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SSL: le novità del DL fiscale in attesa di una complessiva riforma del sistema

SSL: le novità del DL fiscale in attesa di una complessiva riforma del sistema
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Normativa

04/11/2021

I commenti sul DL fiscale con le norme e le novità in materia di salute e sicurezza. Quali sono le novità rilevanti? Cosa necessita per trasformarle in una vera riforma del sistema? Ne parliamo con Cinzia Frascheri, responsabile salute e sicurezza Cisl.

Brescia, 4 Nov – Torniamo a parlare dell’articolo 13 del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 – il cosiddetto Decreto Fiscale – che contiene le “Disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”. Disposizioni rilevanti perché, dopo anni di immobilismo del legislatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro, viene a operare importanti e significative modifiche al Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, Testo unico su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

Sul decreto legge 146/2021 ci siamo già soffermati con vari articoli che hanno approfondito vari aspetti correlati innanzitutto alle modifiche in materia di vigilanza e di contrasto al lavoro irregolare e alle gravi violazioni sulla tutela dei lavoratori. Senza dimenticare le novità relative ai comitati regionali di coordinamento, al Sistema Informativo Nazionale di Prevenzione e agli organismi paritetici.

 

Proprio perché riteniamo importante riflettere su queste novità, che qualche commentatore ha criticato come un passo indietro rispetto al passato, abbiamo deciso di pubblicare una serie di opinioni e valutazioni.

Abbiamo dunque diffuso una serie di domande a diversi personaggi che in questi anni, da ambiti e con ruoli diversi, si sono occupati di salute e sicurezza sul lavoro. 

 

Siamo partiti con l’intervista all’avvocato, ed ex dirigente della Divisione Salute e Sicurezza del Ministero del lavoro, Lorenzo Fantini - pubblicata nell’articolo “ Decreto Fiscale: il primo segnale di attenzione per ridurre gli infortuni” - e continuiamo oggi con un’intervista ad un'altra persona che più volte è intervenuta sul nostro giornale per commentare le notizie rilevanti in materia di sicurezza: Cinzia Frascheri, giuslavorista e Responsabile nazionale Cisl per la salute e sicurezza sul lavoro.

 

 

Oltre alle domande fatte anche a Lorenzo Fantini, per raccogliere indicazioni sugli aspetti positivi e negativi della normativa, con Frascheri ci soffermiamo anche sul rapporto tra cultura e paura, sul repertorio degli organismi paritetici (“ Bilateralità e asseverazione: un appello a tutte le aziende”) e, specialmente, sugli interventi necessari di modifica, integrazione e chiarimento per trasformare l’occasione del DL Fiscale in una vera riforma del sistema SSL in Italia.

 

L’intervista si sofferma sui seguenti argomenti:

 

Pubblicità
Il principio di responsabilità quale presidio socio-tecnico di sicurezza
Sviluppare e mantenere nei lavorarori una efficace consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni.

 

Le emergenze, il decreto, le criticità e i dubbi interpretativi

Si è parlato in questi mesi di una vera e propria emergenza in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Qual è la sua opinione sulla situazione infortunistica e delle tutele in questa fase di ripresa del mondo del lavoro? Come affrontarla?

 

Cinzia Frascheri: Il fenomeno infortunistico, a partire dagli accadimenti mortali, e le malattie professionali, come noto, non hanno un'unica causa, e pertanto, un’esclusiva responsabilità, che li determina. Le diverse concause, poi, non sono neanche spesso riconducibili alle sole ragioni afferenti al rischio al quale può essere esposto l’addetto nello svolgimento della mansione. Affrontare il tema della tutela della salute e sicurezza sul lavoro, da sempre, ma sicuramente ancor più oggi, non può prescindere dal considerare i problemi che riguardano il sistema lavoro, nel suo complesso, dall’occupazione, ai rapporti di lavoro, alle esternalizzazioni, all’organizzazione dei processi produttivi, fino alle garanzie di condizioni di lavoro almeno dignitose per tutte le lavoratrici e i lavoratori. Questo non vuol dire negare il dover considerare la prevenzione in ambito lavorativo una assoluta priorità e, valutati i dati degli ultimi tempi – connessi purtroppo alla ripartenza del sistema produttivo – di estrema urgenza, ma non per questo si può, di contro, ritenere che agendo solo su di un fronte, ancor più se basato su interventi a carattere esclusivamente repressivo, il dramma che quasi quotidianamente siamo chiamati a registrare, si risolva.

