Valutare il rischio architettonico: criticità e carenze normative
Roma, 18 Mag – Come ricordato in una nostra intervista ad Erminia Attaianese (Università degli Studi di Napoli Federico II) e come sottolineato nel documento Inail “ Valutare il rischio architettonico negli ambienti di lavoro. Progetto RAS, Ricercare e Applicare la Sicurezza. Volume 2”, le infrastrutture edilizie “giocano un ruolo importante per la sicurezza e la salute dei lavoratori, poiché edifici e spazi di lavoro consentono e condizionano le attività e i comportamenti ad essi associati, al pari degli impianti e delle attrezzature rappresentando, nello stesso tempo, oltre al contesto fisico nel quale la produzione si realizza, anche veri e propri mezzi di supporto, necessari alla qualità e all’efficienza della produzione”.
Il documento Inail, realizzato attraverso una collaborazione tra Laboratorio di Ergonomia Applicata e Sperimentale del Dipartimento di Architettura dell’ Università degli Studi di Napoli Federico II e Inail - Direzione regionale Campania, è il secondo volume di un progetto - Progetto RAS (Ricercare e Applicare la Sicurezza) – che prevede una serie di manuali operativi che presentano studi e ricerche scientifiche sul miglioramento delle condizioni di lavoro in diversi contesti produttivi.
Dopo il primo volume, pubblicato nel 2021 e dal titolo “ Valutare il rischio di caduta in piano”, in questo manuale è affrontato un rischio spesso sottovalutato nel mondo del lavoro: il rischio architettonico.
Per parlarne torniamo oggi a presentare il documento con particolare riferimento ai seguenti argomenti:
- Che cosa è il rischio architettonico?
- Le carenze normative e le difficoltà per la valutazione del rischio
- La sicurezza d’utenza in edilizia e il regolamento 305/2011
Che cosa è il rischio architettonico?
Il documento – curato da Erminia Attaianese, Raffaele d’Angelo, Gabriella Duca, Gabriella De Margheriti, Ernesto Russo, Nunzia Coppola e Eva Antonucci – segnala che il rischio connesso alle componenti architettoniche “riguarda la probabilità che gli elementi tecnici e ambientali dei sistemi edilizi e degli spazi esterni ad essi connessi, nei quali si svolgono le attività di lavoro, possano determinare condizioni di pericolo per la salute e la sicurezza degli operatori in ragione delle loro caratteristiche tecnico-costruttive e del loro stato di conservazione, manutenzione e utilizzo [Attaianese et Al, 2011]”.
E dunque in un rischio architettonico così definito gli aspetti di cui occuparsi riguardano le “prestazioni di sicurezza e benessere degli ambienti”, nella convinzione che “assicurare queste qualità negli edifici e degli spazi aperti” possa garantire “agli occupanti le condizioni per soddisfare le loro prerogative sia personali, cioè fisiche e mentali, che sociali e materiali, tutelando, in altre parole, la salute [OMS, 1948; Schulte et Al, 2008; ISO, 2004; ISO, 2006; Baglioni, 2006; UNI, 1997]”.
Si indica poi che “l’assenza di unitarietà, la disomogeneità nella predisposizione dei fattori e dei parametri e delle modalità del loro controllo, insieme con la consapevolezza della generale carenza nella individuazione di molti degli elementi architettonici che possono provocare condizioni di pericolo per gli utenti”, ha orientato l’attività di ricerca verso “la messa a punto di criteri di selezione e valutazione dei rischi legati agli aspetti architettonici che superassero le indicazioni fornite dalla norma allo scopo di considerare, in modo sistematico e globale, i diversi fattori ambientali e gli elementi della costruzione che determinano il complesso delle prestazioni di sicurezza degli ambienti di lavoro [Afacan & Erburg, 2009; Chappels, 2010; Maier et Al, 2009; Mahdavi & Unzeitig, 2005; Kobes et Al, 2010]”.
Le carenze normative e le difficoltà per la valutazione del rischio
Gli autori ricordano che in Italia, per quanto riguarda la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, “la considerazione degli elementi da cui dipende il rischio di natura architettonica appare oggi ancora piuttosto limitata in termini legislativi”.
Infatti anche se l’allegato IV del Decreto legislativo 81/2008 tra i requisiti dei luoghi di lavoro richiama alcuni elementi tecnici degli edifici e alcune condizioni ambientali ritenute significative ai fini della sicurezza, “propone, per la valutazione dell’ambiente di lavoro, indicazioni strutturate in modo disomogeneo, individuando componenti tecniche e prestazionali di natura molto diversa tra loro, espresse in maniera incompleta e non uniforme, che ne rendono difficoltosa e parziale l’applicazione”.
Emerge, insomma, “la carenza di un quadro organico e strutturato degli elementi della costruzione da tenere in considerazione nella gestione della sicurezza sui luoghi di lavoro e, dunque, da sottoporre a controllo e/o miglioramento in fase di valutazione e di predisposizione delle misure di tutela”. Ad esempio si fa esplicito riferimento solo “ad alcune, limitate, condizioni da assicurare, quali stabilità e solidità, e a pochi insiemi di fattori ambientali da controllare, richiamando in modo esplicito e piuttosto generico soltanto microclima e illuminazione naturale e artificiale”. Si riportano poi in modo dettagliato “alcune prescrizioni dimensionali da assicurare, quali altezze, cubature e superfici, e si forniscono indicazioni disomogenee, caratterizzate da livelli diversi di approfondimento, che attengono alle caratteristiche di alcuni elementi tecnici (pavimenti, muri, soffitti, finestre e lucernari dei locali scale e marciapiedi mobili, banchine e rampe di carico; porte e portoni; scale) e unità spaziali dell’edificio (vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi, vie e uscite di emergenza, locali di riposo e refezione, spogliatoi e armadi per il vestiario, servizi igienico assistenziali, dormitori, posti di lavoro e di passaggio e luogo di lavoro esterni)”.
