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Rischio stress: allarme, resistenza ed esaurimento

Rischio stress: allarme, resistenza ed esaurimento

Affrontare il rischio stress con un linguaggio semplice, ironico e diretto. Il libro di Cirincione si sofferma sullo stress come concetto tecnico. La risposta allo stress con riferimento all’omeostasi, all’allarme, alla resistenza e all’esaurimento.

 
Continuiamo la pubblicazione, in più puntate, di un testo sullo stress lavoro correlato o, meglio, sul “mal-essere” nel mondo del lavoro. Un testo curato dallo psicologo del lavoro Andrea Cirincione e dal titolo “Lavori o Scleri?! Teoria e Pratica del mal-essere per scelta” che presenta il tema con un linguaggio semplice, ironico e diretto, arricchendosi delle esperienze di lavoro in organizzazioni pubbliche e private di ogni tipo e dimensione.
Dopo i capitoli dedicati alla sindrome generale di adattamento, alle esperienze, ai temperamenti e alle emozioni di base, un nuovo capitolo si sofferma sullo stress come concetto tecnico. La risposta allo stress con riferimento all’omeostasi, all’allarme, alla resistenza e all’esaurimento. E le nuove leggi dello “sclero” e del lavoro.


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Lavori o Scleri ?! - Teoria e pratica del mal-essere per scelta
eBook in PDF: Il lettore attraversa un percorso nel concetto di 'stress' tra esempi e metafore, per comprendere al meglio come funziona e come si cura il proprio benessere psicologico.
 
 
Capitolo 5
Lo stress come concetto tecnico
Capitolo un po’ lezioso ma necessario
 
La parola stress è un termine inglese importato in psicologia dal mondo delle discipline tecniche. Originariamente designa uno stimolo dotato di tre caratteristiche:
1. direzione;
2. intensità;
3. verso.
 
In conformità a questo, basilari conoscenze di fisica ci fanno definire lo stimolo come vettoriale. In pratica si tratta di una freccia: →
 
Il vettore-stimolo si manifesta in determinate circostanze, che si caratterizzano per diversità di resistenza e di adattamento [1].
 
A ben vedere:
- lo stress in senso vettoriale ci porta verso un’indicazione più precisa, vale a dire quella di stressor;
- lo stato interno del materiale sottoposto allo stressor è quello che possiamo definire stress;
- la deformazione del materiale stesso viene definitostrain.
 
Avremo modo di prendere confidenza con questi termini.
Un esempio per chiarire il comportamento del materiale “stressato”:
- Se applico una forza (pressione) pari ad ‘n’ chilogrammi, perpendicolarmente ad un materiale (ad es. una mensola), verificherò quanto questo resiste e se è possibile aumentarne le prestazioni mediante un miglior adattamento;
- Pensiamo quanto sia importante costruire un edificio con criteri antisismici, affinché possa superare al meglio lo stress di un terremoto (che e un grosso stressor).
 
Dobbiamo al fisiologo W. Cannon [2] l'introduzione della parola ‘stress’ in biologia.
Guardando a una situazione rilevabile nella sua interezza, se si osserva un’azione combinata di stimolo-e-circostanze si può dire che un organismo è sottoposto a stress.
In generale questa sinergia può realizzare condizioni di equilibrio o disequilibrio.
 
Prendiamo ad esempio l’incontro tra un uomo e una tigre.
Senza entrare nel merito di chi sia in generale l’animale più feroce (la risposta è scontata), guardiamo al quadro generale e ipotizziamo tre quadri emotivi di paura:
a) per l'uomo, inerme nella giungla;
b) per la tigre, indifesa verso il cacciatore armato;
c) per nessuno dei due perche si trovano in armonia reciproca.
 
Cannon divenne famoso per aver descritto la cosiddetta “fight or flight response”: quando l'organismo si sente “minacciato” scatta una risposta del sistema nervoso (quello cosiddetto simpatico) che prepara a “combattere o fuggire”.
Egli identificò anche l'importanza di una specifica area cerebrale, l'ipotalamo (vedi immagine, in giallo], rispetto all'emotività individuale.
 

 
- Immaginiamo di essere all'aperto a mangiare in compagnia; a un tratto il tempo minaccia pioggia. Noi ci attiviamo per decidere quale comportamento sia adeguato.
Nasce cosi l'idea della “fase 1 della risposta allo stress”, definita come allarme.
L’organismo si attiva.
 
E’ il momento in cui la compensazione svolta dall'organismo comincia a “pagare un prezzo” per l'opera di contrasto allo stimolo lesivo (=stressor). In pratica si attiva il metabolismo aumentando la frequenza cardiaca e rendendo disponibile zucchero nel sangue.
Cerchiamo di comprendere meglio e con semplicità. In fisiologia, è importante il mantenimento dell'equilibrio quando questo sia alterato dalle circostanze. Un esempio che riguarda un tipo di “stress” non certo negativo:
- Quando mangio una fetta di torta, ho un eccesso di zuccheri nel sangue, quindi entra in azione un sistema che “sequestra” lo zucchero per non lasciarne troppo nel torrente ematico (un diabetico sa quali rischi si corrono).
Curioso: il sistema toglie lo zucchero se ce n’è troppo e lo immette se serve. Tutto questo avviene in automatico.
 
