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Le responsabilità del datore di lavoro per infortuni e malattie
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Pescara, 18 Apr – Spesso le parti sociali sono una fonte molto ricca di elaborazione di documenti non solo in materia di prescrizioni per la prevenzione, ma anche di principi e esperienze giurisprudenziali relativi alla tutela della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro.
Riportiamo dunque un documento pubblicato sul sito della Unione Italiana Lavoratori Turismo Commercio e Servizi (UILTuCS) dell’Abruzzo che affronta il tema della responsabilità del datore di lavoro per infortuni sul lavoro e malattie professionali soffermandosi non solo sulla normativa e sulla responsabilità (civile, penale e amministrativa), ma anche sulla possibilità di costituzione di parte civile nei confronti del datore di lavoro.
Responsabilità del datore di lavoro per infortuni sul lavoro e malattie professionali
Parte Prima
1. Premesse storico giuridiche – normativa nazionale e comunitaria
Che il lavoratore dovesse essere assistito è principio antico e costituisce un sentimento fondamentale del vivere in un contesto sociale. Già infatti durante la rivoluzione francese si affermava che la società è tenuta a provvedere alla sussistenza di tutti i suoi membri.
A queste premesse, per altro verso, corrisponde il principio, anch’esso risalente al diciannovesimo secolo e tuttora valido, per cui chi si giova del lavoro di un soggetto, deve anche assumersi i correlativi doveri ed obblighi intesi a garantire la suddetta assistenza e sicurezza in caso di infortuni o malattie professionali.
Il soggetto che deve garantire il lavoratore è, quindi, il suo datore di lavoro, sia esso individuo o persona giuridica.
La responsabilità del datore di lavoro nasce dalla necessità di attuare i suddetti principi riconosciuti dalla nostra Costituzione vedi: art. 32 (tutela della salute nei luoghi di lavoro), art. 35 (tutela del lavoro), art.38 (tutela del lavoratore in caso di infortunio, malattia), art. 41 (l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da arrecare danno alla sicurezza alla libertà, alla dignità umana), nonché ribaditi dalle norme dell’ordinamento dello Stato Italiano.
Nell’ambito del nostro ordinamento già la lontana legge n. 80 del 17 marzo 1898 costituisce la prima normativa nella materia prevedendo una assicurazione obbligatoria a carico del datore di lavoro contro gli infortuni per le industrie più pericolose; il primo Testo Unico di legge per gli infortuni degli operai sul lavoro viene successivamente emesso con R.D. n. 51 del 31.1.1904; la legge n. 1765 del 17.8.1935 riconfermava ancora la tutela del lavoratore ed i conseguenti obblighi del datore di lavoro, ed infine, il TU 1124 del 1965 , il D.Lgs. n. 38 del 2000 costituiscono l’attuale normativa speciale di riferimento.
A parte, ma considerata norma fondamentale, deve essere citata la disposizione di cui all’articolo 2087 del Codice Civile della quale si dirà ed alla quale va affiancata la norma di cui all’art.2049 del medesimo Codice Civile.
In sede penale dobbiamo, inoltre tenere presenti altre disposizioni che prevedono, parimenti, la responsabilità del datore di lavoro per particolari fattispecie criminose (art. 437 c.p. art. 451 c.p.) per non parlare di tutti i reati contravvenzionali per omissione di misure di sicurezza previsti dal D.Lgs. 626/94 e successivamente dal citato D.lgs n. 81/2008.
Sono citazioni in sintesi di norme che poi in prosieguo vedremo più in particolare valutando come la normativa abbia via via previsto i modi e le condizioni per il sorgere di una responsabilità del datore di lavoro nei casi di cui si discute.
Altrettanti riconoscimenti del diritto alla salute e sicurezza del lavoratore con conseguenti obblighi per chi ne è datore di lavoro, sono chiaramente previsti dal diritto comunitario.
Già il Trattato di Roma del 25 marzo 1957 all’art.118 prevedeva la protezione del soggetto contro gli infortuni sul lavoro.
Nel diritto comunitario , ricordiamo il Regolamento CEE 14 giugno 1971 n. 1408 che afferma il diritto di rivalsa degli Enti assicuratori nei confronti del responsabile dell’infortunio, ma, in particolare, va ricordata la Direttiva 39/391 art.5 che riconosce l’obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con il lavoro. Le Direttive devono, comunque essere recepite dallo Stato Membro con apposita legge, peraltro, ricordiamo che la stessa Costituzione, all’articolo 10 impone di uniformarsi alle norme del diritto internazionale.
