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Sulla responsabilità per un investimento mortale in cantiere

Sulla responsabilità per un investimento mortale in cantiere
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

26/03/2019

Non rientra nella zona di accesso a un cantiere, ai fini della sicurezza sul lavoro, il marciapiedi esterno se di proprietà pubblica o comunque non nella disponibilità del datore di lavoro chiamato a gestire i rischi legati al transito dei mezzi.


Oggetto della sentenza della Corte di Cassazione in commento è l’individuazione delle responsabilità per un investimento avvenuto all’ingresso di un cantiere edile a seguito del quale ha perso la vita una donna che stava transitando sul marciapiede attiguo all’accesso al cantiere stesso. E’ stata l’occasione per la suprema Corte di indicare quali criteri seguire per individuare cosa è da intendere per zona di accesso a un cantiere. L’acceso a un cantiere, ha precisato in merito la Corte suprema, è il varco attraverso il quale si entra nello stesso mentre per zona di accesso è intendersi quello spazio che porta al cantiere sul quale l’imprenditore che lo gestisce ha il potere di intervenire per assolvere ai propri obblighi e non, come è accaduto nel caso in esame, la zona di marciapiede  pubblico antistante il cantiere che non è nella disponibilità del datore di lavoro chiamato a gestire i rischi derivanti dal transito attraverso il varco di ingresso al cantiere. Ciò non toglie, ha però precisato la suprema Corte, che il datore di lavoro ha comunque l’obbligo di apporre un’apposita cartellonistica di sicurezza che nella circostanza di cui all’esame non esisteva.

 

 

Il fatto e l’iter giudiziario

Il ricorso per cassazione e le motivazioni

Le decisioni della Corte di Cassazione

 

 

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Il fatto e l’iter giudiziario

La Corte di Appello ha parzialmente riformata la pronuncia emessa nei confronti del direttore tecnico e responsabile della sicurezza del cantiere installato da una ditta appaltatrice nel quale erano in corso dei lavori di edificazione di un nuovo complesso edilizio e del coordinatore in fase di esecuzione e di direttore dei lavori per conto del committente con la quale erano stati giudicati responsabili del reato di cui all'art. 589 del codice penale, commesso con violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni cooperando colposamente tra loro e in concorso causale con il conduttore di un mezzo d’opera che ha investito una signora mentre stava transitando a piedi sul marciapiede attiguo al cancello dell'entrata. La Corte di Appello, infatti, ha ritenuto le già riconosciute attenuanti generiche prevalenti sulla menzionata aggravante e pertanto ridotto la pena inflitta dal Tribunale e ha inoltre concesso al coordinatore la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

 

In particolare la signora era stata colpita dalla parte posteriore sinistra del mezzo mentre lo stesso stava effettuando una manovra di svolta a destra per immettersi in un'area antistante il cancello di accesso al cantiere. La signora, a causa dell' investimento, riportava gravi traumatismi che la portavano alla morte. La Corte di Appello ha ritenuto che i ricorrenti avrebbero dovuto, per le qualità dagli stessi assunte, interdire il transito pedonale nella zona dove dovevano transitare i mezzi pesanti diretti al cantiere; ovvero, dare un'adeguata informazione al pedone del pericolo derivante dal transito di veicoli in arrivo ed in uscita dal cantiere. L’autista del mezzo, invece, tratto a giudizio per rispondere di omicidio colposo commesso con violazione di norme in materia di circolazione stradale, ha definita la propria posizione con sentenza di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 del codice penale.

 

Il ricorso per cassazione e le motivazioni

Avverso la decisione della Corte di Appello hanno ricorso per cassazione a mezzo dei propri difensori di fiducia, sia il direttore tecnico di cantiere che il coordinatore per la sicurezza. Il direttore tecnico ha sostenuto a sua difesa che l’autista sarebbe dovuto entrare da un altro accesso al cantiere per cui l'evento si era prodotto per l'utilizzo abusivo di un accesso provvisorio al cantiere interdetto da circa un mese e quindi non necessitante di cartellonistica di sicurezza. Lo stesso ha sostenuto, altresì, che pure se il conduttore avesse mantenuto una velocità conforme a quella che una eventuale cartellonistica avrebbe imposto l'evento si sarebbe egualmente verificato e inoltre che le qualifiche di direttore e di responsabile di cantiere erano "circoscritte e delimitate al cantiere e non a qualsiasi altro luogo esterno ad esso", sia pure in qualche modo riconducibile all'attività edificatoria che vi si svolgeva per cui in definitiva non vi era una posizione di garanzia a suo carico.

