COVID-19: qual è il ruolo del Comitato istituito dal Protocollo condiviso?
Roma, 14 Lug – Non c’è alcun dubbio che, durante l’emergenza creata dalla diffusione del virus SARS-CoV-2, il “ Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, anche nelle versioni dedicate alla sicurezza nei cantieri o a quella nel mondo della logistica, abbia rappresentato un vero e proprio faro nel mare agitato dalle incertezze, dubbi e difficoltà per aziende, lavoratori e operatori in materia di salute e sicurezza.
“ Protocollo condiviso” che, ripreso anche nella normativa nazionale, è diventato un documento basilare per assicurare adeguati livelli di protezione, insieme al D.Lgs. 81/2008, in coerenza con quel “modello organizzativo di prevenzione partecipato” a cui faceva riferimento Franco Bettoni, Presidente dell’Inail, in una nostra recente intervista.
Tuttavia ci sono aspetti del Protocollo che, pur importanti per la definizione precisa del Protocollo anticontagio aziendale, ancora si conoscono poco. E uno di questi è sicuramente relativo al Comitato istituito dal protocollo al punto 13.
13-AGGIORNAMENTO DEL PROTOCOLLO DI REGOLAMENTAZIONE
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Quali sono i compiti del Comitato? Da chi dovrebbe essere composto? Quali conseguenze ha sulla definizione delle misure da adottare? Cosa accadrà quando sarà revocato lo stato di emergenza?
Per rispondere a queste domande abbiamo intervistato Cinzia Frascheri, giuslavorista e Responsabile nazionale Cisl Salute e Sicurezza sul Lavoro, che già in passato ci aveva fornito informazioni su questa intesa tra le parti sociali e sulle conseguenze in materia di salute e sicurezza.
Questi gli argomenti affrontati nell’intervista:
- Il protocollo condiviso e il comitato istituito al punto 13
- Protocollo anticontagio: la funzione e il ruolo del comitato
- RLS, responsabilità penali e comitati territoriali
- Comitati e protocolli anticontagio: cosa accadrà alla fine dell’emergenza?
Il protocollo condiviso e il comitato istituito al punto 13
Riguardo al protocollo condiviso si parla spesso della sua importanza o delle conseguenze della sua applicazione, ma raramente si fa riferimento al Comitato indicato al Punto 13 del Protocollo. Prima di entrare nel dettaglio delle specifiche di questo Comitato cerchiamo di ricordare cosa indica questo punto e quale sia la sua importanza.
Cinzia Frascheri: Se torniamo a ricordare i giorni nei quali è stato elaborato il Protocollo condiviso, che è datato 14 marzo, la memoria ci riporterà al contesto nel quale quasi improvvisamente ci siamo ritrovati (impreparati) a dover fronteggiare una pandemia dovendo, fin da subito, per quanto concerne le realtà lavorative chiamate per necessità a proseguire l’attività lavorativa (escludendo la specificità del settore sanitario), riuscire a coniugare il prioritario obiettivo della tutela degli occupati dal pericolo di contagio con le esigenze delle produzione.
Concretizzato in soli tre giorni l’invito a siglare intese tra le organizzazioni datoriali e sindacali, posto anche solo come mera raccomandazione all’ interno di un DPCM (quello dell’11 marzo) che già introduceva una serie di restrizioni importanti, in vista di quello che sarebbe stato da lì a poco il pieno lockdown, alla più ampia popolazione lavorativa il testo prodotto è risultato subito un rilevante insieme di regole chiare, operative e puntuali (rispettose di quanto già frazionatamente espresso da autorità competenti e organi di governo), necessarie per proseguire le attività produttive a fronte della messa in atto di misure tali da garantire adeguati livelli di protezione e condizioni di salubrità e sicurezza negli ambienti di lavoro e nello svolgimento delle attività.
Per questo, le parti del Protocollo, risultate poi le più rilevanti sul piano dell’individuazione delle procedure e delle regole di intervento, così come della gestione degli interventi, non sono state immediatamente colte e ritenute di grande rilievo, poste sulle prime, in ombra, dalla comprensibile urgenza di concretizzare le misure di precauzione e protezione, propria dell’inizio della Fase 1, a carattere emergenziale.
