, quindi nel complesso l'individuo ne ricava un nocumento;
3. migliorative, caratterizzate da uno slancio che porta a fare un “balzo” in avanti.
Siamo quindi in grado di affermare che, alla base della risposta di stress, c'è la variazione da uno stato a un altro. Questo ci porta verso il grande dibattito che imperversa quando si parla di stress, in particolare del famigerato stress lavorocorrelato:
• l’oggettività del fenomeno: è lo stressor il responsabile del malessere;
• la soggettività dello stesso: lo stress è funzione di come vengono gestite le perturbazioni di stato e di quanto esse siano attese.
In pratica accade che essere “preparati” a un'evenienza non ne attutisce la violenza, ma consente di affrontarla meglio e riprendersi in tempi più rapidi.
Perché è importante questo ragionamento?
Facciamo un esempio.
Chi ha provato il decesso di una persona cara sa che, emotivamente, c'è differenza tra la morte improvvisa o dopo lunga malattia, nel senso che –a parità di affetto–la seconda è meno scioccante della prima.
=> L’elaborazione dello stressor aumenta le probabilità di metabolizzarlo prima e meglio.
Esaminiamo due prospettive utili in psicologia applicata.
1) Per le persone: affinché diventino più capaci di affrontare lo stress, senza logiche passive e/o vittimistiche che spesso non giovano né a se stessi né agli altri.
2) Per le aziende: affinché il management sappia da un lato fare prevenzione attuando una riduzione degli stressors inutili, eccessivi, cronici; e dall'altro generare un sistema di gestione dello spirito di gruppo che consenta di superare le difficoltà soverchianti che il mercato, l'economia e le contingenze impongono.
Torniamo per un momento all'esempio della stazione.
Ricordiamo? Siamo lì a osservare la varia umanità che parte e che arriva. C’è un display con arrivi e partenze.
Se in condizioni “normali” è possibile rilevare comunque una variabilità di comportamenti umani (chi legge, chi mangia, chi ride, chi piange …), è facile pensare che:
-se svanissero i dati dal display degli orari, si rompesse la macchina dei biglietti, i treni ritardassero clamorosamente... etc., allora è ovvio che lo stress delle persone salirebbe mediamente per tutti a causa di motivi “oggettivi”.
=> comunque potremmo rilevare comportamenti in buona sostanza imprevedibili:
-Qualcuno che mantiene la calma, qualcuno che la perde completamente, altri che prendono iniziative e altri ancora che rimarrebbero impassibili.
Quando si dice che per misurare lo stress bisogna valutare gli “indicatori oggettivi”, significa proprio questo:
=>capire se ci sono cause organizzative/ambientali che possono provocare un aumento del tasso di stress delle persone, indipendentemente da variabili individuali.
Che cosa comporta tutto questo?
=> La valutazione del rischio da stress lavoro-correlato non implica una misura individuale del livello di stress, ma una stima dell’impatto degli stressors sul gruppo di persone ad esso sottoposte.
E' però altrettanto vero che se le persone hanno delle aspettative elevate rispetto alla funzionalità della stazione, qualsiasi disguido sarà percepito come insopportabile. Questa è l'altra faccia della questione, quella irrimediabilmente soggettiva.
Due esempi che traggo dall’esperienza professionale.
1) Un lavoratore extracomunitario proveniente da una vita di stenti sarà felice e contento di qualsiasi lavoro (almeno all'inizio...), anche in condizioni di scarsa sicurezza;
=> in un’azienda con 15 dipendenti tutti provenienti dall’Africa sub-sahariana, si osservano condizioni oggettive veramente pessime di lavoro, ma le percezioni dei lavoratori emergono come positive.
2)Un laureato, con alte aspettative di carriera, potrebbe demotivarsi lavorando come operatore
telefonico, anche se è un lavoro onesto che offre un po’ di reddito;
=>in un call center con 60 dipendenti, si osservano condizioni oggettive positive e una discreta organizzazione, ma le percezioni dei lavoratori fanno emergere elementi di stress.
Purtroppo il valore “stressogeno” (=generatore di stress) dei cosiddetti indicatori oggettivi non è né chiaro né univoco. Vorrei far notare che se il danno al display, nell’esempio della stazione, dura pochi minuti le conseguenze sono limitate; ma se le carenze organizzative sono protratte nel tempo possono suscitare veri e propri scompensi a meno che –come talvolta capita– non intervengano l'abitudine e la rassegnazione a spegnere la sofferenza ed insieme gli entusiasmi.
