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Compiti e responsabilità antinfortunistiche del lavoratore
Pubblichiamo alcuni estratti dal nuovo libro di Rolando Dubini, dal titolo “Guida alla sicurezza per il Preposto e il Dirigente - I contenuti della formazione particolare aggiuntiva per il preposto e per il modulo giuridico per il dirigente”, pubblicato da Punto Sicuro/Media Italia Media nel maggio del 2013. Ci soffermiamo oggi in particolare sui compiti e responsabilità antinfortunistiche del lavoratore.
Compiti e responsabilità del lavoratore
In materia di compiti e responsabilità del lavoratore è preliminarmente necessario osservare che “l'inosservanza delle norme di prevenzione da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza” [Cass. Pen., sez. IV, 23.01.2008 n. 3448 ].
La direttiva n. 391/89/CEE, che ha dato origine al D. Lgs. n. 626/1994 prima e al D.Lgs. n. 81/2008 poi (quale disposizioni legislative nazionali di recepimento) ritiene “indispensabile” che i lavoratori “siano in grado di contribuire, con una partecipazione equilibrata ..., all'adozione delle necessarie misure di sicurezza” (art. 11 paragrafo 1).
Le norme del “testo unico” sulla sicurezza D.Lgs. n. 81/2008 si applicano a tutti i lavoratori, anche autonomi e parasubordinati che, a prescindere dal tipo di contratto e dalla retribuzione, svolgono la propria prestazione all’interno dell’impresa. Sono esclusi i lavoratori domestici e familiari (articoli 2 e 3).
Rispetto al precedente articolo 5 del D.Lgs. 626/94, ora abrogato, l’articolo 20 del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 sugli obblighi dei lavoratori non presenta novità sostanziali, fatta salva l’esplicitazione alla lettera h) dell’obbligo (prima implicito) del lavoratore di partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro nonché l’introduzione dell’obbligo, derivante dalla legge 123/2007 (ora in gran parte assorbita dal decreto n. 81/2008), di esporre la tessera di riconoscimento nei casi previsti dall’art. 26.
Devono esporre la tessera di riconoscimento solo i lavoratori di aziende che svolgono attività in regime di appalto o subappalto e i lavoratori autonomi che prestano la propria attività in azienda. Se viola questo obbligo, il lavoratore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 200 euro (articolo 20 e 59 D.Lgs. n. 81/2008).
Il lavoratore deve partecipare ai programmi di formazione organizzati dal datore di lavoro, altrimenti rischia la sanzione penale dell’arresto fino a un mese dell’ammenda da 300 a 600 euro (articolo 20 e 59 D.Lgs. n. 81/2008)
In termini di “gerarchia” nell’elencazione degli obblighi, rilievo prioritario assume ora la collaborazione prevenzionale, posto che i lavoratori devono “contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”, art. 20 c. 1 lett. a D.Lgs. n. 81/2008, corrispondente alla lettera h) dell’art. 5 del vecchio D.Lgs. 626/94.
L’articolo 4 del Dlgs n. 81/2008 prevede una particolare modalità di computo dei lavoratori in base alla quale, ai fini della determinazione del numero di lavoratori dal quale la normativa contenuta nel decreto fa discendere particolari obblighi (ad es.: SPP interno, obbligo di riunione periodica, numero degli RLS, svolgimento diretto dei compiti di RSPP da parte del datore di lavoro, etc.), non vengono computati coloro che appartengono ad alcune categorie di lavoratori che pure devono essere tutelati in quanto rientranti nella definizione di lavoratore di cui all’articolo 2 comma 1 lett. a) (ad es. i volontari), o vengono computati sulla base del numero di ore di lavoro effettivamente prestato nell’arco di un semestre (come nel caso dei lavoratori somministrati e di quelli assunti con contratto part time).
Ai sensi dell'art. 20 comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008 i lavoratori sono soggetti a molteplici doveri prevenzionistici, in generale riassumibili nel principio secondo il quale “ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.
