Emergenza Coronavirus: le novità rilevanti in materia di salute e sicurezza
Roma, 18 Mar – In questa difficile emergenza COVID-19 che le aziende e i lavoratori stanno vivendo, il “ Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, che abbiamo presentato sul nostro giornale, è sicuramente un documento importante. È un primo e importante momento di condivisione tra parti spesso in disaccordo, le parti sindacali e datoriali, su un tema che può essere affrontato con efficacia solo se c’è un reale coordinamento tra tutti gli attori aziendali.
Per affrontare la genesi, il significato e le conseguenze di questo protocollo abbiamo deciso di intervistare Cinzia Frascheri, giuslavorista e Responsabile nazionale Cisl Salute e Sicurezza sul Lavoro, che tra l’altro avevamo già intervistato in passato su un’altra intesa tra le parti sociali precedente a questa emergenza.
Tuttavia nell’intervista, che abbiamo realizzato il 17 marzo, affrontiamo anche altri temi che riguardano l’emergenza COVID-19 che stiamo vivendo. Cerchiamo di capire, ad esempio, se ci siano state o meno lacune o ritardi nelle misure messe in campo dal Governo per il contenimento del nuovo coronavirus.
E cerchiamo anche di affrontare le posizioni sindacali in materia di prevenzione e il delicato tema, che ha visto confrontarsi in queste settimane sul nostro giornale diverse opinioni, relativo alla valutazione dei rischi aziendale.
Infine ci soffermiamo sulle novità del recente decreto-legge in materia economica – il cosiddetto decreto " Cura Italia" di cui si attende la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale – e poniamo alla dirigente sindacale – come alle altre persone intervistate sul virus Sars-CoV-2 – la domanda su cosa è possibile imparare da queste emergenza per migliorare in futuro la prevenzione.
Questi gli argomenti affrontati nell’articolo:
- L’importanza, le virtù e i difetti del protocollo condiviso tra le parti sociali
- I decreti in materia COVID-19 e la valutazione dei rischi
- Il nuovo decreto-legge e i contenuti in materia di salute e sicurezza
L’importanza, le virtù e i difetti del protocollo condiviso tra le parti sociali
La prosecuzione delle attività produttive può avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione”. Questa frase, solo apparentemente scontata, mi pare essere la colonna portante delle scelte che hanno portato Governo e Parti Sociali a incontrarsi, benché a distanza, per arrivare al nuovo protocollo condiviso. Come si è arrivati al nuovo protocollo, quali discussioni o compromessi ha comportato e quale è il suo commento sui suoi contenuti?
Cinzia Frascheri: Per tracciare il percorso che ha portato alla sottoscrizione del Protocollo congiunto del 14 marzo u.s. non si può non partire da quanto previsto dal DPCM dell’11 marzo 2020. In tale Decreto, il Governo, aveva già indicato la via da seguire, seppur in forma di “raccomandazione”, per le attività produttive (da considerarsi gli ambienti di lavoro non sanitari) elencando ai punti 7, 8, 9, 10 dell’art.1, i passi da compiere per garantire condizioni di massima tutela della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro conciliando tale prioritario fine con la prosecuzione, per quanto possibile, delle attività lavorative. È per questo che nel Protocollo congiunto viene fatto esplicito riferimento al DPCM e, in sintesi vengono richiamati i punti cardine di quanto previsto.
Seppur l’avvio del confronto tra le Parti non si è basato su posizioni comuni, a partire dalla tipologia di atto (per parte sindacale, ritenendo opportuno un documento condiviso di regole da seguire, mentre per parte datoriale, puntando ad un mero codice di autoregolamentazione con indicazioni più leggere), occorre registrare con pieno favore il risultato raggiunto: un Protocollo, di misure specifiche per gli ambienti di lavoro, nei riguardi del quale personalmente tengo molto a richiamarne il concetto cardine dell’essere “condiviso tra le Parti sociali nazionali”.
In questo senso, quanto caldeggiato dal Governo nel vedere con favore (come scritto nel punto 9 del DPCM) intese tra le parti sociali, ha trovato piena concretezza; sicuramente grazie all’azione posta in essere da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri nell’avere promosso, con invito, l’incontro delle parti, in presenza anche dei ministeri competenti, ma certamente per una grande senso di responsabilità condiviso tra le organizzazioni sindacali e datoriali di fronte ad una situazione di estrema emergenza sociale.
Quali sono gli aspetti del protocollo che considera più rilevanti?