Già solo con l’intervento di integrazione al Protocollo condiviso, realizzato il 24 aprile, vi è stata una più grande attenzione a quelle parti del testo (a partire proprio dalla Premessa e dal Punto 13), meno operative, ma più di taglio organizzativo e gestionale alle quali si deve tutto il valore di un atto di natura negoziale (solo in un secondo tempo reso, nei contenuti, per tutti vincolante) che ha introdotto le basi per un rinnovato dialogo costruttivo tra le Parti sociali, nell’ambito di una dimensione aziendale e in tema prevenzionale.
Protocollo anticontagio: la funzione e il ruolo del comitato
In un suo recente articolo lei sottolinea che la funzione del Comitato non è solo di “applicazione” e “verifica” del Protocollo, ma anche di “elaborazione”.
C.F.: Sì, proprio nell’articolo che Lei richiama (un working paper pubblicato su Adapt n.10/2020) ho richiamato all’attenzione l’importanza e la rilevanza di quanto è scritto nel testo del Protocollo condiviso (che non va mai dimenticato, quale espressione delle due Parti sociali, datoriale e sindacale) nella prima parte, quella indicata come «Premessa».
Perché se è evidente quanto previsto al Punto 13, di indiscutibile rilevanza, considerato che viene prevista la costituzione in ogni realtà lavorativa (indicando anche la soluzione alternativa di livello territoriale) di un Comitato chiamato all’«applicazione» e la «verifica» delle regole del Protocollo di sicurezza anti-contagio, nel quale è prevista espressamente la partecipazione sia dell’RLS che della rappresentanza sindacale aziendale, di altrettanto valore sono le affermazioni in Premessa.
Oltre al corretto completamento di quanto previsto al Punto 13, considerato che se si parla di «applicazione» e «verifica» delle regole previste dal Protocollo, è naturale chiedersi chi elabora le regole (ancor più visto che il titolo dato al Punto 13, riferendosi all’«Aggiornamento», rimanda ad un processo di interventi in continuità e non all’avvio del processo di individuazione delle misure e regole di tutela), quanto indicato nei capoversi posti in Premessa, evidenzia chiaramente l’intento di indicare il modello partecipativo come la via da perseguire per affrontare in modo efficace le questioni inerenti la tutela della salute e sicurezza degli occupati in ambito lavorativo, (anche) per il contrasto al pericolo di contagio da Covid-19.
Il richiamo esplicito al favorire il «confronto preventivo con le rappresentanze sindacali» al fine di condividere le misure adottate, rese più efficaci dal «contributo di esperienza» di chi lavora, a partire «dagli RLS», pone in chiaro la volontà condivisa dei sottoscrittori del Protocollo nazionale, non solo di confermare il modello partecipativo, di comunitaria derivazione, ma di promuovere il confronto costruttivo tra gli attori della prevenzione aziendale, non riproducendo più la sterile “ghettizzazione” tra rappresentanza specifica (RLS) e rappresentanza contrattuale (RSA/RSU), ma promuovendo l’armonizzazione delle competenze e il riconoscimento reciproco dei ruoli e delle funzioni, nella valorizzazione delle diverse peculiarità.
Gli esempi positivi, in questo periodo, non sono mancati, registrando un’attività contrattuale aziendale importante e risolutiva di alcuni problemi non adeguatamente regolati dalle disposizioni nazionali. Così gli accordi stipulati in tema di ferie solidali, di pacchetti di giorni di assenza aggiuntivi a favore dei lavoratori fragili, noleggio di auto da parte aziendale a favore degli occupati privi di mezzi di trasporto propri…
Come si esplica la funzione di verifica dell’applicazione del protocollo? Lei ha parlato della particolarità di una verifica che in fondo avviene sull’operato stesso del Comitato.
C.F.: Il Punto 13 deve essere letto con attenzione, non forzando il dettato testuale con schemi mentali frutto di esperienza, spesso non positiva (e, comunque, rivelatrice di una situazione attuale ancora purtroppo ampiamente consolidata dove si fa fatica a vedere rispettato anche solo il diritto degli RLS di ricevere copia del DVR).
Quanto viene previsto non pone, su piani diversi, l’«applicazione» e la «verifica», ma attribuisce entrambe le funzioni all’azione del Comitato, composto dalle figure previste, tra le quali la rappresentanza sindacale aziendale e gli RLS.
