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L’ARTICO E’ UN SERBATOIO TOSSICO

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Ambiente

16/12/2005

Dal WWF arriva l’allarme per l’accumulo di sostanze tossiche anche nei luoghi più lontani dalle fonti di inquinamento. Le orche norvegesi i mammiferi maggiormente contaminati.

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L’Artico e gli animali che vivono in questo straordinario ambiente mostrano segni di una contaminazione sempre più preoccupante, specialmente se si pensa che le sostanze chimiche e i contaminanti che sono stati trovati non vengono prodotti o usati in quella regione: il WWF rende noto i dati del rapporto “The tip of the iceberg: Chemical contamination in the Arctic” (disponibile nel sito WWF una sintesi in italiano) che analizza la ricerca condotta dall’Istituto Norvegese Polare (Norwegian Polar Institute, NPI).

Lo studio rileva che le Orche hanno livelli più alti di PCB, pesticidi e di un ritardante di fiamma bromurato di tutti gli altri animali dell’artico.

“Le Orche norvegesi possono essere considerate - spiega Hans Wolkers, ricercatore del NPI - come indicatori dello stato di salute del nostro ambiente marino. Gli elevati livelli di contaminanti sono molto allarmanti e mostrano chiaramente che i mari artici non sono puliti quanto dovrebbero essere, cosa che, in particolare, coinvolge gli animali al vertice della catena alimentare”.

Le Orche sono infatti particolarmente vulnerabili ai contaminanti perché si trovano al vertice della catena alimentare e quindi accumulano tossici dalle specie predate. Tali sostanze nocive si accumulano nel grasso sottocutaneo e in altri tessuti adiposi. Le Orche possono vivere fino a 40 anni e, in tal modo, possono avere livelli molto elevati di sostanze pericolose nei loro tessuti.

In particolare sono stati trovati nei campioni di grasso prelevati da individui maschi di Orca in Norvegia, a Tysfjord, nel novembre 2002 i PBDE (difeniletere polibromurato), classe di ritardanti di fiamma bromurati, simili strutturalmente ai PCB, spesso studiati per la caratteristica di essere persistenti e bioaccumulabili. Studi nei topi hanno permesso di stabilire un collegamento tra esposizione dei neonati al PBDE 47 e alterazioni permanenti del comportamento.


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