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Sugli obblighi di sicurezza sul lavoro negli appalti “domestici”

Sugli obblighi di sicurezza sul lavoro negli appalti “domestici”
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Committenti di lavori edili

04/12/2023

Una 'mala electio' dell'impresa esecutrice può portare il committente ad assumere su di sé gli oneri del garante della sicurezza posto che una scelta sbagliata non può riversarsi sulla sicurezza dei lavoratori addetti che deve essere comunque garantita.

È l’articolo 3 comma 8 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. l’oggetto di questa recente sentenza della Corte di Cassazione secondo cui sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni del D. Lgs. stesso nonché delle altre norme speciali vigenti in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori i piccoli lavori domestici a carattere straordinario.

 

E’ stata proprio questa esclusione fatta dal legislatore che ha costituito la linea di difesa di un committente di un’opera edile, ex art. 89 del D. Lgs. n. 81/2008, privato o non professionale come comunemente viene definito, che è stato condannato nei due primi gradi di giudizio perché ritenuto responsabile dell’infortunio di un lavoratore dipendente di un’impresa alla quale aveva affidata la verniciatura di una ringhiera del suo appartamento collocata ad una altezza di circa 4 metri mediante l’utilizzo di una scala telescopica dalla quale lo stesso era caduto riportando delle lesioni al capo che ne avevano provocato il decesso.

 

A seguito del ricorso presentato dal committente, la Corte di Cassazione ha precisato che il personale domestico escluso dall'area di applicazione del D. Lgs. n. 81 del 2008 si identifica in quello definito dall’articolo 1 della legge 2 aprile 1958 n. 339 sulla tutela del rapporto di lavoro domestico ovvero in coloro che "prestano a qualsiasi titolo la loro opera per il funzionamento della vita familiare" e ha ricordato che anche a carico di un committente privato che affidi dei lavori da svolgere nell’ambito domestico si applicano gli obblighi di cui all’art. 90 del citato D. Lgs. fra cui la verifica tecnico-professionale dell’impresa affidataria. La Corte suprema ha evidenziato altresì che la “mala electio” dell’impresa esecutrice da parte del committente, professionale o privato che sia, si trasforma sostanzialmente nell’ingerenza dei lavori, posto che può determinare lo svolgimento dei lavori in condizioni di ‘insicurezza’ con la conseguenza dell’assunzione diretta di una sua posizione di garanzia. La stessa ha pertanto dichiarato inammissibile il ricorso confermando di fatto la condanna inflitta al committente nei primi gradi di giudizio.



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Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.

La Corte di Appello ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale nei confronti del committente e del datore di lavoro di un’impresa edile, imputati del reato previsto dall'art. 589 c.p., revocando le statuizioni civili e contestualmente confermando la condanna di entrambi alla pena di un anno di reclusione, con beneficio della sospensione condizionale.

 

Era stato contestato agli imputati di avere cagionato il decesso di un lavoratore; secondo il capo di imputazione, in particolare, il datore di lavoro si era fatto coadiuvare dal lavoratore nella verniciatura della ringhiera di un balcone sito nell'appartamento di proprietà del committente, per effettuare la quale era stata utilizzata una scala fornita da quest’ultimo e dalla quale il lavoratore era caduto da un'altezza di circa tre metri, decedendo a causa delle lesioni riportate; al committente quindi era stato imputato di avere fornito una scala non idonea al tipo di lavorazione e al datore di lavoro di non avere informato il lavoratore dei rischi connessi all'attività, in riferimento alla disposizione contenuta nell’art. 86 del D. Lgs. n. 81 del 2008, non fornendogli inoltre una formazione adeguata in riferimento all'art. 37 dello stesso D. Lgs..

 

La Corte territoriale aveva premesso la ricostruzione del fatto operata da parte del Tribunale sulla base delle dichiarazioni dei testi escussi e dei documenti acquisiti; ricostruzione in base alla quale, il lavoratore, il giorno dell’infortunio, era intento all'esecuzione di lavori di verniciatura presso l'abitazione del committente che si era rivolto per tali opere al datore di lavoro dello stesso lavoratore; tale lavorazione, a propria volta, doveva essere eseguita in parte all'interno del balcone e in parte all'esterno e oggetto della stessa era una ringhiera collocata, rispetto al piano di calpestio, a un'altezza di poco superiore ai quattro metri, con l’utilizzo di una scala telescopica omologata dalla quale il lavoratore era poi caduto riportando le lesioni al cranio che ne avevano cagionato il decesso.