La responsabilità del datore di lavoro per inosservanza dei suddetti principi è, dunque, riconosciuta anche in sede di diritto comunitario, con la conseguenza che una eventuale normativa interna di uno Stato membro non potrebbe escludere tale responsabilità in quanto contraria a norme comunitarie prevalenti sulla normativa nazionale.
Si aggiunga che la Costituzione Europea medesima ha ribadito il diritto a condizioni di lavoro sane e sicure (art. II -91), il diritto ad un livello elevato di protezione della salute umana (art. II-95)
2. I tipi di responsabilità
Dopo tali premesse, passiamo ad osservare da vicino quale e quando vi sia responsabilità del datore di lavoro per i casi di infortuni o malattie professionali.
La responsabilità del datore di lavoro, ovviamente, sorge quando questi non ha osservato gli obblighi a lui imposti per la tutela del lavoratore.
In sintesi, al datore di lavoro possono essere riconosciute tre tipi di responsabilità:
- responsabilità civile
- responsabilità penale
- responsabilità amministrativa
a) Responsabilità civile
Come accennato in precedenza, norma basilare per il riconoscimento della responsabilità è l’articolo 2087 del Codice civile che impone al datore di lavoro di adottare le misure atte a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Sul contenuto di detta norma si è molto parlato e molto discusso, sia in dottrina che in giurisprudenza. Si è detto che in tale disposizione trovano giustificazione ed origine le successive speciali norme che prevedono misure di sicurezza sul luogo di lavoro, che da tale norma trae anche origine la responsabilità penale del datore di lavoro in base all’art. 40 codice Penale per non aver impedito l’evento; si è, inoltre, detto che in base ai principi in tale norma enunciati, è giustificata l’azione di regresso dell’ente assicuratore nei confronti del datore di lavoro inadempiente. Basti ora dire che la norma appare, per così dire, a contenuto aperto. Infatti, la citata disposizione del Codice Civile si riporta solo in via generica ad alcuni parametri quali la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per imporre, poi, al datore di lavoro le misure di sicurezza da adottare.
Ne consegue che vi è ampio margine per riconoscere la responsabilità del datore di lavoro, posto che questi si deve sempre adeguare alla evoluzione della tecnica e della esperienza per ritenersi in regola con le misure di sicurezza adottate.
Altra disposizione del codice civile da esaminare è quella di cui all’articolo 2049 c.c.
In base a tale norma il datore di lavoro è responsabile anche quando l’omissione delle misure di sicurezza sia stata direttamente effettuata da altra persona da lui incaricata nell’ambito delle mansioni a lui conferite. In altri termini, il datore di lavoro risponde dei danni causati da violazione di misure di sicurezza compiuti dai suoi preposti o sorveglianti.
Sulla natura di tale responsabilità si è ugualmente discusso, ma è prevalente la tesi che trattasi di responsabilità oggettiva come è stato anche recentemente ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. 6 marzo 2008 n. 6033; Cass. 12 marzo 2008 n. 6632) che ha affermato la configurabilità della responsabilità di cui all’art. 2049 c.c. allorché tra l’evento illecito e le mansioni affidate sussista un RAPPORTO DI OCCASIONALITA’ NECESSARIA.
È quest’ultimo uno dei pochi casi di responsabilità che la legge prevede senza indagare sul comportamento del soggetto, responsabilità che nasce sol che il preposto abbia commesso l’illecito nello svolgimento delle incombenze a lui attribuite dal datore di lavoro.
Da tanto detto, si può notare l’importanza che il legislatore attribuisce alla tutela del lavoratore.
Il principio della responsabilità oggettiva del datore di lavoro viene anche ripreso dalle norme speciali contro gli infortuni e le malattie professionali di cui al TU 1965/1124 che la prevede all’art. 10 come presupposto della azione di regresso dell’INAIL.
Ciò posto, il riconoscimento di responsabilità civile del datore di lavoro comporta l’obbligo di risarcire i danni causati al lavoratore a seguito del fatto lesivo verificatosi.
Vedremo successivamente quanto in definitiva viene risarcito direttamente dal DL e quanto invece indennizzato dall’Ente assicuratore.
In sostanza, il lavoratore deve, per legge, essere interamente indennizzato dei danni subiti a causa del lavoro, e se vi è colpa del DL deve essere da lui risarcito direttamente (vedi danno differenziale) o tramite l’ente assicuratore pubblico INAIL.