E’ per questo che la fase di ripresa che si sta avviando nel nostro Paese, non può registrare solo segni positivi dal lato economico, ma deve rappresentare su tutti i fronti, in primis, quello del lavoro e della salute, un cambio di passo reale e a favore di tutti. Anche il tema dibattuto in questi giorni sulla riforma dell’età pensionabile non si può non considerarlo strettamente correlato alle garanzie di tutela della salute e sicurezza. L’approccio olistico, pertanto, divenuto sempre più basilare per la gestione dei temi inerenti al lavoro, non può quindi essere considerato solo una modalità filosofica ed accademica, ma deve divenire una pratica consolidata, a partire dalle politiche di intervento.

 

 

Qual è il suo parere generale sulle nuove norme in materia di salute e sicurezza? Sono quelle giuste per migliorare nel nostro Paese le tutele e diminuire infortuni e malattie professionali?

 

C.F.: L’impennata degli ultimi tempi degli accadimenti mortali sul lavoro non poteva rimanere senza una risposta immediata da parte del Governo. E tale deve essere considerato l’insieme dei provvedimenti che sono stati emanati, inserendoli nella cornice delle disposizioni a carattere fiscale, introdotte con il recente DL 21 ottobre, n.146. Che poi tali interventi, soprattutto modificativi di un sistema normativo, quale il DLGS 81/08 s.m., vigente da oltre dieci anni, ed ancor più di un sistema di vigilanza operativo da oltre quarant’anni (con la riforma del 1978), avrebbero richiesto necessariamente l’avvio di un processo di confronto tra tutte le parti coinvolte (dalle istituzioni, nazionali e locali, alle parti sociali) e la realizzazione, se ritenuta opportuna, di un graduale cambiamento complessivo del sistema, di certo sarebbe stata la via migliore per avviare un tale processo.

Come da ormai “troppo” tempo, difatti, come organizzazioni sindacali, andiamo chiedendo che il nostro Paese si doti di una Strategia nazionale di prevenzione – non ultimo attraverso la piattaforma  presentata in occasione della Campagna nazionale di mobilitazione che a maggio scorso abbiamo avviato sui posti di lavoro – tale da definire, in modo programmatico e strutturale, gli obiettivi, le riforme, le risorse e gli interventi da mettere in atto per garantire in tutti i posti di lavoro quelle tutele della salute e sicurezza volte, sicuramente, ma non solo, a contrastare gli eventi di danno a causa lavorativa.  

Per questo, agendo cercando solo di tamponare le situazioni emergenziali e provando a dare risposte parziali, anche se efficaci, non si può pensare di poterlo fare, soprattutto quando si tratta di intervenire in un quadro di azioni strutturali, con solo alcuni articoli introdotti mediante un decreto legge. Intervenire in un’architettura complessa, come quella del DLGS 81/08 s.m., pensando di poter modificare alcune norme, con la facilità del sostituire singole tessere di un mosaico, è una decisione che non può non presentare problemi, anche rilevanti, di non facile soluzione, aumentando gli ostacoli, anziché rimuoverli.  Detto questo, però, non si può non rilevare, apprezzando la volontà del Governo e, nello specifico, dei ministeri ed enti competenti, la rilevanza degli impegni previsti nelle nuove disposizioni normative, immediatamente operativi, alcuni, e pianificati con precise scadenze di attuazione, altri; modalità non così consuete, specie in tema di prevenzione, in ambito lavorativo.

 

Ritiene che queste norme possano essere migliorate? Quali sono le eventuali criticità o dubbi interpretativi da risolvere?

 

C.F.: Per sua natura il decreto legge ha una vigenza temporalmente determinata. Pertanto, se le disposizioni introdotte si vorranno rendere permanenti, occorrerà procedere con la conversione in legge, procedimento che, comunque, offre la possibilità di poter intervenire sul testo.

In tal senso, andrà sicuramente colta tale opportunità, ritenendo a mio parere che molte disposizioni introdotte non dovranno in alcun modo essere eliminate, ma sicuramente dovranno ricevere modifiche rilevanti, frutto del dibattito che già si è creato tra i diversi attori in campo e gli esperti della materia, al fine di ricondurre le novità in un perimetro di azioni di sistema coerente con l’impianto generale e le finalità della normativa vigente e, per quanto riguarda la vigilanza, nel rispetto del modello duale (oggi ancor più rafforzato dalle novità introdotte), delineato a partire dalla riforma della sanità, e rafforzatosi a seguito delle modifiche costituzionali attuate nel 2001, all’art.117.