 

La Corte aveva quindi ritenuta condivisibile la valutazione operata dal giudice di primo grado in punto di penale responsabilità degli imputati; in relazione alla posizione del datore di lavoro, ritenendo non adeguatamente provata e comunque ininfluente la deduzione riguardante una asserita e preesistente patologia fisica in capo al lavoratore. Era stato ritenuto altresì che lo stesso dovesse essere qualificato come tale, in considerazione dell'applicazione in subiecta materia del principio di effettività e del concreto esercizio delle facoltà conseguenti a tale posizione, con dovere quindi di identificare i rischi connessi alla lavorazione e di adottare le idonee cautele al fine di scongiurare il rischio di infortuni.

 

In riferimento poi alla posizione del committente dell’opera, la Corte aveva argomentato che la sua assenza dal luogo di lavoro non era tale da escluderne la responsabilità ma doveva anzi essere letta in senso contrario, dato il suo obbligo, in relazione all’art. 15 del D. Lgs. n. 81 del 2008, di pianificare le varie fasi di lavoro e in relazione ai principi in tema di adozione delle misure generali di tutela, da cui sarebbe derivato l'obbligo di procedere alla valutazione dei rischi e alla programmazione della prevenzione; rilevando altresì come dovesse ritenersi provato che lo stesso aveva fornito all'appaltatore gli strumenti di lavoro, con specifico riferimento alla scala, da ritenere non conformi rispetto alla tipologia di opere commissionate. La Corte di Appello aveva quindi ritenuto immuni da censure le conclusioni del Tribunale in punto di trattamento sanzionatorio.

 

Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione il committente tramite il proprio difensore, articolandolo con alcune motivazioni. Lo stesso, con riferimento alla contestazione di non avere rispettato alcune disposizioni contenute nel D. Lgs. n. 81 del 2008, ha sostenuto che l’art. 3 comma 8 di tale D. Lgs. esclude l'applicazione del relativo testo normativo in relazione ai piccoli lavori domestici a carattere straordinario e che, al fine di giungere a una pronuncia di responsabilità per il privato e il piccolo lavoratore domestico, sarebbe stato necessario accertare che l'attività rientrasse nell'ambito di quella prevista dall'art. 2222 c.c. ovvero nel solo ambito del lavoro occasionale. In sostanza il ricorrente aveva pertanto dedotto che la Corte territoriale avrebbe fatto cattiva applicazione della legislazione extrapenale applicabile nel caso di specie. Con altra motivazione di impugnazione il ricorrente ha dedotto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non poteva ravvisarsi alcun obbligo di una sua presenza sul luogo di svolgimento della prestazione lavorativa dovendosi valutare la legittima assenza come una impossibilità per lui di impedire il verificarsi dell'evento.

 

Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso, con conseguente annullamento con rinvio della pronuncia impugnata.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

Il ricorso è stato ritenuto inammissibile da parte della Corte di Cassazione. Secondo la stessa, infatti, la Corte territoriale si era adeguatamente confrontata con i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine all'ambito di estensione della responsabilità del committente in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro e all'applicabilità dei principi medesimi in tema di appalto "domestico". La giurisprudenza di legittimità, in particolare, alla luce della trasformazione della figura del committente (definito dall’art. 89 del D. Lgs. n. 81 del 2008 come "il soggetto per conto del quale l'intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione") nella normativa e nella giurisprudenza, da soggetto privo di autonoma responsabilità a soggetto che riveste responsabilità proprie (oggi descritte dall’art. 90 del D. Lgs. n. 81 del 2008), ha ritenuto che il principio generale, secondo cui il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, debba essere precisato, nel senso che dal committente non può esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori con la conseguenza che ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo e ha citato, come precedente di riferimento, la sentenza n. 3563 del 30/01/2012 della IV Sezione penale, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “Sulla responsabilità per l’infortunio di un prestatore d’opera”, la sentenza della IV Sezione penale n. 44131 del 2 novembre 2015, pubblicata e commentata nell’articolo “La responsabilità del committente e l’eziologia dell’evento” e la sentenza della IV Sezione penale n. 28728 del 16 ottobre 2020, pubblicata e commentata nell’articolo “Le modalità della verifica della idoneità tecnico professionale”.