Un commento a parte. merita l’assicurazione obbligatoria Inail ed i suoi riflessi sulla responsabilità civile del DL.
Dice l’art. 10 del TU 1965 n. 1124 che la”responsabilità civile del DL per gli infortuni sul lavoro è esonerata, cioè esclusa, dalla assicurazione obbligatoria prevista dal citato TU, ovvero dalla assicurazione INAIL. Ne consegue che il Datore di lavoro non risponde dei fatti che hanno determinato l’infortunio, purché non si tratti di aver commesso reato per il quale il DL ha riportato condanna penale. In altri termini, la responsabilità civile del DL permane, nonostante la suddetta assicurazione, quando abbia avuto condanna penale per il fatto dal quale è derivato l’infortunio.
Permane la responsabilità civile del DL, nonostante l’assicurazione INAIL, anche quando vi sia sentenza penale a carico del preposto alla direzione o sorveglianza del lavoro ritenuto direttamente colpevole dell’infortunio.
È questo il caso di responsabilità oggettiva del Dl ex art. 2049 c.c. di cui si è detto.
b) Responsabilità penale
A questo punto occorre parlare della già menzionata responsabilità penale del DL.
Le norme che impongono l’osservanza di misure di sicurezza nello svolgimento del lavoro, sono norme di rilevanza penale la cui inosservanza comporta commissione di reato, passibile di sanzione.
Le norme di tale natura sono innanzi tutto quelle previste dal Codice Penale (art. 437 cp) che stabilisce la responsabilità di chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro ovvero li rimuove o li danneggia è punito con la reclusione… con l’aggravante specifica se dal fatto deriva un disastro o un infortunio.
Questo è un reato che ha una ampia formulazione e perciò possiamo ritenere ricompreso nelle norme speciali di sicurezza emanate successivamente. Con qualche importante differenza. L’art. 437 cp tuttora in vigore non si rivolge solo al DL , ma a chiunque compia quei fatti illeciti, e quindi anche ad estranei alla organizzazione del lavoro.
Inoltre l’art. 437 cp prevede come sanzione la reclusione. Dal che si deduce che il reato è classificabile come “delitto” e non semplicemente “contravvenzione” e come tale, deve essere provato il dolo o la colpa del soggetto.
In sostanza il suddetto reato, seppure consiste in una omissione, si differenzia dalle contravvenzioni dove la colpa non deve essere specificamente provata ma è insita nella omissione stessa.
Altro reato previsto dal Codice Penale di cui può essere imputato il DL è quello previsto dall’art. 451 cp.
Anche questo reato è un delitto determinato da omissione, delitto che interessa sia il DL sia altri che lo abbiano compiuto. Anche per tale reato occorre provare la colpa (omissione o rimozione di apparecchi destinati alla estinzione di un incendio al salvataggio al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro).
Più specifiche le norme previste dal D.Lgs. 626/1994 che innanzi tutto si rivolgono direttamente al DL e che impongono determinati comportamenti la cui inosservanza determina responsabilità penale del DL medesimo.
Il successivo D.Lgs. n. 81 del 2008 ha ripreso ed ampliato le norme di sicurezza già previste nelle vecchie leggi di cui in particolare le norme di sicurezza previste dal D.P.R. 27 aprile 1955 n.547 ed ha reso ancor più incisivi gli obblighi del DL di quanto non fossero già indicati nel D.Lgs. 626/1994 che non aveva avuto, in effetti, piena osservanza .
Infortuni eclatanti, (vedi quello presso la Thyssen Group) e malattie professionali altrettanto dilaganti in conseguenza soprattutto dell’uso di amianto, hanno portato il legislatore ad inasprire le sanzioni per i DL inadempienti .
Si tratta, dunque di norme di rilevanza penale la cui inosservanza da parte del DL o dei suoi preposti, comporta la esclusione dell’esonero previsto dalla assicurazione INAIL e sanzioni penali. Si tratta, peraltro, di responsabilità penale per reati contravvenzionali per i quali è previsto l’arresto o l’ammenda. Ciò vuol dire che per le omissioni commesse dal DL la colpa è insita nella omissione stessa senza doverla provare specificatamente.
c) Responsabilità amministrativa
Responsabilità della società datrice di lavoro.