C.F.: Se va precisato che il Protocollo condiviso del 14 marzo ha una valenza per le Parti che lo hanno siglato (presenti al tavolo – seppur a distanza – e sottoscrittori: Confindustria, Rete Imprese Italia, Confapi, Alleanza cooperative, Confservizi e Cgil, Cisl, Uil, oltre al Presidente del Consiglio dei Ministri e i ministri presenti per diretta competenza), essendo questo il primo protocollo, dopo il DPCM dell’11 marzo u.s., di certo rappresenta un significativo documento di riferimento per tutte le altre realtà (si segnala, in questo senso, la stipula ieri di un accordo tra Abi e le organizzazioni sindacali di settore che ricalca sostanzialmente quanto previsto nel Protocollo condiviso del 14 marzo).
Da porre in attenzione nel Protocollo è la diversa natura delle indicazioni che sono contenute. Perché se non va considerato, come precisamente indicato in incipit nella Premessa, come già un protocollo di sicurezza anti-contagio (che dovrà invece essere redatto da parte delle aziende) con specifiche indicazioni prescrittive (per questo troviamo nel testo verbi di possibilità), di contro, nel Protocollo vi sono indicazioni stringenti (che veicolano obblighi sanzionati, espressi in decreti anche precedenti, quali ad es. il Decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6) come il rispetto della distanza minima, l’obbligo del domicilio in presenza di sintomi, il divieto di assembramenti, di sanificazione e ventilazione nelle realtà lavorative.
Tra gli aspetti, comunque, più rilevanti, a mio parere sono le precisazioni poste in chiaro su alcuni concetti che fino ad oggi avevano interrogato molti e fatto esprimere tanti, con posizioni anche molto discutibili (e che per questo, come CISL, già in data 3 marzo, avevamo ritenuto opportuno inviare una nota esplicativa ampia e articolata per supportare i nostri delegati e rappresentanti sul territorio e nelle aziende). In particolare, la puntualizzazione che il COVID-19 rappresenta un rischio biologico generico (quindi, non richiedente l’aggiornamento del DVR), e per questo devono essere previsti specifici protocolli aziendali per la puntuale regolazione e disposizione di misure che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione, in caso di necessaria prosecuzione delle attività produttive (essendo a carico del datore di lavoro, comunque, la gestione di un rischio non professionale, di natura esogena, che possa avere riflessi all’interno della propria realtà lavorativa, incidendo sull’organizzazione del lavoro). Così come anche, in estrema sintesi, la precisazione contenuta nel protocollo del necessario e preventivo confronto da parte del datore di lavoro con le rappresentanze sindacali (a partire dagli RLS/RLST), ma anche con il medico competente (compresa la sottolineatura dell’obbligo di garantire la sorveglianza sanitaria, quale misura di prevenzione e l’attenzione richiesta al medico competente verso situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse degli occupati).
C’è qualcosa che, a suo parere, manca nel protocollo?
Seppur, come già detto, il Protocollo condiviso contiene indicazioni atte ad agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio, di certo sarebbe stato molto utile, sempre rispettando la totale valutazione da parte del datore di lavoro (in collaborazione con le figure della prevenzione in azienda) fossero stati sciolti alcuni nodi interpretativi e fatto chiarezza su alcuni passaggi operativi di natura molto delicata.
Ne cito solo due, per brevità:
- previsto che il personale può essere sottoposto al controllo della temperatura corporea, a seguito della quale se superiore ai valori previsti non è consentito l’accesso ai luoghi di lavoro, non viene precisato chi deve/può effettuare tali controlli. In alcune aziende, mi hanno comunicato che tale controllo viene svolto, a seguito di decisione autonoma del datore di lavoro, da alcuni lavoratori su altri. E’ un aspetto di grande rilevanza per le molte conseguenze che determina, sia per il pericolo di contagio, per la privacy, per le questioni di autorità del non far accedere al lavoro chi dovesse risultare febbricitante e il contrasto eventuale con chi non volesse sottoporsi ai controlli, questi solo per citare alcuni problemi;
- altra questione, la sanificazione periodica dei locali, che ha creato il dubbio se deve essere fatta da azienda specializzata (e, pertanto, avviando anche l’iter per un contratto con azienda specifica, con relative conseguenze anche per eventuali gare, duvri…), oppure una sanificazione da intendersi come un intervento di pulizia svolta più a fondo, con prodotti adeguati e con tempistiche di maggior frequenza, svolta però da “ordinaria” impresa di pulizia.
Se il Protocollo congiunto avesse dato alcune risposte di chiarezza in tal senso sicuramente avrebbe favorito la stipula dei protocolli aziendali anti-contagio.