In particolare, ai sensi dell'art. 20 comma 2 D. Lgs. n. 81/2008, i lavoratori devono:
“a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale; (Arresto fino a un mese o con l’ammenda da 300 a 600 euro);
c) utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto e, nonché i dispositivi di sicurezza; (Arresto fino a un mese o con l’ammenda da 300 a 600 euro);
d) utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione; (Arresto fino a un mese o con l’ammenda da 300 a 600 euro);
e) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l’obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Arresto fino a un mese o con l’ammenda da 300 a 600 euro);
f) non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo (Arresto fino a un mese o con l’ammenda da 300 a 600 euro);
g) non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori (Arresto fino a un mese o con l’ammenda da 300 a 600 euro);
h) partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro; (Arresto fino a un mese o con l’ammenda da 300 a 600 euro);
i) sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal medico competente (Arresto fino a un mese o con l’ammenda da 300 a 600 euro)”.
La sentenza di Cassazione, sezione IV penale n. 6187 del 18.05.99, ha messo in luce “la maggiore responsabilizzazione del lavoratore rispetto alla sicurezza del lavoro, configurata dal D.Lgs. 626/94”, prima, e ribadita dal D.Lgs. n. 81/2008 poi, che “postula la messa in opera di una diversa organizzazione del lavoro, prevista dalla medesima legge, attraverso, da un lato, la programmazione e la procedimentalizzazione dell’obbligo di sicurezza e, dall’altro, la formazione ed informazione, nelle forme previste, dei lavoratori …”.
Si badi comunque che “le norme di sicurezza dettate a tutela dell'integrità fisica del lavoratore vanno attuate anche contro la volontà del lavoratore stesso, sicché risponde della loro violazione il datore di lavoro che non esplichi la sorveglianza necessaria alla rigorosa osservanza delle norme medesime” (Cass. Pen., sez. V, 10.10.1978, Perani e altro).
Ciò in base al “più generale dovere di diligenza che il prestatore di lavoro deve osservare nello svolgimento delle mansioni, adeguandosi alle disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai suoi collaboratori (art. 2104 c.c.)” (cfr. Dubini-Molfese, Salute e sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro, edizioni Simone 1998, pag. 179).
E difatti “in caso di mancata osservanza delle misure di sicurezza da parte di uno o più lavoratori, il capo reparto non può limitarsi a rivolgere benevoli richiami, ma deve informare senza indugio il datore di lavoro o il dirigente legittimato a infliggere richiami formali e sanzioni a carico dei dipendenti riottosi” (Cass. Pen. sez. IV, 13.07.1990 n. 10272, Baiguini, in Guariniello, Sicurezza del Lavoro e Corte di Cassazione, Il Repertorio p. 43).
La Cassazione ha stabilito più volte che “perché l’imprenditore possa considerarsi esonerato da responsabilità per l'infortunio occorso all’operaio dipendente è necessario che questi agisca di propria iniziativa, senza necessità, all'insaputa del datore di lavoro, che l’attività compiuta sia del tutto estranea alle modalità di svolgimento dei compiti affidatigli” (Cass. sez. IV, ud. 5.2.79, Pirrotta) , nel senso che "solo quando la condotta del lavoratore sia del tutto anormale, esorbitante dal procedimento di lavoro cui egli è addetto, oppure si traduca nell’inosservanza da parte sua di precise disposizioni antinfortunistiche e di ordini esecutivi, è configurabile la colpa dell' infortunato nella produzione dell’evento, con esclusione in tutto o in parte della responsabilità degli imprenditori" (Cass. sez. VI, 1.03.1978,Motti).
L'art. 6 comma 1 lettere b) e c) del d.P.R. n. 547 del 1955 (cui corrisponde, con identico contenuto, l'articolo 5 del d.P.R. 19 marzo 1956 n. 303, nonché l'art. 5 del D. Lgs. n. 626/94 e ora l'articolo 20 del D.Lgs. n. 81/2008) impone al lavoratore di “usare con cura i ... mezzi di protezione ... forniti dal datore di lavoro”, e di segnalare al datore di lavoro deficienze di dispositivi e di mezzi di sicurezza e protezione, ma tale obbligo ha significato solo in quanto si riferisca esclusivamente “a situazioni di deficienza che si manifestino improvvisamente e, per tale motivo, non siano note al datore di lavoro” [Cass. Pen., sez. IV, 20.05.1987, Cass. Pen. 1988, 1250 (s.m.), conforme: Cass. Pen., sez. IV, 11.10.1984, Cass. Pen. 1986, 816 (s.m.)]: “il lavoratore ha l’obbligo – il cui adempimento non esonera, comunque da eventuale responsabilità il datore di lavoro - di intervenire sulle carenze, in tema di sicurezza, che si manifestino improvvisamente durante il lavoro” (Cass. Pen. sez. IV sent. 20145 18.3.2001).
