Movimentazione manuale: rischio da sovraccarico biomeccanico al rachide
Bologna, 15 Feb – Sappiamo che i rischi correlati alla movimentazione manuale dei carichi sono ampiamente diffusi, malgrado la continua evoluzione tecnologica nel mondo del lavoro, in molti comparti lavorativi. E le patologie muscolo-scheletriche in generale, specificatamente quelle afferenti la colonna vertebrale, sono diventate una “problematica di significativo spessore oltre che diffusione, con risvolti psico-sociali, economici e medico-legali, sia nella popolazione generale, che in quella lavorativa”.
Ed è ampiamente dimostrato che il sovraccarico biomeccanico al rachide, “ovvero la ripetuta sollecitazione meccanica dei differenti distretti della colonna vertebrale” e principalmente di quello dorsolombare, “a seguito essenzialmente di attività di movimentazione manuale di carichi, possa indurre alterazioni degenerative anche irreversibili”.
Ed è con queste parole che viene presentato il tema generale della movimentazione manuale di carichi in uno dei tanti documenti correlati al progetto multimediale Impresa Sicura elaborato da EBER, EBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna, Inail e validato dalla Commissione Consultiva Permanente come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013.
Il documento “ ImpresaSicura_Impiantistica elettrica di cantiere”, che fornisce agli installatori degli impianti elettrici in cantiere e alle imprese utilizzatrici precise informazioni sulla salute e sicurezza degli operatori, ci permette dunque di soffermarci oggi su alcuni aspetti del rischio da sovraccarico biomeccanico al rachide.
La diffusione delle affezioni cronico degenerative
Nel documento si ricorda che il sovraccarico biomeccanico e di conseguenza la movimentazione manuale di carichi (MMC), suo principale fattore di rischio, “possono essere correlati a tutta una serie di affezioni cronico degenerative a livello della colonna vertebrale, comuni nella popolazione generale, ma anche in quella lavorativa, nel qual caso vengono definite in maniera generica con il termine di Low Back Pain (LBP)”.
E si segnala che tali LBP “sono al secondo posto tra i dieci problemi di salute più rilevanti nei luoghi di lavoro (NIOSH - National Institute for Occupational Safety and Health)”.
Alcuni dati statunitensi rilevano che:
- il Low Back Pain determina una media di 28,6 giorni di assenza per malattia ogni 100 lavoratori;
- è la principale causa di limitazione lavorativa nelle persone con meno di 45 anni di età;
- sono le affezioni croniche più diffuse”.
E anche nel nostro paese queste patologie sono tra le principali ragioni di non idoneità o idoneità con prescrizione da parte dei medici competenti.
Le conseguenze sulla salute dei lavoratori
Il documento segnala che la colonna vertebrale è “una struttura complessa, costituita da differenti elementi, i principali dei quali sono rappresentati dalle vertebre, dai dischi intervertebrali, oltre che da muscoli e legamenti, con funzioni di sostegno e movimento, ma anche di protezione delle strutture nervose. La colonna presenta tre curve fisiologiche a livello cervicale (lordosi), dorsale (cifosi) e lombare (lordosi) ed è in grado generalmente di sopportare carichi notevoli”. In particolare ogni elemento “svolge una funzione ben precisa, ma specificatamente le vertebre hanno funzione di sostegno, inserzione e protezione degli altri elementi ed i dischi intervertebrali oltre a connettere i corpi vertebrali, funzionano da cuscinetti capaci di assorbire e distribuire gli stress meccanici. Il disco intervertebrale costituito da un nucleo gelatinoso rivestito da un anello fibroso, è in grado di sopportare carichi anche notevoli, deformandosi a seguito dello stimolo meccanico e recuperando dimensioni e forma originari con la cessazione dello stesso”. Se tuttavia viene sottoposto ad un carico eccessivo, con superamento dei limiti di tolleranza, “è possibile l’instaurarsi a carico del disco, di processi degenerativi che in prima analisi determinano la comparsa di dolore”.
Ed è proprio l’attività di movimentazione manuale dei carichi che può “determinare carichi discali superiori ai limiti definiti tollerabili e pari a 275 kg nelle femmine e 400 kg nei maschi o addirittura il superamento del carico di rottura dell’unità disco-vertebra fissato a circa 650 kg”.
