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Tutela della salute e della sicurezza sul lavoro con il freno a mano

Tutela della salute e della sicurezza sul lavoro con il freno a mano
Carmelo G. Catanoso

Autore: Carmelo G. Catanoso

Categoria: Normativa

08/06/2017

In Italia qualunque iniziativa di cambiamento riguardante le strategie per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro incontra, prima o poi, il solito muro di gomma. Di Carmelo G. Catanoso.


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L’elevato numero di eventi luttuosi sul lavoro che continuano ad avvenire nel nostro Paese, non appena la crisi che ha attagliato il nostro Paese ha allentato la sua morsa, hanno ancora una volta portato all’attenzione della pubblica opinione la gravità e la frequenza degli infortuni sul lavoro facendo emergere ancora una volta che, il modo di affrontare il problema della sicurezza e della tutela della salute, nelle aziende pubbliche e private in Italia, continua ad essere, perlomeno, suscettibile di notevoli miglioramenti.

 

La stragrande maggioranza degli eventi infortunistici, va detto, si concentra nelle aziende fino a 9 dipendenti che rappresentano l’86,4% del totale mentre le imprese da 10 a 49 dipendenti sono il 12% del totale, grazie all’estrema polverizzazione del settore industriale nazionale.

Il D. Lgs. N. 81/2008, emanato come noto sotto le solite spinte emozionali – emergenziali non sembra aver prodotto i risultati attesi mentre, in questi ultimi mesi, si sta parlando di disegni di legge che introducano il reato di “omicidio sul lavoro”.

 

Francamente, chi scrive pensa da tempo che più che concentrare l’attenzione sulla redazione dell’ennesimo provvedimento legislativo, sia i politici che i legislatori nonché la pletora di esperti o presunti tali che non perdono occasione di pontificare ogni qualvolta ne hanno l’opportunità, dovrebbero prima chiedersi cosa, almeno negli ultimi decenni non ha funzionato e perché e, soprattutto, quali possano essere le azioni da attuare per correggere tale situazione. 

 

Individuare ed attuare una strategia realmente efficace, in effetti, è molto più difficile che emanare un nuovo provvedimento legislativo per seguire l’onda emozionale della pubblica opinione che essendo stato “partorito” in questo particolare contesto, non riuscirà mai a creare quelle condizioni che permettano un effettivo miglioramento della situazione, tenendo conto delle logiche organizzative e decisionali delle aziende nel particolare tessuto industriale del nostro paese. 

 

Un altro possibile rischio che le esperienze passate insegnano è che, una qualunque legge sulla sicurezza sul lavoro, dopo la stesura di una prima bozza, nei vari passaggi, si gonfia di deroghe, particolarità, cavilli vari, esclusioni, ecc. che, quasi sempre, la stravolge.

In teoria, sono tutte leggi che vogliono raggiungere un nobile obiettivo ma finiscono sempre per raggiungerne un altro, molto meno nobile, che, poi, è sempre lo stesso: accontentare tutti (imprese, sindacati, specialisti della prevenzione, enti di vigilanza, magistratura, ordini e collegi professionali, associazioni varie, ecc.).

Il problema molto grave, però, è che questi due obiettivi sono tra loro incompatibili.

 

Del resto, oggi, le cure che vengono indicate sono sempre le stesse: maggiori controlli ed aumenti delle sanzioni.

 

Parlare di nuove leggi, oggi, a giudizio di chi scrive tutto ciò equivale a disquisire sul sesso degli angeli.

 

Il motivo di tale affermazione è che, oggi, non esiste ancora una forma di deterrenza adeguata. Nei casi di reati di puro pericolo, la sanzione comminabile, ad esempio, per la mancanza di una protezione su una macchina non è percepita come un deterrente da un’azienda, in quanto non è economicamente significativa e, soprattutto, è legata alla frequenza sia del verificarsi dell’evento infortunistico che delle attività di vigilanza e controllo che, nei fatti, interessa solo una parte esigua delle imprese esistenti per tutta una serie di ragioni arcinote e che non è il caso di elencare.

 

Oggi la sicurezza e la tutela della salute viene percepita, dalla maggior parte dei soggetti coinvolti a vario titolo, come un insieme di norme e procedure, che non produce valore alcuno e, anzi, va ad intralciare le normali attività produttive. Di conseguenza, nelle imprese, l'investimento in risorse umane e materiali è stato, quasi sempre, discontinuo e dispersivo.