Nel frattempo, si auspica vengano emanate circolari esplicative dei provvedimenti introdotti, poiché sono molti i punti del nuovo articolato che destano dubbi interpretativi ed applicativi di non poca rilevanza, tenuto conto che molti di questi sono già pienamente operativi e stanno creando situazioni non all’insegna della chiarezza e della facilità di messa in atto. Conseguenza, quest’ultima, inevitabile quando si introducono disposizioni dall’oggi al domani, senza costruirne intorno le strutture portanti condivise che sostengano i processi di attuazione. Vedi anche solo facendo riferimento ad un provvedimento più prossimo alla parte sociale che rappresento, relativo alle modalità di comunicazione (non esplicitate) all’INAIL e all’INL, da parte degli organismi paritetici, dei dati previsti, secondo il nuovo dettato dell’art.51 del DLGS 81/08 s.m., considerata la già piena vigenza della disposizione.

 

Le novità e annotazioni su vigilanza, SINP e organismi paritetici

Cosa ne pensa dell’estensione delle competenze di coordinamento dell’Ispettorato nazionale del Lavoro? È la scelta giusta per migliorare la vigilanza? Ci possono essere difficoltà per renderla operativa? Ci potrebbero essere resistenze nel trovare un efficace coordinamento tra Ispettorato nazionale del lavoro e aziende sanitarie locali competenti per territorio?

 

C.F.: In primo luogo occorre ricordare, e questo non mi è parso di rilevarlo in questi giorni nei vari commenti espressi sulle novità introdotte con il DL 146/21, che già dall’emanazione del DPCM del 2007, attraverso il quale  sono stati costituiti i comitati regionali di coordinamento, oltre a svolgersi la programmazione della prevenzione e della vigilanza, mediante un confronto e collaborazione tra gli enti competenti in materia sul territorio (tra questi le ASL e le DLT), nell’ambito di ciascun comitato, negli anni, un’attività costante è stata svolta dagli uffici operativi con il preciso mandato di provvedere a definire i piani di vigilanza sul territorio, armonizzandone gli interventi tra gli enti di diversa competenza, nei quali individuare gli obiettivi specifici, gli ambiti territoriali, i settori produttivi, i tempi, i mezzi e le risorse. Questo per dire che, a fronte della modifica introdotta dal DL 146 all’art.13 del DLGS 81/08 s.m., in merito all’aver reso ancor più esplicito il necessario coordinamento operativo dell’attività di vigilanza esercitata dagli organi preposti a questo, sul livello provinciale, svolto dalle DTL e dalle ASL, attraverso un’azione congiunta, tale disposizione non può giungere come una novità, facendone anche oggetto di critica. E, in caso negli anni, in molti territori, il coordinamento auspicato non dovesse essersi realizzato nel modo che avrebbe dovuto, la riproposizione in modo esplicito di tale modello di collaborazione non può che essere considerata assolutamente positiva. Ancor più, in questo caso, richiamando entrambi gli organi (o, meglio, gli enti responsabili, quindi, le regioni e negli ultimi anni, l’ispettorato del lavoro) a favorire la ripresa del coordinamento e confronto sui territori e la piena realizzazione delle attività, dovendo garantire il fondamentale presidio sul livello locale, in piena prossimità delle realtà lavorative.

A tale riguardo, una piccola annotazione critica la si può sollevare sull’aver diminuito, con la modifica apportata all’art.7, la frequenza minima delle riunioni del comitato regionale di coordinamento, già prevista nel DPCM costitutivo,  da  almeno una volta ogni tre mesi, passata oggi, nel dettato del nuovo art.1-bis, senza una ragione evidente, ad almeno “solo” due volte l’anno.

Di tutt’altro tenore, la modifica sostanziale introdotta con l’abrogazione totale del comma 2 dell’art.13, in tema di specificità degli interventi di vigilanza, in materia di salute e sicurezza, svolti da parte dell’ispettorato del lavoro, giungendo così ad eliminare qualsiasi differenziazione nei riguardi delle ASL, tra le attività sulle quali svolgere tale funzione.

 

Le maggiori perplessità, sul punto, credo debbano essere rivolte sicuramente alla rapidità e modalità con le quali si è andati a modificare profondamente un modello che, rimanendo duale, ha perso sostanzialmente le ragioni per esserlo, almeno sul piano dell’attività di vigilanza specifica da svolgere. Un tale cambiamento avrebbe necessariamente richiesto un percorso di confronto, elaborazione e di coinvolgimento esteso, ai diversi attori in campo, comprese quindi le parti sociali, che non essendoci stato, ha alimentato immediate reazioni di contrarietà, anche supportate da giuste e motivate critiche, argomentate con ragioni condivisibili.