Pertanto, l’intervento di «verifica» in merito alle regole del Protocollo introduce un concetto che, seppur non previsto nell’impianto delineato dal D.Lgs. 81/08 s.m. (ma presente nei sistemi di gestione), prevede che sia lo stesso Comitato a svolgere un intervento di monitoraggio su quanto da esso stesso individuato quali regole e misure da applicare al fine di verificarne l’efficacia e l’eventuale necessità di aggiornamento.
In questo senso, acquista ancor più significato il richiamo esplicito alla partecipazione della rappresentanza, confermando quel modello di “condivisione”, anziché di “contrapposizione”, tra le figure di prevenzione in azienda, di origine comunitaria, ben radicato nel modello di prevenzione introdotto dalla direttiva 89/391/CE.
Quanto dettato, difatti, da quell’art.9 della L.300 del 1970, trasposto nel D.Lgs. 81/08 s.m. (all’art.18, co.1, lett. n), nel quale si prevedeva/prevede che venga consentito ai lavoratori, mediante gli RLS, di verificare l’applicazione delle misure di protezione, trova nel testo del Punto 13 del Protocollo un diverso significato, seppur veicolato con le stesse parole, ma opportunamente poste in ordine diverso.
È il Comitato, nella sua specifica composizione, che viene chiamato non solo ad occuparsi dell’applicazione delle regole precauzionali indicate nel Protocollo, ma anche dell’“auto-verifica” di quanto posto in essere e della sua rispondenza alle esigenze di tutela e di efficacia degli interventi delineati.
Perché se è evidente che non sono indicati i componenti del Comitato, alcun dubbio è sorto nel ritenere che nel Comitato vi sia necessariamente (almeno) la presenza del datore di lavoro, affiancata dall’RSPP (considerato che parlando di interventi in materia di salute e sicurezza difficile poter pensare ad un mancato coinvolgimento di tale figura di competenza specifica), con la partecipazione delle rappresentanze dei lavoratori (RLS e RSA/RSU).
In questo senso, nel pieno e coerente rispetto del modello tracciato congiuntamente dagli estensori del Protocollo condiviso, l’azione di «verifica sulle regole» mai avrebbe potuto essere prevista come un intervento di una parte (costituita dalle due forme di rappresentanza) sull’altra (nelle figure di espressione datoriale), andando a svolgere un intervento di “controllo” su quanto posto in essere (considerato l’onere che necessariamente grava sul datore di lavoro), in applicazione delle misure precauzionali individuate, in linea con quanto delineato dal Protocollo.
L’aver previsto entrambe le funzioni di «applicazione» e «verifica» in capo al Comitato, nel quale è stata espressamente prevista la partecipazione delle rappresentanze, è la conferma pertanto chiara della volontà congiunta espressa dalle Parti sociali nazionali (attraverso la redazione del Protocollo) di ritenere fondamentale (a partire da questo tempo che ha richiesto uno straordinario impegno di tutela in ambito lavorativo) il confronto e la condivisione tra tutti gli attori aziendali della prevenzione, per la costruzione di un sistema efficace di protezione.
RLS, responsabilità penali e comitati territoriali
Immagino che possa essere emerso, in termini di preoccupazione, da parte di RLS e/o rappresentanti sindacali, il tema delle possibili responsabilità nel partecipare, quali componenti del Comitato, all’applicazione delle regole previste dal Protocollo di sicurezza anti-contagio.
C.F.: Questo tema, con la relativa correlata preoccupazione, non è di certo nuovo e, al rafforzarsi del modello partecipativo, riemerge in modo ciclico.
La questione è sempre legata al con-fondere la responsabilità con il concetto di colpa. Ritenendo che i due concetti possano essere considerati per molti aspetti due sinonimi, da sempre ci si trova di fronte ad una diffusa, seppur ingiustificata, resistenza nei riguardi del consolidamento del modello partecipativo, anche da parte delle figure di rappresentanza, specie in tema di prevenzione, tenuto conto dell’impianto di natura penale nel quale è collocato.
Considerato che più sono chiare e ben definite le responsabilità e più l’esposizione potenziale alla colpa si riduce e, comunque, diviene un terreno sul quale il proprio libero arbitrio ha il ruolo centrale, potendo stabilire se porsi in una condizione di colpa (in caso di mancato rispetto dei precetti normativi o per negligenza, imprudenza ed imperizia), o meno, avendo ben chiari i confini e le condizioni della propria responsabilità, determinati dall’esercizio del ruolo svolto, la partecipazione al Comitato da parte della rappresentanza non può in alcun modo determinare una condizione di reato per colpa, tenuto conto della natura del ruolo.