 

Il legislatore, d’altra parte, deve anche comprendere che ogni provvedimento tendente ad imporre, ad un qualsiasi settore industriale, un aumento delle misure organizzative, tecniche, procedurali, ecc. volte a migliorare la frequenza e la gravità degli infortuni e delle malattie professionali, produce sulle imprese, piccole o grandi che siano, un aumento degli investimenti aziendali e dei costi di produzione. I costi possono essere trasferiti, solo in parte, al cliente, mediante un aumento dei prezzi, mentre una buona parte dell'aumento dei costi incide e inciderà sempre, sul reddito d'impresa.

 

Dato che, fino ad oggi, non sono state certo le norme a mancare, possiamo affermare  che fino a quando l'apparato di controllo e prevenzione non sarà veramente tale e fino a che le sanzioni, ma da comminare in tempi brevissimi, non incideranno in modo economicamente rilevante e, soprattutto, non verranno, parallelamente, introdotti sistemi incentivanti adeguati (le sanzioni anche economicamente rilevanti, da sole, non servono a nulla!) senza rimandare il tutto a decreti dal futuro incerto (quanti sono, ad oggi, i decreti realmente emanati perché previsti dal D. Lgs. N. 81/2008?),  la logica economica porterà più d’una impresa a minimizzare i costi totali, tagliando lì dove è possibile farlo, limitando i costi prevenzionali.

In altre parole, appare logico, economicamente, pensare che la sicurezza e la tutela della salute non sia un problema critico e non abbia la necessità di una priorità d’investimenti e si possano, di conseguenza, minimizzare i costi connessi alla prevenzione.

Ed è questo, il retaggio culturale che va demolito adottando strategie di ampio respiro!

 

Le considerazioni precedenti, oltre a delineare obiettivamente il quadro della situazione, permettono di individuare anche alcune azioni da intraprendere per un reale miglioramento dell'attività prevenzionale.

Istintivamente, l'azione che può sembrare prioritaria è quella indirizzata sia verso la richiesta di norme di legge più chiare e burocraticamente più leggere che verso un inasprimento delle sanzioni rendendole economicamente più pesanti, in modo da ricordare alle imprese, nel confronto tra i costi di prevenzione e quelli relativi alla non osservanza delle norme ed al risarcimento dell'infortunio e/o della malattia professionale, che l'attività, volta a tutelare l'integrità psicofisica di tutto il personale, è un problema prioritario, socialmente ed economicamente rilevante che necessita, da parte del soggetto giuridico preposto, un maggiore investimento in risorse, nonché dei risultati che ne misurino l'impegno effettivo.

 

L’incremento delle sanzioni, come detto prima, è una condizione necessaria ma non sufficiente; infatti, a giudizio di chi scrive, si commetterebbe un gravissimo errore pensando di risolvere il problema basandosi solo sulla repressione dei reati.

Le norme di legge ed i controlli sono necessari, ma servono solo a rafforzare le responsabilità attraverso le sanzioni a carico delle imprese ma, proprio per questo, non possono fornire, da sole, sufficienti motivazioni ad investire nella prevenzione.

Basta che la fonte del condizionamento (enti di vigilanza, Magistratura, ecc.) diminuisca, per qualunque ragione, la propria intensità per ritornare al punto di partenza.

Dunque, oggi, il problema prioritario non è solo quello di intervenire sul corpo legislativo di riferimento, purtroppo anche con interventi emergenziali quali quelli del D. Lgs. N. 81/2008, aspettandosi, poi, il miglioramento della situazione (la condivisione delle norme, da parte di talune imprese, è tutt’altro che automatica).

 

Il problema prioritario è, invece, quello di individuare ed attuare nuovi interventi in grado di portare ad un reale miglioramento della sicurezza e della tutela della salute grazie alla loro funzione preventiva deterrente ed incentivante esercitata prima che accadano gli eventi.

 

Certamente utile può essere una campagna di sensibilizzazione generale così come avviene per altre problematiche di interesse della Collettività veicolando messaggi positivi e facendo, invece, attenzione a non scadere in una forma di comunicazione  che tende a scatenare meccanismi psicologici di rimozione o, addirittura, gesti scaramantici, in quanto rappresenta delle situazioni ad altissimo impatto emotivo e psicologico.