Diversamente, l’unico punto sul quale nutro alcuni forti dubbi di legittimità, considerato anche la natura, come atto, del protocollo che non entra nella gerarchia delle fonti normative primarie, l’aver previsto la continuazione dello svolgimento dell’attività (in particolare, come viene espressamente citato nel Protocollo, del carrellista) in mancanza dello svolgimento dell’aggiornamento della formazione professionale (disposizione vincolante prevista dalla normativa vigente). Si sarebbe potuto, considerata la situazione emergenziale in corso (e tenuto conto anche delle difficoltà/impossibilità di poter svolgere tale aggiornamento a distanza e/o in e-learning), prevedere forme almeno di aggiornamento delle informazioni di sicurezza da parte di figure interne all’azienda esperte o, per ruolo, preposte.
I decreti in materia COVID-19 e la valutazione dei rischi
Come trova che si stia comportando il Governo e più genericamente il nostro Paese davanti a questa emergenza?
C.F.: L’eccezionalità della situazione, stiamo parlando di una pandemia e, pertanto, di una condizione alla quale nessuno era preparato, è chiaro che abbia determinato interventi straordinari, ma al contempo, interventi che sono andati susseguendosi in base alla crescente consapevolezza delle dimensioni e della pericolosità del contagio. Per questo, personalmente, non posso che considerare quanto fin qui fatto dal Governo assolutamente adeguato e con una tempistica rilevante.
Adesso poi, con il varo dell’ultimo DL, che deve ancora essere pubblicato (ma del quale ne sappiamo già sostanzialmente i contenuti), recante misure soprattutto di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese, si aggiunge un tassello fondamentale a sostegno delle persone.
E’ facile criticare e rivendicare che si sarebbe potuto fare prima e meglio, ma credo che le dimensioni mondiali, la virulenza e la velocità di propagazione che il COVID-19 hanno avuto, nessuno se le sarebbe immaginate. Citando un aneddoto personale, già solo il 1 marzo u.s., ho partecipato ad una rassegna di danza in un teatro con centinaia di persone tra il pubblico e i ballerini che si sono esibiti. Stiamo parlando di solo una quindicina di giorni fa, una condizione di assembramento che ad oggi sarebbe impensabile.
In questo senso, le figure politiche che puntano il dito sul Governo, anziché collaborare al bene comune, ritengo stiano facendo solo della facile speculazione di partito.
In una nostra recente intervista alla figura corrispettiva alla Sua di un altro sindacato, lamentava, prima della firma del protocollo, che fosse insufficiente l’attenzione istituzionale verso il mondo del lavoro in relazione al coronavirus. Che ne pensa?
C.F.: Non sono d’accordo, come detto prima, il DPCM dell’11 marzo ne è uno specchiato esempio, senza poi non dover trascurare, non solo i DPCM emessi nel mese di febbraio, ma soprattutto che la competenza in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è concorrente tra Stato e Regioni e, pertanto, occorre considerare che i primi pronunciamenti e le prime indicazioni, da parte delle Regioni (specialmente quelle maggiormente colpite) e dei Servizi di prevenzione e protezione (ASL), sono stati emessi fin dalle prime avvisaglie del contagio.
Veniamo più generalmente alle vostre posizioni sindacali, che mi sembrano abbastanza condivise a livello confederale, sugli argomenti che riguardano i temi della salute e sicurezza in tempi di Covid-19. In una presa di posizione di Cgil, Cisl e Uil Lombardia si indica che il datore di lavoro deve non solo attuare protocolli di sicurezza anti-contagio, sanificare gli ambienti, sospendere le attività nei reparti non indispensabili alla produzione, attuare idonee misure tecnico-organizzative, ma anche aggiornare il documento di valutazione dei rischi. Lei cosa ne pensa?
C.F.: Il 13 marzo, prima dell’uscita del Protocollo, abbiamo inviato come Dipartimenti nazionali per la salute e sicurezza sul lavoro di Cgil, Cisl, Uil una circolare rivolta a tutti i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, aziendali, territoriali e di sito produttivo, in questa abbiamo scritto che è necessario che i datori di lavoro, in collaborazione con l’RSPP, il MC (ove già previsto), consultando l’RLS, verifichino la rispondenza del DVR (e dei DUVRI, nei riguardi delle aziende in appalto) agli interventi messi in atto e ai protocolli di prevenzione adottati.
E’ in questo senso che il documento di Cgil, Cisl e Uil Lombardia, quando scrive che va aggiornato il DVR, intende sottolineare l’importanza di coniugare il protocollo aziendale anti-contagio con le procedure ordinarie applicate in azienda e previste nel DVR.
Sulla stessa linea, difatti, troviamo anche quanto scritto dal Protocollo condiviso (successivo al documento della Lombardia) dove si dice che le imprese applicano le ulteriori misure di precauzione indicate dal Protocollo, integrandole con altre equivalenti o più incisive secondo le peculiarità dell’organizzazione della specifica azienda.