Dal documento riprendiamo uno schema che riassume alcuni livelli di carico sul disco tra la III e la IV vertebra lombare (L3-L4), di un soggetto di 70 kg di peso in diverse posture e condizioni di carico:
Inoltre bisogna tener conto che con l’invecchiamento si assiste ad un “decremento nella resistenza ed elasticità del disco intervertebrale, con conseguente progressiva perdita della capacità da parte dello stesso, di fungere da vero e proprio elemento ammortizzante interposto fra le vertebre”. E l’invecchiamento del disco viene poi accentuato dall’effettuazione di sforzi eccessivi e dalla vita sedentaria, oltre che dalla MMC e dall’assunzione di posture fisse”.
Il documento ricorda anche che al di là del carico, il disco risente notevolmente anche “delle caratteristiche biomeccaniche della colonna: il baricentro del corpo è anteriore rispetto alla colonna e la caduta in avanti è impedita dall’azione dei muscoli posteriori che fungono da leva. Se i bracci di leva hanno la stessa lunghezza, per bilanciare un peso di 40 kg occorre esercitare una forza analoga e sul fulcro appoggiano 80 kg. Se invece i bracci di leva hanno lunghezza diversa, come accade per la colonna vertebrale, il fulcro dovrà sopportare un peso maggiore: ad esempio se la lunghezza del braccio di leva è tre volte maggiore, per bilanciare un peso di 40 kg occorre esercitare una forza di 120 kg e sul fulcro (cioè sul disco intervertebrale) appoggiano 160 kg”.
In definitiva per bilanciare questo peso i muscoli posteriori “devono esercitare una forza molto superiore perché il braccio di leva dei muscoli è di soli 5 cm così, tanto maggiore è la distanza del peso sollevato dal corpo, maggiore sarà il carico che la colonna deve sopportare”.
Le patologie della colonna vertebrale
Riprendiamo, sempre dal documento, una breve descrizione delle principali patologie della colonna vertebrale:
- artrosi: “dolore locale causato dalla presenza di protuberanze ossee che si formano sul bordo della vertebra (becchi artrosici). Se questi comprimono un nervo, determinano la comparsa di formicolii e dolori nel territorio di innervazione di quel nervo”;
- ernia del disco: “si origina quando la parte centrale del disco intervertebrale (nucleo polposo), attraversa l’anello fibroso che lo racchiude, fuoriuscendo dal disco e provocando la compressione dei nervi spinali, con dolore irradiato alla schiena (lombalgia) e alla gamba (sciatica)”;
- lombalgia acuta (o colpo della strega): “è caratterizzata da dolore acutissimo per una reazione immediata dei muscoli e altre strutture della schiena, a seguito di modalità di movimentazione scorretti o sovraccaricanti. Compare nel giro di poche ore e va considerata come infortunio se è correlabile con l’attività lavorativa”.
Il sovraccarico e la normativa di riferimento
Riguardo, infine, alla normativa di riferimento in materia di salute e sicurezza su lavoro il documento riporta non solo alcune norme tecniche (ad esempio ISO 11228-1, ISO 11228 – 2, ISO 11228 – 3 e UNI EN 1005-2) ma anche alcune indicazioni legislative con particolare riferimento al contenuto del Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D. Lgs. 81/2008).
Si riprende brevemente il contenuto dell’articolo 168 (obblighi del Datore di Lavoro) dove si indica che il datore di lavoro “deve adottare tutte le misure necessarie (organizzative o tecniche), in particolare attrezzature meccaniche per evitare la necessità di una movimentazione dei carichi da parte dei lavoratori (comma 1)”. E qualora non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi ad opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati e fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi, tenendo conto dell’allegato XXXIII del Testo Unico, ed in particolare:
a) organizza i posti di lavoro in modo che detta movimentazione assicuri condizioni di sicurezza e salute;
b) valuta, se possibile anche in fase di progettazione, le condizioni di sicurezza e di salute connesse al lavoro in questione tenendo conto dell’allegato XXXIII;
c) evita o riduce i rischi, particolarmente di patologie dorso-lombari, adottando le misure adeguate, tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischio, delle caratteristiche dell’ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività comporta, in base all’allegato XXXIII;
d) sottopone i lavoratori alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41, sulla base della valutazione del rischio e dei fattori individuali di rischio di cui all’allegato XXXIII.
Segnaliamo che il documento, che vi invitiamo a visionare integralmente, si sofferma anche su altri articoli del Testo Unico e riporta un approfondimento dei metodi valutativi del rischio da sovraccarico biomeccanico al rachide.
Per ulteriori informazioni sul tema più generale delle patologie muscolo scheletriche, rimandiamo all’articolo di PuntoSicuro dal titolo “ Patologie muscolo scheletriche: linee guida e buone prassi”.
RTM
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