L’urgenza portata a motivazione cardine dell’intervento, intendendo dare da parte del Governo e, in particolare, per volontà espressa del ministero del lavoro, una risposta immediata alla drammatica catena interminabile degli accadimenti mortali verificatisi negli ultimi tempi, se ne si comprende e condivide le motivazioni poste alla base, meno lineare appare la scelta praticata, non solo perché sostanzialmente orientata alla mera repressione, ma perché ne emergono i limiti, rappresentati dall’evidente difficile raggiungimento degli obiettivi che hanno determinato il percorrere tale strada.

Se il piano di assunzioni porterà un aumento nei prossimi mesi di circa 1500 unità operative all’interno dell’ispettorato del lavoro, al di là dei titoli in entrata, il percorso di acquisizione del ruolo, specie nella vigilanza in ambito lavorativo sui temi della salute e sicurezza sul lavoro, dove la conoscenza tecnica non è l’unica (e forse neanche la prima) competenza che si deve possedere, richiederà sicuramente un tempo adeguato, oltre a quello necessario per la formazione specifica. Un tempo che, considerata l’esigenza espressa di moltiplicare le ispezioni nelle aziende, non sembra conciliarsi con il poter contare fin da subito sulle nuove assunzioni nell’ispettorato per poter supportare l’attività, svolta ad oggi (in sofferenza), da parte degli operatori delle ASL.

 

L’auspicio, comunque, è quello che, in vista di una più complessiva e ragionata riforma del sistema, che non riguardi solo la vigilanza, ma che riveda l’intero sistema di prevenzione in Italia, da parte delle regioni, stimolate dalle novità legislative introdotte dal DL 146/2021, non venga un blocco, volto a contrastare quanto previsto, ma un impegno diffuso allo stanziare e predisporre concretamente  risorse economiche ed organizzative (come stabilito  nel PNP e, di riflesso, nei PRP),  al fine di supportare l’azione insostituibile delle ASL. In particolare, nel consentire la prosecuzione di quegli interventi di supporto sul territorio, svolti in tutti questi anni, che hanno contribuito ad elevare il livello di tutela in tante realtà lavorative, specie piccole e medie, che sono il cuore pulsante del nostro sistema produttivo.

 

Quali sono stati a suo parere i motivi dei ritardi nel rendere operativo in questi anni il Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro?

 

C.F.: Se è corretto precisare che solo nel 2016, con il decreto interministeriale n.183, è stato emanato il Regolamento tecnico per la realizzazione e il funzionamento del SINP, e solo nel 2018, con il decreto ministeriale n.14, è stato costituito il tavolo tecnico per rendere operativo il Sistema, non è comunque  accettabile che anche solo ci siano voluti otto anni (quale novità introdotta dal DLGS 81/08) per delineare le regole di funzionamento, e già tre anni di attività del tavolo, senza poter contare sugli esiti del confronto tra i flussi informativi, a favore dei piani di prevenzione e dei programmi di vigilanza.

A fronte di questo quadro, già dalle evidenti ombre, le ragioni che si conoscono per le quali ancora non si può ritenere essere giunto a regime il SINP, sono principalmente riferite alla complessità di far dialogare le diverse banche dati regionali, quali principali fonti delle informazioni in esse presenti (tenuto conto che ogni regione, negli anni, si è dotata di modalità e criteri propri di archiviazione, pur essendo previsti coordinamenti interregionali, tra cui, quello sui temi della prevenzione e della salute).

Pensare adesso, di andare ad arricchire i flussi di dati già previsti (e non ancora disponibili ed integrati), con una nuova sezione relativa alle sanzioni irrogate dagli organi di vigilanza, come previsto dalla nuova disposizione introdotta, alimentata direttamente da questi ultimi, se un plauso va alla rilevanza dell’aver previsto questa ulteriore flusso di dati molto significativi, di contro, preoccupa la realizzazione, considerato che oltre alle difficoltà, prima richiamate da parte delle regioni, si potranno aggiungere anche quelle da parte dell’INL. Dovendo, inoltre, registrare che fino all’emanazione del DL 146/2021 l’Ispettorato nazionale non era neanche previsto facesse parte dei componenti istituzionali del SINP.