Dunque l’art. 6 DPR 547/55 prima, l'art. 5 del D. Lgs. n. 626/94 poi, l'art. 20 del D.Lgs. n. 81/2008 ora, impone ai lavoratori non solo “l’obbligo di segnalare immediatamente le deficienze dei dispositivi e dei mezzi di sicurezza e di protezione, ma anche di adoperarsi direttamente, nell’ambito delle loro competenze e possibilità per eliminare o ridurre dette deficienze o pericoli” (Cass. Pen 10.6.1969): “la norma dell'art. 5 del D.Lgs. n. 626/1994 [sostituita dall'art. 20 del D.Lgs.n.81/2008], che ha abrogato tacitamente per incompatibilità i corrispondenti artt. 5 del d.P.R. n. 303/1956 e 6 del d.P.R. n. 547/1955, ha un contenuto precettivo analogo a quello di queste due ultime norme, le quali, se prevedevano, come lo prevede l'art. 5 del D.Lgs. n. 626/1994, l'obbligo del lavoratore di segnalare tempestivamente le deficienze dei dispositivi e dei mezzi di sicurezza e di protezione, nonché le altre eventuali condizioni di pericolo di cui fosse venuto a conoscenza durante l'espletamento della propria attività lavorativa, lo prevedevano, però, secondo la costante giurisprudenza, unicamente riguardo alle carenze che si manifestassero improvvisamente durante il lavoro e non riguardo alle carenze preesistenti che il datore di lavoro avrebbe dovuto conoscere ed eliminare di propria iniziativa, indipendentemente dalla noncuranza o dalla relativa inerzia dei dipendenti” ( Cass. sez. pen. 18.05.2001, n. 20145).
Come detto, il lavoratore è tenuto a usare con diligenza i mezzi di protezione personale ricevuti in dotazione, gli stessi devono però essere “concretamente muniti delle necessarie qualità” e devono inserirsi “in un contesto contraddistinto dall'attuazione dei mezzi tecnici e organizzativi”, “altrimenti non sorge l'obbligo di impiego del presidio personale e semmai può scattare il mero obbligo di segnalare le deficienze qualora il datore di lavoro ignori, per causa a lui non imputabile, le deficienze e le conseguenti situazioni di pericolo” [Pretura Torino 9.06.1984, Riv. giur. lav. 1985, IV,648, conforme a Cass. Pen., sez. IV, 28.01.1981, Cass. Pen. 1982, 1061] (V. Casi e Questioni, Ispoa, aggiornamento II-1998).
Sono considerati del tutto assimilati ai lavoratori dipendenti, anche per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni regolamentari e di prevenzione impartite: il personale appartenente ad altre aziende, sia pubbliche che private, che, a norma di convenzione opera nei locali del datore di lavoro (salvo diverse specifiche previsioni degli atti convenzionali); i lavoratori non organicamente strutturati ma dei quali l’istituto si avvale in virtù di appositi e regolari contratti stipulati con gli stessi; gli studenti dei corsi universitari, i dottorandi, gli specializzandi, itirocinanti, i borsisti ed i soggetti ad essi equiparati che frequentano l'azienda per ragioni didattiche e di ricerca; i volontari frequentatori che operano sotto la responsabilità di un dirigente di unità operativa, ecc..
L'obbligo di correttezza e di buona fede contrattuale del lavoratore
Il principio della correttezza e della buona fede contrattuale ex art. 1375 cod. civ., esige che, quando per la tutela (dell'integrità fisica e della personalità morale) del prestatore è necessario anche un suo comportamento, questi, dando la propria collaborazione (diretta alla propria stessa tutela), effettui tale comportamento. L'omissione della dovuta collaborazione da parte del prestatore costituisce pertanto violazione dell'obbligo di correttezza e buona fede (ex artt. 1175 e 1375 cod. civ.). Poiché la collaborazione del lavoratore è diretta ad evitare l'evento, la violazione del predetto obbligo costituisce comportamento colpevole che concorre (potenzialmente) alla determinazione dell'evento stesso. L'obbligo del dipendente a tale comportamento presuppone l'adempimento dell'obbligo datorile. L'indicata violazione da parte del dipendente esclude la responsabilità del datore solo ove sia stata (ex art. 41 cod. pen.) causa di per sé sola sufficiente a determinare l'evento. Ed è onere del datore dare di ciò la prova [Cassazione civile, sez. lavoro, 3.07.2008 n. 18376].