Questo genere di fenomeni ha un nome: “omeostasi”.
 
Se vivo in una casa anti-sismica, questo vuol dire che è stata progettata affinché, nell'eventualità di scossoni da terremoto, la casa abbia dei sistemi di “contro-regolazione” che attutiscano l'effetto.
 
Anche in psicologia un comportamento si può leggere in termini di omeostasi.
Cosa vuol dire “comportamento omeostatico”?
 
Agisco per ripristinare un equilibrio, ad esempio:
- ho sete, quindi prendo l'acqua e bevo per reintegrare liquidi;
- sono nervoso, quindi vado a correre per sfogarmi.
In realtà tutta la nostra vita è scandita da instabilità e da sistemi regolatori che entrano in azione.
 
In buona sostanza secondo lo psicologo svizzero J. Piaget [3] i processi in gioco sono fondamentalmente due:
1. assimilazione: uso dei propri schemi cognitivi e comportamentali acquisiti per affrontare una situazione perturbante;
2. accomodamento: modifica dei propri schemi cognitivi e comportamentali per trovarne uno nuovo che consenta di ristabilire l'equilibrio.
 
I due processi sono in alternanza, specie nei bambini che manifestano una grande plasticità.
 Da adulti si è meno disponibili a modificarsi e spesso si tende a mantenere i propri schemi di risposta, non sempre adattivi, con una prevalenza dell'assimilazione.
 
Si parla pertanto di una “fase 2 della risposta allo stress”, definita come resistenza.
L’organismo tenta di normalizzare la situazione (o attende che finisca lo stressor).
 
Torniamo per un momento alla fase di allarme. Abbiamo detto che l'organismo bio-psichico paga un “prezzo” per il lavoro di omeostasi.
Cosa vuol dire che “l’organismo è in debito”? Possiamo spiegarlo in due modi.
 
I) In parte parliamo dell'energia spesa per contenere lo stressor, che può essere eccessiva rispetto alle “riserve” possedute e lasciare in uno stato di prostrazione.
- E' come quando il corpo affronta una grave malattia, al termine della quale ha bisogno della cosiddetta convalescenza; essa rappresenta molto bene la necessita di affrontare una fase che non e più malattia ma non è ancora salute: è invece uno stadio intermedio di recupero delle forze.
 
II) L'altro “prezzo” di cui si parla consiste nelle conseguenze strutturali della cronicità della resistenza. Spiegato con un esempio:
- se un autoveicolo aumenta sempre la velocità, deve consumare sempre più energia per pagare la performance, ma oltre certi limiti di velocità viene messa alla prova anche la struttura stessa, che potrebbe cedere; proviamo ad immaginare, che ne so... un'utilitaria col motore di una Formula 1!
L'allarme è la fase in cui ci si accorge che:
- siamo ai limiti energetici (finisce il carburante...), oppure o la struttura e ai limiti della tenuta (si rischia di rompere...).
La resistenza è la fase in cui devo:
- pensare a come recuperare energia (fare il pieno...), oppure o guidare con cautela (per non collassare...).
 
A valle di tutto questo
C’é una “fase 3 della risposta allo stress”, definita come esaurimento.
L’organismo che non fosse riuscito ad adattarsi arriverebbe a pagarne le conseguenze.
 
Tutte le reazioni che sono state innescate dalla fase di allarme, sostenute nella fase di resistenza sono di tipo biochimico e bioelettrico, e riguardano il corpo (dal battito cardiaco alla dilatazione delle pupille) e la mente (dall’ansia alla determinazione). Tutto questo “esercito della salvezza” (o della “performance”) non ha risorse infinite.
 
Vale la pena citare un aspetto biochimico dello stress molto interessante: la produzione di citochine. Si tratta di proteine capaci, in poco tempo e a breve termine, di influenzare il comportamento delle cellule. Sono molto importanti nella risposta del sistema immunitario. Alcune tra queste citochine (gli interferoni) sanno bloccare infezioni virali con immediatezza.
Pensiamo a quanto questi sistemi immediati e automatici possano difendere l’organismo in condizioni di emergenza, anche grave.
 
 
Altre molecole importanti per lo stress sono ormoni e neurotrasmettitori, che producono quelle “trasformazioni” di cui spesso ci accorgiamo (ansia, sudore, respiro affannato). Tutto il corpo in realtà si mette in “difesa” o “attacco”, anche con la postura e i muscoli.
Tipica infine è la sensazione di dover evacuare l’intestino, risorsa che affonda nella notte dei tempi quando i nostri antenati per correre veloce dovevano liberarsi di qualsiasi “zavorra” inutile.
 