Non essendo titolari di un potere di decisione e spesa, così come anche di interventi di natura organizzativa e di garanzia dell’attuazione delle direttive ricevute, l’RLS, così come anche l’RSA/RSU non potranno mai essere chiamate a rispondere della mancata attuazione degli interventi di tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
Il loro ruolo, difatti, nell’ambito del Comitato è previsto sulla base dell’apporto di esperienza e conoscenza del contesto lavorativo (come precisato nella Premessa del Protocollo condiviso), al fine dell’individuazione, dell’applicazione e della verifica delle regole del Protocollo di sicurezza anti-contagio che, una volta stabilite, dovranno essere implementate e garantite nel tempo, sul piano della realizzazione ed efficacia; aspetti entrambi che attengono, in primis, al datore di lavoro, titolare di un ruolo che è tale «in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa».
Il modello partecipativo, va ricordato, non annulla le specificità di ruolo, omogeneizzando le figure e le posizioni di garanzia, ma valorizza le peculiarità di ogni ruolo, rafforzando il riconoscimento reciproco del valore aggiunto che ciascuno è chiamato ad apportare, nel rispetto dei confini della propria funzione.
L’acquisizione e la consapevolezza di spazi di responsabilità è sicuramente un processo fondamentale nella crescita di una collettività, ma soprattutto nel consolidamento della capacità di esercizio di un ruolo da parte dei singoli, ancor più quando chiamati a gestirlo in qualità di rappresentanti di altri.
Praticare in modo adeguato ed efficace la “partecipazione” non è una pratica immediata e non vi sono regole consolidate da rispettare ed applicare, occorre costruirla, partendo dal riconoscimento della necessaria partecipazione di tutte le figure della prevenzione, convinti che l’apporto diverso di ciascuno vada a costituire nell’insieme un più ampio valore aggiunto.
In questo senso, anche quanto precisato all’art.29 bis della L.40 del 5 giugno u.s., nel quale viene confermato che l’applicazione delle prescrizioni contenute nel Protocollo condiviso costituisce l’adempimento dell’obbligo espresso all’art.2087 del cod. civ., conferma in modo evidente come sia in capo al datore di lavoro l’onere, perché figura di decisione e spesa, di porre in essere le misure necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica degli occupati.
Nell’ultima versione del Protocollo oltre al Comitato aziendale si parla anche del Comitato territoriale…. Cosa si intende? È prevista la costituzione anche di altri Comitati?
C.F.: Si può sicuramente affermare che quanto previsto al secondo capoverso del Punto 13, aggiunto mediante le integrazioni apportate dalle Parti sociali sottoscrittici del Protocollo condiviso, è giunto quale conferma di interpretazioni e deduzioni, rispettose delle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, avanzate fin dalla prima lettura della versione del 14 marzo, anticipando quanto poi sarebbe stato puntualmente introdotto.
Con estrema chiarezza, difatti, veicolata e sintetizzata nel termine di avvio del secondo capoverso «laddove», viene precisato che, considerata la tipologia di alcune imprese e tenuto conto del sistema delle relazioni sindacali, nelle realtà dove la costituzione del Comitato in azienda dovesse risultare impraticabile, anche alla luce delle ragioni ostative indicate, l’istituzione del Comitato deve avvenire a livello territoriale, composto dagli organismi paritetici e con il coinvolgimento degli RLST e dei rappresentanti delle parti sociali territoriali.
Quanto previsto nel secondo capoverso risulta alquanto chiaro, ma soprattutto emerge con evidenza come le parti sottoscrittrici abbiamo inteso delineare in modo puntuale le due possibili strade da intraprendere per poter addivenire alla costituzione del Comitato, al fine di adottare il Protocollo aziendale di sicurezza anti-contagio, per «applicare e verificare le regole» indicate in tale documento. Interventi vincolanti, a carico del Comitato aziendale o territoriale, per ogni contesto lavorativo, considerato l’obbligo di rispetto dei contenuti del Protocollo condiviso, alla luce della rinnovata disposizione (attualmente riconfermata nel d.l. n. 33 del 16 maggio 2020 e d.P.C.M. 11 giugno 2020) introdotta per la prima volta con il d.P.C.M. 22 marzo 2020.