Il Decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231 ha riconosciuto la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, siano esse società o associazioni anche prive di personalità giuridica. In effetti, questa responsabilità viene rilevata in sede penale, e si aggiunge a quella della persona fisica che materialmente ha realizzato l’illecito. Per la prima volta nel nostro ordinamento, viene rilevata in sede penale la responsabilità degli enti .
Poiché, comunque, è principio fondamentale che la responsabilità penale è personale, si è continuato ad affermare che, seppure rilevabile in sede penale, trattasi di responsabilità per così dire amministrativa. In sostanza, l’ampliamento della responsabilità degli Enti tende a coinvolgere nella punizione di alcuni illeciti penali il patrimonio degli enti stessi e, quindi, tende a coinvolgere gli interessi economici dei soci i quali, prima di tale normativa, non subivano nessuna conseguenza dall’accertamento di reati commessi dagli amministratori o dipendenti, con conseguente vantaggio della società.
Si tratta di una grande innovazione normativa in quanto ora l’ente o la società datrice di lavoro ed i soci, non possono considerarsi estranei al procedimento penale per i reati commessi violando norme di sicurezza a vantaggio o nell’interesse dell’ente.
I reati presi in considerazione sono l’omicidio colposo o le lesioni gravi e gravissime commesse con violazione degli obblighi non delegabili del datore di lavoro.
(...)
3. Copertura assicurativa Inail
Dopo aver indicato quale sia la responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, occorre brevemente accennare alla copertura assicurativa che l’INAIL, ente di assicurazione pubblica, dà al datore di lavoro in caso di evento lesivo occorso ad un suo dipendente che possa classificarsi infortunio sul lavoro o malattia professionale.
La normativa di riferimento è il TU n.1124 del 1965 e successive norme integrative come in particolare il D.Lgs. n. 38 del 2000.
Secondo la citata normativa, dicesi infortunio sul lavoro quello avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro da cui sia derivata la morte o una inabilità permanente al lavoro assoluta o parziale o una inabilità assoluta temporanea.
Dicesi malattia professionale quelle indicate nella tabella le quali che siano contratte nell’esercizio e a causa delle lavorazioni specificate nella tabella e quelle non indicate in tabella e non causate da una lavorazione specificata in tabella purchè comunque sia provata la causa di lavoro. Tale ultima definizione è il risultato degli interventi della Corte Costituzionale per cui la copertura sussiste anche se le malattie non siano previste nella tabella , ma si dia la prova della causa di lavoro.
Detto ciò, l’assicurazione che copre tali eventi lesivi esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile, permane, invece, se vi sia stata condanna penale del datore di lavoro o dei suoi preposti di cui risponde ex art. 2049 c.c.
All’infortunato beneficiario della assicurazione l’Ente corrisponde l’indennizzo al posto del datore di lavoro. Ovviamente, se l’indennizzo dell’Inail non copre l’intero risarcimento civilmente dovuto all’infortunato, il datore di lavoro risultato penalmente responsabile deve risarcire al proprio dipendente quella parte di danno non coperta dalla assicurazione (danno differenziale). In sostanza, se non vi è responsabilità penale del datore di lavoro, l’assicurazione Inail indennizza direttamente l’infortunato e come detto, esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile derivante dal fatto lesivo subito dal lavoratore.
Parte seconda
1. Costituzione di parte civile nei confronti del datore di lavoro
Come è noto le persone danneggiate dal reato possono costituirsi parte civile nel procedimento penale instaurato contro il responsabile dell’illecito penale che viene a lui imputato.
Detto questo in via generale ne consegue, per quanto riguarda l’argomento di cui stiamo parlando, che contro il datore di lavoro imputato di reato di omicidio colposo o di lesioni gravi o gravissime per omissione di misure di sicurezza sul lavoro, la parte lesa può costituirsi parte civile. Quando parliamo di parte danneggiata ci riferiamo, innanzitutto, sia allo stesso infortunato, sia ai congiunti dello stesso.
Per molto tempo, si è anche parlato di costituzione di parte civile dell’Inail quale ente assicuratore dell’infortunato. Vi è chi sosteneva la impossibilità di costituzione dell’ente non essendo esso direttamente danneggiato. A questo proposito occorre far cenno al perché l’Inail potrebbe partecipare al processo penale e costituirsi parte civile.
L’interesse potrebbe ritenersi derivante dal diritto di regresso riconosciuto all’Inail nei confronti del datore di lavoro penalmente responsabile per ottenere il rimborso delle prestazioni erogate all’infortunato. In ogni caso, si è subito sentita l’esigenza di un intervento dell’Inail nei procedimenti penali per infortuni e malattie professionali in quanto ritenuto utile ad incentivare le aziende alla prevenzione e si sono formulate varie ipotesi per giustificare tale intervento.