 

Comunque, l’importante è comprendere che non ci si deve interessare della sicurezza sul lavoro solo in occasione d’eventi drammatici in cui politici, rappresentanti sindacali delle parti sociali, enti di vigilanza, magistratura, giornalisti ed esperti vari salgono sul palcoscenico offerto loro dai mass media per le esternazioni di circostanza specchiandosi negli obiettivi delle telecamere come novelli Narcisi ma bisogna avviare un processo di comunicazione diffusa in modo da rendere noto a tutti la necessità di un impegno costante da parte di tutti gli attori coinvolti, alimentando nella pubblica opinione la presa di coscienza che un’azienda che non tutela, sotto tutte le forme previste dal nostro ordinamento, il proprio personale è priva di etica e, quindi degna di riprovazione.

In altre parole, se oggi comprando, ad esempio, un elettrodomestico, i consumatori guardano con attenzione la qualità del prodotto e, da qualche anno, anche la classe d’etichettatura energetica, domani dovranno anche chiedersi prima di acquistarlo, per una presa di coscienza del problema, se questo bene è stato  prodotto nel pieno rispetto delle più elementari norme di tutela della sicurezza e della salute di chi materialmente lo ha realizzato, orientandosi, in caso contrario, verso prodotti di altre aziende.

 

Per le piccole imprese, la campagna di comunicazione dovrà puntare sull’impegno etico che l’imprenditore assume per tutelare l’integrità psicofisica delle sue persone, sulla possibilità d’incidere su tutti quegli aspetti che influenzano negativamente il funzionamento dell’impresa (assenteismo, conflittualità, turnover, ecc.) e cioè su quello a cui, qualunque imprenditore, come detto prima, è sempre fortemente interessato, facendogli capire che la sua azienda, viste le dimensioni, non riuscirà mai a compensare questi effetti negativi a differenza della grande impresa o della multinazionale in grado di ridistribuire, con facilità i carichi di lavoro. Importante, è anche insistere sulle ricadute positive che gli investimenti prevenzionali possono portare alla piccola azienda, specialmente se spendibili in termini d’immagine e di reputazione nonché di differenziale positivo nell’acquisizione di nuovi clienti e nel mantenimento degli attuali.

Essenziale è anche strutturare dei meccanismi seri di accesso al mercato da parte delle imprese vincolandoli al preventivo soddisfacimento dei requisiti minimi richiesti dalle norme vigenti in tema di sicurezza e tutela della salute.

 

Come già detto in altri interventi su Puntosicuro, è anche necessario strutturare un permanente e selettivo sistema di finanziamento agevolato delle piccole imprese (abbandonando iniziative pur lodevoli ma aventi carattere emergenziale) permettendo loro sgravi fiscali e contributivi, sia in funzione di un andamento favorevole degli infortuni e delle malattie professionali (condotto in parallelo ma in modo distinto con l'andamento dei tassi specifici INAIL), sia per gli investimenti per il miglioramento continuo del livello di sicurezza, articolati secondo piani triennali di sviluppo. Qualcosa, insomma, che vada oltre la “scontistica” dell’ OT24 o il “Click day” dell’INAIL (quest’ultimo con tutte le polemiche riguardanti le modalità di assegnazione delle risorse disponibili).

 

Se si commette sempre l’errore di non prevedere provvedimenti che permettano di considerare la sicurezza sul lavoro come un invenstimento che produce un ritorno per l’impresa nel breve o, al massimo, nel medio periodo, la conseguenza sarà sempre quella di far percepire qualunque iniziativa in tal senso come un costo e nulla più.

 

Bisogna anche introdurre in modo diffuso, quale materia di studio, la Sicurezza e la tutela della salute nei corsi universitari ma non solo nelle facoltà tecnico-scientifiche come Ingegneria, Chimica, Fisica, Architettura, ecc. ma anche nelle altre visto che, quasi tutte, hanno come sbocco un’attività lavorativa all’interno delle aziende pubbliche/private o un’attività libero professionale o imprenditoriale; importante è anche approfondire maggiormente questa tematica all’interno dei programmi didattici degli Istituti superiori. Di certo questa non è una richiesta dal sapore della novità …. ma a d oggi, in giro, non c’è nulla  al riguardo. Del resto, l’art. 11, comma 1 del D. Lgs. N. 81/2008 prevedeva un sistema di finanziamento per le attività scolastiche ed universitarie ma, dopo più di nove anni, del successivo decreto a cui si rimandava, non c’è traccia.