Quello che ne deriva, continua il documento nel primo capitolo, è “una generale disomogeneità nella indicazione dei fattori e dei parametri da controllare, dovuta oltre che a una evidente carenza nella considerazione di molti degli elementi architettonici che possono provocare condizioni di rischio per gli utenti, anche alla adozione di approcci differenziati ai criteri di controllo di quegli elementi, il che finisce col generare confusione a chi voglia applicare appieno la norma [Attaianese et al., 2009]”. E tutto ciò “conduce alla difficoltà di effettuare una valutazione comprensiva di tutti i fattori di rischio connessi agli aspetti fisici degli edifici e delle loro pertinenze, sia in rapporto alla identificazione dei possibili rischi e alla considerazione della loro interazione con altre condizioni di pericolo, sia in rapporto alla predisposizione di misure di tutela che riguardano gli elementi tecnici degli edifici e degli spazi aperti che ospitano attività di lavoro”. Misure che finiscono col riguardare “interventi di adeguamento manutentivo dell’ambiente di lavoro, che attengono, di solito, alle funzioni aziendali della gestione tecnica e che, specie nella prassi, risultano poco coordinate con la sfera della sicurezza e della salute (HSE)”.
La sicurezza d’utenza in edilizia e il regolamento 305/2011
Ci soffermiamo in particolare oggi sulla “sicurezza d’utenza in edilizia”, cioè “l’insieme delle condizioni dell’organismo edilizio che assicurano un livello accettabile di incolumità degli utenti”.
Si indica che per comprendere l’ampiezza del concetto di sicurezza in edilizia “può essere utile fare riferimento al Regolamento (UE) n. 305/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 Marzo 2011, che fissa condizioni armonizzate per la commercializzazione dei prodotti da costruzione. Secondo tale regolamento le opere di costruzione, nel complesso e nelle loro singole parti, devono essere adatte all’uso cui sono destinate, tenendo conto in particolare della salute e della sicurezza delle persone interessate durante l’intero ciclo di vita delle opere”.
Si segnala, a questo proposito, che tre dei sette requisiti essenziali delle opere da costruzione (gli altri attengono ad aspetti legati al controllo della salute, del comfort e della sostenibilità ambientale) riguardano la sicurezza:
- la Resistenza meccanica e stabilità, “in riferimento alle azioni cui l’edificio può essere sottoposto durante la costruzione e l’utilizzo. Dette azioni devono essere tali da non provocare crolli e deformazioni di importanza inammissibile, non devono produrre danni ad altre parti dell’opera o alle attrezzature principali o accessorie in seguito a una deformazione di primaria importanza degli elementi portanti, o non devono produrre danni accidentali sproporzionati alla causa che li ha provocati”;
- la Sicurezza in caso di incendio “secondo cui, in caso di incendio, la capacità portante dell’edificio deve essere garantita per un periodo di tempo determinato, la produzione e la propagazione del fuoco e del fumo all’interno delle opere o nei confronti di opere vicine devono essere limitate, gli occupanti devono poter lasciare l’opera o essere altrimenti soccorsi”;
- la Sicurezza e accessibilità nell’uso, “secondo cui le opere di costruzione devono essere concepite e realizzate in modo che il loro funzionamento o uso non comporti rischi inaccettabili di incidenti o danni, come scivolamenti, cadute, collisioni, ustioni, folgorazioni, ferimenti oltre a dover garantire l’accessibilità e l’utilizzo da parte di persone disabili”.
Ricordiamo poi, brevemente, anche gli altri requisiti:
- “Igiene, salute, ambiente”: “le opere di costruzione devono essere concepite e realizzate in modo da non rappresentare, durante il loro intero ciclo di vita, una minaccia per l’igiene o la salute e la sicurezza dei lavoratori, degli occupanti o dei vicini e da non esercitare un impatto eccessivo, per tutto il loro ciclo di vita, e cioè durante la loro costruzione, uso e demolizione, sulla qualità dell’ambiente o sul clima”.
- “Protezione al rumore”: “il rumore cui sono sottoposti gli occupanti e le persone situate in prossimità dell’edificio deve mantenersi a livelli che non nuocciano alla loro salute e tali da consentire soddisfacenti condizioni di sonno, di riposo e di lavoro”;
- “Risparmio energetico e ritenzione del calore”: “le opere di costruzione e i relativi impianti di riscaldamento, raffreddamento, illuminazione e aerazione devono essere concepiti e realizzati in modo che il consumo di energia richiesto durante l’uso sia moderato, tenuto conto degli occupanti e delle condizioni climatiche del luogo”;
- “Uso sostenibile delle risorse naturali”: “le opere devono essere concepite, realizzate e demolite in modo che l’uso delle risorse naturali sia sostenibile, anche grazie all’uso di materie prime e secondarie ecologicamente compatibili”.
Rimandiamo in conclusione alla lettura integrale del documento Inail che riguardo al rischio architettonico (capitolo 2) si sofferma espressamente anche su:
- benessere e le condizioni di rischio
- interazione uomo-ambiente costruito per individuare i fattori di rischio.
Tiziano Menduto
Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:
Inail Campania e Università degli Studi di Napoli Federico II, “ Valutare il rischio architettonico negli ambienti di lavoro. Progetto RAS, Ricercare e Applicare la Sicurezza. Volume 2”, a cura di Erminia Attaianese, Raffaele d’Angelo, Gabriella Duca, Gabriella De Margheriti, Ernesto Russo, Nunzia Coppola e Eva Antonucci, Progetto RAS, volume 2, collana Salute e Sicurezza, edizione 2022.
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