Si è sostenuto che l’Inail può ritenersi quanto meno ente rappresentativo di interessi lesi dal reato e quindi, come tale, intervenire. Il bene leso sarebbe quello della integrità fisica del lavoratore cui l’Inail per legge è preposto alla tutela, infatti l’ente svolge una funzione anche di prevenzione; di conseguenza ad esso si dovrebbe riconoscere la legittimazione all’intervento ad adiuvandum della pubblica accusa, collaborando nell’istruttoria.
La tesi appare interessante, ma va detto che i giudici non la seguirono e la Corte di cassazione con una sentenza del 24 novembre 1997 affermava che l’assicuratore non è legittimato neppure alla costituzione di parte civile in quanto non può essere considerato né offeso né danneggiato dal reato; altra sentenza della Cassazione è quella del 15 dicembre 2000 n. 2952 che parimenti escludeva l’ammissibilità della costituzione di parte civile dell’Inail.
Peraltro, va ricordato che i giudici di merito alcune volte furono di diverso avviso rispetto alla Cassazione, ammettendo la costituzione di parte civile dell’Inail. Ricordiamo il Tribunale di Ravenna investito a seguito di un terribile plurimo incidente di lavoro che ammise l’Inail il 28 marzo 1990, il Tribunale di Siracusa nel 1999, il Tribunale di Ascoli Piceno nel 2002.
Tutte le questioni sono state eliminate allorché è stata emanata la legge n. 123 del 2007.
Infatti, l’articolo 2 della citata legge impone al Pubblico Ministero di informare l’Inail quando eserciti l’azione penale per omicidio colposo o lesioni gravi commesse con violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai fini della eventuale costituzione di parte civile.
Dunque l’Inail è riconosciuto dal legislatore legittimato ad essere parte civile nel processo penale, sarà poi l’ente a decidere se costituirsi o meno.
Il diritto è stato ribadito all’articolo 61 del successivo D.lgs. n.81 del 2008.
In conclusione l’Inail è ora legittimato a costituirsi parte civile nel procedimento penale contro il datore di lavoro imputato di omicidio colposo o lesioni personali gravi e gravissime per chiedere il rimborso delle prestazioni erogate all’infortunato in virtù del diritto di regresso riconosciuto dall’art. 10 del TU 1124 del 1965 nei confronti del datore di lavoro penalmente responsabile.
A questo proposito ricordiamo una sentenza della Cassazione Penale del 9 ottobre 2008 che prende atto di quanto statuito per legge .
Si conclude, quindi, il cerchio delle responsabilità in caso di infortuni sul lavoro riconosciute in capo al datore di lavoro dell’infortunato.
(...)
Fonte: UILTuCS Abruzzo
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Rispondi Autore: Michele Citarella - likes: 0 | 21/04/2014 (22:46:26) |
Dati statistici alla mano, sempre più spesso i datori di lavoro tendono sempre a non riconoscere e a non pagare gli infortuni in itinere. C'è una legge specifica su questi tipi di infortuni? Oppure la giurisp. si è mai espressa in merito? |
Rispondi Autore: vincenzo lucci - likes: 0 | 12/08/2018 (21:01:16) |
a chi rivolgersi quando i comportamenti sopra esposti sono posti in essere dalle Organizzazioni di tendenza? come ad esempio le Organizzazioni sindacali? |
Rispondi Autore: Ali ansar - likes: 0 | 08/12/2018 (16:05:31) |
Buongiorno io c'ho avuto un infortunio di perdita un occhio inail mi ha riconosciuto 26% invalidità io non fatto la causa contro datore di lavoro però adesso datore di lavoro mi tratta male Non so se io adesso posso fare causa contro datore di lavoro o no Perché incidente fatto1 anno e mezzo fa.grazie |
Rispondi Autore: Alessandro - likes: 0 | 25/03/2021 (10:26:51) |
Salve, mi sorge un dubbio sull'indennizzo del danno differenziale per infortunio in itinere, tipo, lavoro presso un ristorante finito alle 22 circa mi reco a casa col mio scooter, in una curva scivolo da solo e mi procuro lesioni come fratture. Il ristoro del danno differenziale mi spetta comunque? Il datore di lavoro e ugualmente responsabile dell'infortunio in itinere in questo caso? Grazie |