Parlando della Cisl, da sempre, e nei momenti di maggior complessità, il rapporto tra il livello nazionale e territoriale è costante e, pertanto, le posizioni sono condivise e coerenti, in uno spirito di collaborazione costruttiva e fattiva (in questi giorni poi, intensificatasi fortemente), sempre al fine di supportare le lavoratrici e i lavoratori, attraverso l’opera insostituibile delle nostre rappresentanze, a partire dai posti di lavoro. In questi giorni, occorre ricordarlo, il sindacato, con le sue persone, delegati, operatori, dirigenti, segretari e rappresentanti, sta svolgendo un lavoro importantissimo di informazione, sostegno, supporto competente, nei luoghi di lavoro, ma anche di confronto e collaborazione costante con le istituzioni locali.
Il nuovo decreto-legge e i contenuti in materia di salute e sicurezza
Quali sono le novità in tema di tutele per la salute e sicurezza nelle aziende, ulteriori in confronto al Protocollo delle Parti sociali, che sono presenti nel decreto-legge recante misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19?
C.F.: Pur considerando che le finalità del DL sono quelle espresse nello stesso titolo del Decreto, delle quali se ne attendeva l’uscita, vista la necessità di interventi - non solo economici - per moltissimi lavoratori del settore sanitario e molte famiglie, alcuni articoli entrano nel tema della tutela della salute dei lavoratori.
Non entrando nel merito specifico delle indicazioni previste, attendendo la pubblicazione del testo, sia per quanto riguarda la classificazione di infortunio (assicurando così la tutela INAIL all’infortunato) per i casi accertati di infezione da coronavirus in occasione di lavoro, sia per quanto riguarda le disposizioni straordinarie in tema di produzione di mascherine chirurgiche, un richiamo all’attenzione (con qualche anche dubbio) ritengo sia opportuno farlo, sia per quanto concerne la deroga nei riguardi dell’applicazione della misura della quarantena con sorveglianza attiva degli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva, per coloro che operano nelle imprese nell'ambito della produzione dei farmaci e dei dispositivi medici e diagnostici nonché delle relative attività di ricerca e della filiera integrata per i subfornitori (prevista all’art.14) , ma anche, per coloro che sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, considerando (secondo il DL) DPI le mascherine chirurgiche (previsto all’art.16).
Rimandando ad un commento più approfondito di questi aspetti a dopo la pubblicazione del DL, pur considerando la priorità espressa del contenere il diffondersi del virus, la necessità dello svolgimento di alcune professioni e mansioni e, al contempo, lo stato di emergenza e l’estrema difficoltà di reperire mascherine adeguate in commercio, non va posta in nessun caso in secondo piano la tutela della salute delle persone, dei lavoratori e della collettività, anteponendo, come previsto nei decreti e nel Protocollo ogni soluzione di natura organizzativa (un richiamo questo espresso, in queste ore, anche dalle organizzazioni sindacali nazionali di Cgil, Cisl, Uil dei settori più direttamente coinvolti, a rivedere tali disposizioni).
Infine secondo lei cosa ci insegna per il futuro, in materia di salute e sicurezza, questa difficile emergenza?
C.F.: Si dice che dagli errori si deve uscire più forti e con una più consolidata esperienza. Di certo sarebbe stato meglio non dover passare da una prova così devastante e drammatica (anche solo per i tanti morti, la diffusa sofferenza e lo sforzo economico e umano che ha richiesto e che ancora mette a dura prova il nostro Paese), ma se di insegnamento si può parlare di sicuro abbiamo capito che la tutela della salute e sicurezza sul lavoro è un aspetto fondamentale e che pervade, in modo diretto e indiretto, la vita delle persone.
Non dobbiamo, difatti, dimenticare che, come recita il DLGS 81/08 s.m. all’art.2, comma 1, lett. n quando definisce la “prevenzione”, nel riferirsi al complesso delle disposizioni o misure necessarie, anche secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica (richiamando così il cardine fondamentale della tutela, l’art.2087 c.c), precisa il fine di evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute, facendo esplicito riferimento alla popolazione e all'integrità dell'ambiente esterno.
Non meno di insegnamento, quanto sta avvenendo, dovrà essere nel considerare il lavoro agile, non una modalità di lavoro residuale, e da consentire come fosse una concessione da parte del datore di lavoro, ma un modo di svolgere la propria attività (quando praticabile, per tipologia di mansione e lavoro da compiere) diverso nelle modalità, ma di pari qualità ed efficacia (o forse, in certi casi, anche maggiore, se correttamente regolato e poste in essere le condizioni adeguate), di quello svolto nel luogo di lavoro.
Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto
Scarica la normativa e i documenti di riferimento:
“ Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, accordo sottoscritto il 14 marzo 2020 (formato PDF, 121 kB).
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