Quindi volendo fare una sintesi possiamo affermare che:
=> la risposta allo stress deriva da un legame complesso tra:
- le condizioni in cui siamo
- la possibilità di agire su tali condizioni
- l’inclinazione caratteriale
- l’emotività
- la capacità di adattamento
- le energie di cui disponiamo
- la magnitudo (cioè l'intensità) dello stressor
- i nostri processi di pensiero.
Come già evidenziato, gioca un ruolo decisivo anche l'elemento cronologico, tanto è vero che può essere più grave un evento leggero ma improvviso, rispetto a un evento pesante ma a cui
siamo preparati.
Quindi affermiamo:
7° LEGGE DELLO SCLERO: il rischio che un individuo soffra di stress è funzione della probabilità che non riesca a gestire la transizione omeostatica nell'arco temporale di durata dello stimolo stressogeno.
7° REGOLA DEL LAVORO: l'abbassamento della probabilità di rischio stress coincide con tempi di esposizione tollerabili (bisogna sapere o potere dire “basta!”). Quando i tempi non sono controllabili è essenziale puntare sull'elaborazione dell'evento perturbativo.
Note aggiuntive per cultori della materia.
E’ la versione psicologica della “classica” formula di “isorischio” R=PxD (Rischio = Probabilità x Entità del danno), dove al posto di D mettiamo DeltaT.
R=PxΔT (Rischio = Probabilità x Tempo a disposizione)
Ci tengo a specificare che non si può inserire in nessuna formula psicologica la cosiddetta “Entità del danno”, quindi chi usa la tipica tabella PxD applicata al rischio stress lavoro-correlato commette una forzatura concettuale.
A proposito di “entità del danno”: è necessario ritornare sul già citato concetto di strain, limitandoci per il momento a definirlo come effetti dello stress.
Una riflessione relativa, ancora una volta, al terremoto:
è un'eventualità che in uno-due minuti può sconvolgere la vita intera di migliaia di persone, quindi è uno stressor tremendo e breve. Dal solo punto di vista psicologico è molto pesante da
sopportare lo sciame sismico delle settimane successive: singole scosse brevi che però danno
l'emozione di vivere nel terremoto cronico.
Abbiamo finora evidenziato –spero– che la questione dello stress non si esaurisce con le definizioni classiche.
Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
I contenuti presenti sul sito PuntoSicuro non possono essere utilizzati al fine di addestrare sistemi di intelligenza artificiale.
Pubblica un commento
Rispondi Autore: AUGUSTO FERRARI - likes: 0 | 03/03/2015 (09:19:34) |
Scrivo per amore di dialogo. Qualunque lavoro retribuito e legale può essere definito onesto e che fornisce un po' di reddito. Ma prendere ad esempio il call center (moderna catena di montaggio) senza considerare la pressione a cui sono sottoposte le persone che vi lavorano in termini di obbiettivi e risultati giornalieri è riduttivo e fuorviante. Anche l'extracomunitario sopracitato 'sclererebbe' in 1 giornata secca di lavoro cronometrata: e tornerebbe di corsa al lavoro manuale in pessime condizioni oggettive. Come dire: è molto più gestibile l'adattamento fisico che quello mentale. Se fa freddo mi copro, se fa caldo mi scopro: ma se i colleghi ti trattano freddamente o troppo calorosamente (ti urlano dietro) è molto più difficile 'maneggiare' gli strumenti sociali per ovviare alla situazione. Mi scuso per la sintesi che non rende merito alla complessità della cosa ma spero di essere stato chiaro. I miei migliori saluti |
Rispondi Autore: Fabio Mapelli - likes: 0 | 04/03/2015 (11:33:09) |
Concordo pienamente con gli esempi riportati, degli africani e del laureato. Ma come sono stati trovati i TLV e altri parametri per dire cosa è "tollerabile" e cosa no dal ns corpo bisognerebbe trovare dei "limiti" accettabili anche nell'ambito stress-lavorocorrelato. Giustamente la variabile TEMPO è determinante, come pure il "fiato sul collo", l'organizzazione aziendale e altri componenti. Altra variante è lo stress cumulativo, problemi economici, affettivi e altro nel proprio domicilio, caos cittadino e "malavita" etc, etc, Bene, psicologi del lavoro e non,al lavoro. Altri paesi europei son avanti circa 40 in questo campo, anche altri campi. Dobbiamo copiare? Dobbiamo inventare? Non so cosa è giusto, però FACCIAMO QSA. |