Non è scopo di questo testo approfondire questi temi, che però non possono essere dimenticati. E’ indubbio che quando le fasi di allarme si rinnovano di continuo (pensiamo a continue e reiterate sollecitazioni) e quella di resistenza si prolunga senza esiti favorevoli, prima di considerare gli aspetti psicologici bisogna sapere che esiste l’azione degli ormoni corticosteroidi, tra i quali va ricordato il cortisolo.
La cronicita dello stress produce la persistenza di queste sostanze nel nostro organismo.
 
La loro presenza è molto benefica nel breve termine:
- azione anti-insulinica (= immissione di zuccheri nel sangue);
- azione tachicardica (= accelerazione del battito cardiaco);
- azione muscolo-tensiva (= predisposizione a “combattere”).
 
 A lungo termine tutto questo finisce col fiaccare e indebolire l’organismo, che paga quel dispendio energetico che alla fine conduce a un ovvio esaurimento.
Tra gli effetti collaterali di questa sindrome da stress:
- la scarsità di buon riposo;
- il peggioramento dell’umore;
- i problemi nella vita relazionale.
 
Per non dire delle crisi di “fame nervosa”, che inducono ad assumere zuccheri aggiuntivi in un tourbillon di negatività.
 
Torniamo nella metafora ingegneristica.
Possiamo ipotizzare in teoria di fare mezzi sempre più potenti e sempre più resistenti e, in effetti, la tecnologia ha prodotto apparecchi che superano la velocità del suono e resistono alle criticità che questa performance comporta. E' ragionevole pensare che se la velocità crescesse verso valori sempre più alti ci sia un punto di non costruibilità per limiti tecnologici. Cosi come si può prevedere che i record del mondo in atletica debbano un giorno raggiungere il limite umanamente invalicabile. L’esaurimento, alla fine, è ineluttabile. D'altronde conosciamo stressors che conducono alla morte inevitabilmente, ad esempio un virus letale. O più semplicemente la vecchiaia.
 
Riprendiamo per un momento il fattore “tempo”: cosi come ci si aspetta che un mezzo tecnologico nuovo sia più affidabile di uno che abbia lavorato molto (si pensi a un'automobile nuova o usata), allo stesso modo la resistenza allo stress di un organismo giovane è maggiore -  e con minor tempi di recupero - rispetto a uno anziano.
 
Dobbiamo comprendere come e perché concetti “fisici” siano utili per addentrarci nelle dinamiche psichiche, tenendo presente però alcune peculiarità di queste ultime, che non sempre si comportano in modo lineare:
- ad esempio un soggetto anziano può, grazie all'esperienza e alla maturità, saper affrontare lo stress psicologico meglio di uno giovane.
 
Decliniamo a questo punto le seguenti note.
 
- 5° legge dello sclero: l'organismo può cedere allo stress per scarsa resistenza, per insufficiente adattamento, per carenze energetiche o per limiti psicofisici.
- 5° regola del lavoro: l'individuo previene il cedimento da stress coltivando una mentalità elastica, aggiornandosi, curando la propria alimentazione e sapendosi fermare.
 
Il cervello lavora sempre all’omeostasi. Le emozioni vanno in parallelo e persino la razionalità. A volte non basta doversi difendere dalle minacce esterne, perché s’innescano conflitti interni. E questo diventa terribile per il cervello omeostatico, che si trova il “nemico in casa”. Il cortocircuito mentale diventa molto più probabile, e secondo qualche autore13 [4], persino l’Alzheimer trova terreno più fertile in cervelli stressati...
 
 
 
Andrea Cirincione
Psicologo del Lavoro
 
 
NB: Nelle prossime settimane PuntoSicuro pubblicherà altri capitoli del libro dedicati al mal-essere nel mondo del lavoro.
 
 
 


[1] Attenzione a questi due concetti, che sono fondamentali per gli sviluppi in termini di “selezione”, di cui parleremo più avanti [cap. 17].
[2] Cannon W., The wisdom of the body, 1932
[3] Lo sviluppo mentale del bambino. Edizione italiana: 1967, Einaudi
[4] Articolo su Neurology. Robert Wilson, 2003, Chicago 



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Rispondi Autore: Fabrizio Capelli - likes: 0
20/02/2015 (11:50:28)
ottimo Cirincione, grazie per il contributo, visto le crescenti complessità aziendali e degli stili di vita, il futuro delle malattie invalidanti, nei luoghi di lavoro e di vita purtroppo sarà sempre più lo stress. Impariamo a difenderci. Ad esempio, una voltai i sacchi dei cereali erano di 100 Kg e si portavano a spalla, giustamente ora ...........e si muovono meccanicamente. Esistono ancora degli ambiti di movimentazione carichi critici, ma spariranno. Mentre aumenterà sempre più le problematiche relazionli.

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