I ritardi e le difficoltà che hanno inciso fino ad oggi sull’operatività del Sistema informativo nazionale non devono però in alcun modo influire sul ritenerlo uno strumento di indubbio valore, soprattutto nell’ottica del considerare il tema della salute e sicurezza nel quadro più ampio del lavoro.

 

Attraverso il decreto-legge sarà possibile istituire il repertorio degli organismi paritetici. Qual è la rilevanza di questa novità? Quali sono le conseguenze di questo nuovo strumento?

 

C.F.: Riscontrando positivamente l’accoglimento delle richieste delle parti sociali, protrattesi per lunghissimi anni, dell’istituzione del repertorio nazionale degli organismi paritetici, l’elemento di maggior rilievo è sicuramente l’introduzione di un termine massimo per l’emanazione del decreto istitutivo (entro 6 mesi), considerata l’esperienza fallimentare della redazione di una bozza di decreto a tale fine, predisposta al tavolo della Commissione consultiva permanente, e mai trasformata in testo definitivo.

 

L’istituzione del Repertorio, definiti i criteri identificativi, produrrà gli effetti sperati, in particolare escludendo dall’offerta formativa tutti gli organismi non titolati (o non regolari) a svolgere tali servizi nei riguardi delle aziende, solo se verrà garantita in modo puntuale da parte del ministero del lavoro la piena verifica delle rispondenza ai criteri delineati (non facile, a partire dal verificare che le parti componenti l’organismo paritetico siano comparativamente più rappresentative sul livello nazionale). Il Repertorio nazionale, quando istituito, dovrà indubbiamente andare a ricomprendere, svolgendo le verifiche necessarie, gli elenchi già esistenti in qualche regione, in modo da costituire un'unica banca dati che sarà determinante anche per incrociare i dati sull’attività di formazione organizzata dagli organismi, divenuta oggetto di comunicazione ufficiale, quale novità introdotta con il DL 146/2021, da parte di quest’ultimi all’INAIL e l’INL.

 

Il decreto-legge, quello che manca e i possibili futuri interventi di modifica

Ci sono norme che lei ritiene necessarie o importanti e che non sono presenti nel decreto-legge? 

 

C.F.: Non volendo in alcun modo pensare che quando disposto, in tema di salute e sicurezza, con il DL 146/2021, costituisca il complessivo impegno e l’insieme degli interventi che il Governo ha in programma di attuare per arginare l’emergenza degli accadimenti, in occasione di lavoro, a partire da quelli ad esito mortale, tutto quanto non previsto nell’articolato sul tema, auspico divenga oggetto di prossimi imminenti provvedimenti di natura legislativa, già da tempo, comunque, ritenuti prioritari, da parte delle organizzazioni sindacali nazionali.

Ritenendo di assoluta urgenza il giungere a definire i criteri per l’adozione di un sistema di qualificazione delle imprese (andando oltre il mero modello della patente a punti, non applicabile a tutti i settori come per l’edilizia), considerato l’aumento esponenziale del lavoro in appalto e del numero rilevante di infortuni che si verificano nello svolgimento delle mansioni svolte nell’ambito di tali contratti, non di minore urgenza è sicuramente la riforma della formazione. Non esaurendosi solo sulla revisione dei programmi (almeno riferiti alla figura dell’RSPP/ASPP, ruolo di necessaria trasformazione) e sul sistema di accreditamento degli enti erogatori sul territorio, ma in particolare sull’introduzione dell’obbligo nei riguardi dei datori di lavoro e nei programmi scolastici, fin dai primi anni dell’istruzione.

Non meno per quanto concerne il rendere generalizzata la rappresentanza, in tema di prevenzione (RLS/RLST), in ogni contesto lavorativo, andando ad attuare quanto già disposto all’art.52 del DLGS 81/08 s.m., introducendo un termine massimo per l’elaborazione del decreto volto a stabilire le regole di funzionamento. E, direttamente correlato a questo, la messa in conoscenza da parte dell’INAIL nei riguardi almeno degli organismi paritetici (lato sindacale), dell’elenco delle aziende nelle quali sono stati regolarmente eletti gli RLS, nel quadro più ampio del favorire l’intersecazione tra flussi di dati ai fini della prevenzione e tutela.

Non dovendo, poi, dimenticare il fenomeno, altrettanto drammatico dell’aumento delle malattie professionali, opportuno quanto mai sarebbe un ripensamento generale sulla figura del medico competente, rafforzandone il ruolo (ma richiamandone il rispetto di tutte le funzioni attribuitegli, non esclusivamente legate alla sorveglianza sanitaria in senso stretto, anche introducendo e irrogando sanzioni, a tale fine).