 

Altrettanto necessario risulta il chiudere definitivamente con la diatriba giuridica dell’introduzione del reato di “ omicidio sul lavoro” e pensare, invece, all’l’introduzione di nuovi sistemi deterrenti in grado di indurre comportamenti fortemente dissuasivi.

Visto che l’attività di controllo, da parte degli enti pubblici preposti è attualmente fortemente carente per i motivi ben noti e che non è il caso, in quest sede,  di evidenziare, si tratterebbe, dunque, di fare una scelta tra un notevole rafforzamento degli organici, sia con trasferimenti di personale tra le varie amministrazioni (previa adeguata formazione), sia con nuove assunzioni (oggi, ci sono 10.000 persone ca. addette ad attività ispettive …… ma i 6000 funzionari realmente presenti sul campo, sono poca cosa verso i quasi 4 milioni di imprese in Italia) con la conseguente necessità di prevedere l’adeguata copertura finanziaria, cosa che, vista la situazione economica del nostro paese, risulta oggi assolutamente non perseguibile.

 

Provocatoriamente, la drastica alternativa potrebbe essere quella di esternalizzare le attività di vigilanza e controllo ad organismi privati riconosciuti/accreditati presso i ministeri del Lavoro e della Salute (e ciò previa la modifica/introduzione di una serie di provvedimenti legislativi che ne rendano possibile l’operatività), in modo da poter concretamente esercitare un’attività deterrente, mediante la maggiore presenza e frequenza dell’attività preventiva su quei settori industriali in cui sono concentrati gran parte degli infortuni e delle malattie professionali (basterebbe usare le statistiche INAIL per individuare target mirati), utilizzando per il loro funzionamento, parte dei proventi derivanti dalle sanzioni comminate.

Agli esistenti organi di vigilanza verrebbero, ovviamente, riservate le competenze di indirizzo e di controllo sull’operato degli organismi accreditati ed incaricati della sorveglianza (al fine di evitare derive per connivenze utilitaristiche o, soprattutto, per tentazioni derivanti dal meccanismo di sostentamento degli stessi organismi privati), verificando periodicamente la sussistenza dei requisiti etici, organizzativi e tecnici  che ne hanno permesso l’accreditamento presso i citati ministeri; ovviamente, gli enti di vigilanza continuerebbero ad occuparsi delle indagini giudiziarie relative agli infortuni ed alle malattie professionali.

 

Le attuali lungaggini penal-burocratiche in cui sono immersi i procedimenti giudiziari, rischiano di alleggerire qualunque potenziale potere deterrente. Allora, non sarebbe una cattiva idea modificare l’iter dei procedimenti giudiziari per infortuni sul lavoro e malattie professionali, separando il procedimento civile da quello penale, rivoluzionando, così, dalle fondamenta tutto il nostro sistema, trasferendolo all’interno di un rapidissimo processo civile, snodantesi attraverso un canale preferenziale e, quindi, svincolato dal processo penale. Ciò è necessario al fine di separare la responsabilità civile oggettiva dalle responsabilità e dal processo penale e, quindi, dalle lungaggini connesse agli accertamenti del giudice penale per individuare la colpa di uno o più soggetti. Qui si tratta, invece, di introdurre una sanzione che derivi dall’accertata ed automatica responsabilità oggettiva per le imprese per l’evento dannoso verificatosi.

Va ricordato che, in questi casi, il trasferimento del rischio, in genere, avviene tramite una specifica polizza; si potrebbe prevedere che la compagnia assicurativa, prima di procedere alla stipula, eserciti, tramite  i propri funzionari, un controllo sul livello dell’affidabilità dell’azienda cliente riguardo la sicurezza e la tutela della salute, al fine di determinare l’oscillazione del premio. In caso di palese inaffidabilità, dovrà essere prevista la mancata stipula della polizza e l’obbligo di invio di una specifica comunicazione della situazione oggettiva esistente agli enti di vigilanza competenti.

In questo modo, si concretizzerebbe un ulteriore deterrente, in quanto, le imprese negligenti, prive di una copertura assicurativa e con l’ente di vigilanza a conoscenza dello stato di fatto, si troverebbero costrette ad adeguarsi agli standard minimi di sicurezza richiesti dalla normativa vigente.

 

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione



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