 

D'altro canto, la suprema Corte ha ritenuto del tutto inconferente il richiamo operato dall'imputato nell'ambito di uno dei motivi di ricorso al disposto dell’art. 3 comma 8 del D. Lgs. n. 81 del 2008 in base al quale "Sono comunque esclusi dall'applicazione delle disposizioni di cui al presente decreto e delle altre norme speciali vigenti in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori i piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresi l'insegnamento privato supplementare e l'assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili". Secondo la stessa, infatti, tale disposizione va letta anche alla luce del disposto dell'art. 2, comma 1, lett. a), dello stesso D. Lgs., che definisce il lavoratore come colui che "indipendentemente dalla tipologia contrattuale svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari", dovendosi quindi ritenere, alla luce del combinato delle due suddette disposizioni, che il personale domestico escluso dall'area di applicazione del D. Lgs. n. 81 del 2008 si identifichi in quello definito dall’art. 1 della legge 2 aprile 1958, n. 339 ovvero in coloro che "prestano a qualsiasi titolo la loro opera per il funzionamento della vita familiare".

 

Va inoltre rilevato, ha aggiunto ancora la Sez. IV, che nell'ipotesi di conferimento di appalto "domestico", non può, in generale, ritenersi che il committente non professionale sia tenuto a conoscere le singole disposizioni tecniche previste dalla normativa prevenzionale per evitare il verificarsi di infortuni, perché altrimenti ne deriverebbe una paralisi dei lavori di manutenzione domestica, posto che ciò implicherebbe una formazione del cittadino comune non prevista dall'ordinamento, che la pretende invece nei confronti del datore di lavoro e dei soggetti dal medesimo designati o comunque di soggetti professionalmente deputati ad assicurare la sicurezza delle lavorazioni.

 

Ciò che la legge pone a carico del committente privato per lavori di tipo domestico, al contrario, è l'obbligo di ‘scegliere adeguatamente l'impresa, quest'onere consistendo nel verificare che la medesima sia regolarmente iscritta alla C.C.I.A, che dimostri di essere dotata del documento di valutazione dei rischi e di non essere destinataria di provvedimenti di sospensione o interdittivi, ai sensi dell’art. 14 del D. Lgs. n. 81 del 2008. Allorquando l'azienda sia scelta secondo siffatti criteri, di natura oggettiva, non può ritenersi la mala electio da parte del committente non professionale, ciò esonerandolo da ulteriori controlli ed ingerenze nei lavori, che potrebbero anche condurlo ad assumere una "responsabilità per ingerenza". Se, tuttavia, la scelta dell'impresa non avviene con questi criteri “il committente assume su di sé gli oneri del garante della sicurezza posto che l'assenza del conferimento dell'incarico per lo svolgimento delle opere ad un soggetto ‘adeguato’ non può riversarsi sulla sicurezza dei lavoratori addetti a quelle opere, i quali debbono comunque essere garantiti”. Dunque, “la mala electio dell'impresa esecutrice si trasforma, in sostanza, nell'ingerenza nei lavori, posto che può determinarne lo svolgimento in condizioni di ‘insicurezza’, con la conseguenza dell'assunzione diretta della posizione di garanzia da parte del committente”.

 

Ciò posto, la Corte territoriale, in linea con i predetti principi, aveva giustamente ritenuto che il committente avesse integralmente assunto su di sé l'onere di adeguata conformazione dell'ambiente di lavoro, non avendo adempiuto agli specifici obblighi sopra elencati in punto di adeguata scelta e valutazione del soggetto appaltatore; e che lo stesso soggetto committente non avesse correttamente adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dall’art. 15 del D. Lgs. n. 81 del 2008 (applicabili al committente in virtù del rinvio compiuto nell'art. 90), con specifico riferimento a quello riguardante l'eliminazione dei rischi, avendo lo stesso fornito attrezzatture, con specifico riferimento alla scala utilizzata nell'esecuzione dei lavori, non idonee rispetto alle esigenze di sicurezza derivanti dalla lavorazione medesima

 

Considerata quindi in conclusione l’inammissibilità del ricorso, la Corte di Cassazione ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e rilevato inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale, che nella fattispecie non sussistessero elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", ha condannato il ricorrente al pagamento di una somma di 3000 euro in favore della Cassa delle ammende.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 44625 del 7 novembre 2023 (u.p. 17 ottobre 2023) - Pres. Ciampi – Est. Mari - P.M. Ceroni - Ric. omissis. - Una 'mala electio' dell'impresa esecutrice può portare il committente ad assumere su di sé gli oneri del garante della sicurezza posto che una scelta sbagliata non può riversarsi sulla sicurezza dei lavoratori addetti che deve essere comunque garantita.





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