Pur considerando importante il riferimento agli organismi paritetici (che viste le funzioni attribuite al Comitato, ne sono l’esatta espressione), non deve essere considerata tale indicazione come un intervento di grande rilievo ed una valorizzazione della pariteticità, perché questo assumerebbe il significato di una necessaria visibilità e rafforzamento di un organismo e di un sistema a rete, quello paritetico, che non rappresentano di certo una novità o un’eccezione nel panorama della prevenzione e tutela della salute e sicurezza sul lavoro, specie per certi settori dove la diffusione e la compenetrazione nel tessuto territoriale sono ampiamente consolidate, determinando per le imprese un valore aggiunto da tempo.
A sottolineare l’importanza di quanto indicato nel secondo capoverso del Punto 13 sono gli effetti positivi che si sono determinati, andando oltre quanto previsto espressamente dal testo, ma facendo fruttare quel dialogo tra le Parti sociali promosso con la valorizzazione del modello partecipativo attraverso il Protocollo condiviso, considerato soprattutto il fine principale della tutela dal pericolo di contagio da Covid-19.
In questo senso, la stipula dell’avviso comune siglato dalle parti sociali del settore della cooperazione e la decisione congiunta presa dall’organismo paritetico nazionale del sistema Confapi (OPNC), rappresentano due esempi virtuosi di grande interesse. Per ragioni diverse, difatti, in assenza di una consolidata pariteticità e rappresentanza territoriale, in entrambi i sistemi, si è colta comunque l’opportunità del prevedere l’istituzione del Comitato territoriale, «laddove, per la particolare tipologia di impresa e per il sistema delle relazioni sindacali», non è si era costituito nelle aziende del settore il Comitato, procedendo così come una minima deroga a quanto precisamente indicato, ma perseguendo congiuntamente l’obiettivo del creare un presidio condiviso e partecipato sul territorio a favore di più realtà lavorative (specie di ridotta dimensione), impegnato nell’individuare e concretizzare misure e regole di tutela.
Comitati e protocolli anticontagio: cosa accadrà alla fine dell’emergenza?
Cosa succederà alla fine dell’emergenza COVID-19 e della necessità di protocolli anti-contagio?
C.F.: Se con certezza non ci è dato sapere per quanto durerà questa condizione che richiede l’applicazione e il rispetto di misure e procedure adeguate per conciliare l’attività lavorativa e il contrasto al pericolo di contagio da Covid-19 (considerato anche, proprio di queste ore, il possibile prolungamento dello stato di emergenza), guardando avanti non si può non avviare alcune riflessioni in prospettiva.
Considerate le ragioni per le quali è stato sottoscritto dalle parti sociali il Protocollo condiviso, tenuto conto che il Protocollo aziendale di sicurezza anti-contagio è stato indicato fin da subito (ricordiamo, con il d.P.C.M. dell’11 marzo) quale misura urgente raccomandata per il contenimento del contagio, divenendo in seguito lo strumento mediante il quale declinare gli interventi precauzionali e di prevenzione da disporre in ambiente di lavoro, nel momento in cui la necessità dell’adozione di tali misure non verrà ritenuta più vincolante, anche il ruolo del Comitato, sia aziendale che territoriale, verrà meno.
Se di certo, non orfani di un sistema di provvedimenti volti alla gestione della tutela della salute e sicurezza sul lavoro, basato su interventi di natura preventiva e rispettoso di un modello di relazioni sindacali improntato alla partecipazione, quale il d.lgs. n. 81/2008 s.m., il venire meno del Comitato, quando correttamente costituito e rispettoso della composizione e dei compiti ad esso assegnati, potrebbe determinare un cambiamento significativo e, per alcuni aspetti, far registrare un ridimensionamento nel sistema delle relazioni in ambito lavorativo e prevenzionale, contraendo ancor una volta gli spazi, per un più ampio esercizio del modello partecipativo.
Ma se a fronte della «partecipazione» delle rappresentanze, come previsto per la composizione del Comitato, si dovrà tornare alla mera «consultazione» dell’RLS, riducendo non solo la qualità della relazione, ma soprattutto passando da un contesto di «confronto» e di «condivisione» tra i componenti del Comitato sull’individuare le procedure e regole da attuare, all’assolvimento di un obbligo di interlocuzione tra il datore di lavoro e l’RLS, su quanto delineato dal primo (quale titolare di una decisione, comunque, libera in merito a quanto espresso da quest’ultimo), più rilevante è sicuramente la riduzione in termini di rappresentanza.