 

Nel commentare questo decreto qualcuno indica che si è puntato più sulla paura che sulla cultura. Lei che ne pensa?

 

C.F.: Non ritengo che tale giudizio sia calzante nei riguardi dei provvedimenti che sono stati introdotti con il DL 146/2021, in tema di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, in particolare quali interventi di modifica ed integrazione al DLGS 81/08 s.m..

Previsti, infatti, interventi di natura diversa, ad essere interessati da modifiche/integrazioni sono sei articoli che trattano questioni differenti, intervenendo su alcuni punti nodali a favore della prevenzione e tutela, come anche in modo radicale sul sistema di vigilanza.

In merito, poi, alla revisione completa dell’articolo sui provvedimenti di sospensione dell’attività, se le modifiche apportate guardano più alla repressione che alla prevenzione, non va dimenticato che tali interventi è previsto siano aggiuntivi alle sanzioni già stabilite dalla normativa vigente e vengano applicati a fronte di condizioni di violazioni gravi o di lavoro irregolare o sommerso che non possono certo essere tollerate, in quanto tali. Ma soprattutto perché queste condizioni sono di frequente motivo di maggior esposizione delle lavoratrici e lavoratori ai rischi in ambiente di lavoro, non ricevendo le tutele minime adeguate, come una valutazione dei rischi puntuale o la formazione minima necessaria, ancor più in quanto spesso tenuti in posizione di “invisibilità” e, per questo, sotto ricatto.

 

Infine, se venisse convertito il decreto in legge, quali interventi di modifica o integrazione riterrebbe necessari?

 

C.F.: Ritenendo possa essere affidato più ad una circolare esplicativa che ad una modifica nel testo dell’articolato del DL 146/2021, utile sarebbe sicuramente venisse precisato, ogni volta che viene indicato l’intervento dell’ispettorato del lavoro, il livello al quale ci si riferisce. Considerato, difatti, che solo nei nuovi testi degli artt.7 e 14 del DLGS 81/08 s.m., viene precisato, correttamente, il livello territoriale (DTL), lasciando ad un indifferenziato livello nazionale (INL) tutti gli altri riferimenti, per ognuna delle volte che l’ispettorato viene affiancato alle ASL, creando una condizione di non chiarezza, che non aiuta la comprensione, tenuto conto del differente livello di operatività.  

 

Diversamente, gli interventi che ritengo sarebbero necessari, sul piano esplicitamente del merito dei provvedimenti introdotti, oltre a quanto già anticipato nelle risposte precedenti, riferito al prevedere un tempo specifico entro il quale emanare il decreto attuativo del Fondo, ex art.52 e l’ulteriore flusso informativo da parte dell’INAIL verso gli organismi paritetici (lato sindacale), riferito alle aziende nelle quali è stato regolarmente eletto un RLS, riguardano principalmente le fattispecie di violazione ai fini dell’adozione dei provvedimenti di sospensione, previsti nel nuovo All. I, di cui al modificato art.14 del DLGS 81/08 s.m.. All’elenco, sostanzialmente confermato, sarebbe quanto mai rilevante, soprattutto considerato i tanti accadimenti che stanno da tempo susseguendosi a causa di inadeguati trattamenti di tutela nell’ambito dei rapporti di appalto, che venisse inserita tra le violazioni la “mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi da interferenza (DUVRI)”; così, sullo stesso piano, sarebbe fondamentale, sempre a fine di contrasto agli eventi infortunistici maggiormente frequenti, che venisse anche aggiunto tra le violazioni il “mancato svolgimento dell’addestramento”, obbligo troppo spesso non rispettato in modo adeguato e fautore di molteplici accadimenti.  

Infine, sarebbe necessario che venisse chiarito che “l’omessa vigilanza”, prevista al nuovo punto 12 delle violazioni, sempre nel modificato All. I, posta a carico del datore di lavoro, si riferisce alle diverse posizioni di garanzia (quindi, oltre alla figura del datore, anche del dirigente e del preposto) chiamate a svolgere i controlli, per evitare le rimozioni o le modifiche durante l’attività lavorativa, e non al merito tecnico della presenza o meno dei dispositivi di controllo, sicurezza o segnalazione, posti sulle macchine.

 

 

 

Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto

 

 

Scarica la normativa di riferimento:

Decreto-Legge 21 ottobre 2021, n. 146 - Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili.

 



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