Aspetti penali
La condotta del lavoratore realizzata in violazione delle disposizioni prevenzionistiche che lo riguardano ha particolare rilievo pertanto sotto un duplice profilo:
1) fonte possibile di responsabilità penale per l'infortunio occorso ad un altro lavoratore;
2) esonero della responsabilità del datore di lavoro nel caso che sia egli stesso l'infortunato.
In tal senso la Suprema Corte ha affermato che “... in tema di evento colposo per infortunio sul lavoro, il giudice penale è tenuto a valutare sia la condotta del datore di lavoro, il quale deve attuare in modo efficiente tutte le misure stabilite dalle apposite norme, sia quella del lavoratore, che deve collaborare alla tutela della propria incolumità, evitando di esporsi senza necessità a situazioni di evidente pericolo, e mantenendo un atteggiamento prudente di fronte a impreviste evenienze ...”(Cass. Pen. sez. IV, ud. 30.1.1979, Rettondini).
La giurisprudenza della Cassazione ritiene da tempo che “l'imprudenza del lavoratore, di per se, non determina l’esclusione della responsabilità dell'imprenditore, a meno che non possa considerarsi una causa sopravvenuta, sufficiente da sola a determinare l'evento” (vedi Cass., sez. IV, 7.11.1977 in causa Legnazzi); e ciò in considerazione del fatto che : “...le norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro mirano ad eliminare i rischi.... compresi quelli conseguenti ad una eventuale imprudenza, disattenzione o imperizia dei lavoratori, la cui incolumità è da tutelarsi sempre e in ogni caso...” (Cass. sez. III, 21.6.1983, in causa Cordioli).
Secondo la giurisprudenza consolidata della Cassazione, vige la regola secondo cui "in materia di normativa antinfortunistica e, in particolare, ai fini della responsabilità del datore di lavoro, deve ritenersi che la condotta del lavoratore volontariamente violatrice delle disposizioni impartite dal datore di lavoro ai fini della sicurezza, eziologicamente collegata all'evento, elide il collegamento causale tra l'eventuale inosservanza di disposizioni da parte del datore di lavoro e l'evento stesso, proprio perché questo è da riferirsi alla prima e immediata condotta" (Cass. Pen. sez. IV, 10.12.2001, n. 44206).
La responsabilità dei superiori del lavoratore viene meno quando siano allo stesso forniti strumenti idonei ed adeguati: “non può ravvisarsi una colpa specifica a carico del legale rappresentante e del capo reparto della ditta, nel caso in cui siano messi a disposizione dell’operaio gli strumenti idonei ed adeguati per eseguire correttamente l’operazione, quando la stessa venga eseguita in modo improprio da quest’ultimo” ( Corte App. Milano, sez. II, 05.06.97 n. 2422).
La professionalità del lavoratore e la chiara segnalazione del rischio possono liberare da responsabilità i superiori gerarchici: “un operaio, in presenza di cartelli che indicavano le modalità per l’esecuzione delle operazioni in sicurezza, aveva subito lo schiacciamento del piede per la caduta di una pompa dallo stesso non correttamente imbracata (…). Il lavoratore sapeva (o era tenuto a sapere in ragione della sua professione) che per evitare sinistri l’area entro la quale la macchina operava doveva essere delimitata e che nell’impossibilità di segnalare la mancanza di tale delimitazione al datore di lavoro o al suo preposto doveva astenersi dal lavoro per prevenire infortuni” (Cass. Pen. sez. III, n. 5893, 13.2.2001).
Rolando Dubini, avvocato in Milano
In merito alle recenti modifiche apportate al Testo Unico dal Decreto del Fare-Legge n. 98/2013, segnaliamo in particolare un articolo di Rolando Dubini che affronta il tema del volontariato: “Modifiche al D.Lgs. 81: i volontari, l’incaricato e l’esonero dal DUVRI”.
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Rispondi Autore: carlo - likes: 0 | 19/09/2021 (07:46:04) |
ricorso al giudizio medico competente tramite. La commissione ASL rigetta il giudizio del medico e emane il seguente giudizio non adebire l'impiegato a pubblico e valori. Nonostante tutto l'azienda ha obbligato il lavoratore fortemente depresso ad andare negli uffici postali fregandonesi del giudizio dello SPRESAL |