Se la duplice presenza delle forme di rappresentanza nell’ambito dei componenti del Comitato, ha richiesto in questo periodo un “impegno” nel dover trovare un’intesa tra soggetti (non necessariamente appartenenti alle stessa sigla sindacale), la differente natura, compensandosi tra competenza specifica e ruolo contrattuale, all’interno dei Comitati ha determinato sicuramente un maggior valore e un arricchimento, a partire da quel più ampio «contributo di esperienza», ritenuto dai sottoscrittori del Protocollo condiviso fonte di maggior efficacia nell’individuazione delle misure da adottare per il contrasto e contenimento della diffusione del virus.
Su questo fronte, quando la necessità (speriamo presto) andrà a svanire in merito all’applicazione delle regole delineate e previste nel Protocollo aziendale di sicurezza anti-contagio e, come questo, del ruolo del Comitato, una riflessione articolata dovrà essere fatta sul ruolo della rappresentanza aziendale sui temi della salute e sicurezza sul lavoro, non perdendo l’occasione di svolgere un’analisi approfondita anche sulla rappresentanza specifica, RLS/RLST, traendo da questo periodo trascorso indicazioni importanti. Non meno valutando gli oltre vent’anni di vigenza di tale ruolo e della pariteticità, intesa come sistema a rete che conta già complessivamente un centinaio di organismi operativi su tutto il territorio nazionale, ma dagli ancora ampi margini di sviluppo e rafforzamento del ruolo, a supporto delle realtà lavorative, a partire dalle micro-piccole imprese.
A tale riguardo è, pertanto, opportuno e, potremmo dire, urgente, iniziare ad avviare riflessioni ampie su questi aspetti, al fine di prospettare quale potrà essere la via migliore da intraprendere nel periodo del “dopo-Covid” sul piano del sistema delle relazioni tra le Parti sociali, in ambito di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, non potendo trascurare tutti gli effetti e i riflessi che potranno da questo determinarsi.
Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto
Scarica la normativa e i documenti di riferimento:
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 11 giugno 2020 - Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19.
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Rispondi Autore: Luca - likes: 0 | 14/07/2020 (08:44:08) |
La Frascheri è come da sempre, precisa. L'articolo mi è piaciuto molto ma un dubbio mi è rimasto. I Protocolli prevedono la costituzione del Comitato Territoriale quando "non si desse luogo alla costituzione di comitati aziendali", se vado a leggere il punto relativo ai comitati aziendali noto che richiede la presenza di RLS/T e RSU/RSA. Mi domando cosa potrebbe accadere in una azienda ove è stato costituito il comitato aziendale ma senza la presenza della rappresentanza sindacale (perchè non eletta-nominata), in questo caso, mancando un membro espressamente previsto, subentrerebbe (se costituito) il Comitato Territoriale? A rigor di interpretazione letterale sarei propenso a dire di sì ma, come già detto, ho dei dubbi. |
Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0 | 14/07/2020 (08:51:59) |
Nel Comitato Aziendale non può mancare il Medico Competente oltre ai citati Datore di Lavoro, RSPP e RLS. Oppure vogliamo considerare l'applicazione del Protocollo un'attività esclusivamente limitata agli aspetti tecnico-organizzativi? |
Rispondi Autore: Luca - likes: 0 | 14/07/2020 (08:56:55) |
Si, sono d'accordissimo, il M.C. non può mancare. Ho rilevato anch'io la sua non menzione ma l'ho considerata una dimenticanza in quanto l'autrice dell'articolo ne ha segnalato in più occasioni l'importanza. |
Rispondi Autore: giuseppe milano - likes: 0 | 26/10/2020 (12:36:18) |
COMITATI COVID TERRITORIALI: Azienda diffusa su intero territorio nazionale, decine e decine di unità produttive con sede da estremo nord a estremo sud del paese. DDL e OO.SS: stipulano accordo per unico comitato centrale senza presenza rls. Alla luce del decreto tribunale treviso del 2 luglio, può essere che questo accordo per unico tavolo centrale possa essere considerato illegale? |