 

Il coordinatore per la sicurezza ha proposto gli stessi argomenti di difesa del direttore tecnico di cantiere e ha aggiunto che la Corte di Appello aveva travisato la prova, asserendo che la cartellonistica non era presente in loco, contrariamente a quanto asserito da alcuni testi, che l'apposizione di un cartello in più non avrebbe evitato l'evento, che l'accesso presso il quale era avvenuto il sinistro era stato ritenuto ingresso provvisorio al cantiere ma in effetti era l'unico accesso carrabile al cantiere tanto che il passaggio, anche dei mezzi pesanti, vi si svolgeva quotidianamente, e che, infine, non era titolare di alcun obbligo di garanzia rispetto a un luogo lontano dal cantiere stesso.

 

Le decisioni della Corte di Cassazione

I ricorsi sono stati ritenuti fondati dalla Corte di Cassazione. In merito all’accesso al cantiere la suprema Corte ha posto alcuni punti fermi. La zona di accesso al cantiere, ha precisato la stessa, è da un verso facilmente individuabile, almeno nei cantieri che risultano recintati, come quello in esame, in quanto l'accesso coincide con il varco che permette il transito verso e dal cantiere. Meno agevole è delimitare lo spazio fisico pertinente all'accesso, operazione tuttavia necessaria per non giungere al paradosso, segnalato dai ricorrenti, di considerare come zona di accesso al cantiere anche la via pubblica che deve essere percorsa per giungere in prossimità di quel varco.

 

Il criterio che deve guidare la ricerca della soluzione interpretativa, secondo la suprema Corte, deve essere rinvenuto nel principio che sottostà all'attribuzione di compiti doverosi, ovvero quello della titolarità di poteri che consentono l'assolvimento dei correlati doveri. Detto altrimenti, non possono rientrare nell'area di accesso al cantiere zone sulle quali il soggetto gravato di obblighi che pertengono alla stessa non abbia poteri dispositivi; correlativamente, non si possono riferire al titolare del potere dispositivo obblighi comportamentali che eccedano quel potere. E pertanto “non può rientrare nella zona di accesso al cantiere, secondo la accezione che rileva ai fini dell'applicazione delle norme in materia di sicurezza del lavoro, il marciapiede esterno al varco, se di proprietà pubblica o comunque non nella disponibilità del datore di lavoro, chiamato a gestire i rischi derivanti dal transito attraverso l'accesso al cantiere”. Va quindi escluso che la Corte abbia fondatamente posto a carico degli odierni ricorrenti di non aver limitato il transito dei pedoni su un'area che, certamente estranea al cantiere e costituita da componenti della viabilità pubblica (marciapiedi e carreggiate) non erano nella disponibilità degli stessi.

 

D’altro canto, ha così proseguito la Sez. IV, non v'è dubbio che sul datore di lavoro gravasse l'obbligo di predisporre l'accesso e la recinzione del cantiere con modalità chiaramente visibili e individuabili, secondo quanto può trarsi dall’art. 96 del D. Lgs. n. 81/2008 che implicitamente rimanda alle disposizioni di maggior dettaglio tecnico, le quali indicano quali caratteristiche deve avere la segnaletica. L'all. XXIV punto 2.1.4. del D. Lgs. n. 81/2008, infatti, prevede che "la segnaletica delle vie di circolazione deve essere di tipo permanente e costituita da un colore di sicurezza". Occorreva quindi nel caso in esame rendere percepibile la via di circolazione passante per l'accesso al cantiere mentre, secondo quanto accertato nei giudizi di merito, tale cartellonistica specifica era assente. Sarebbe stato quindi necessario accertare anche la cosiddetta causalità della colpa, ovvero verificare che la condotta doverosa, qualora posta in essere, avrebbe evitato l'evento illecito mentre la Corte territoriale si era limitata ad affermare lapidariamente che l'infortunio era dipeso "proprio dalla mancata predisposizione di limitazioni all'accesso al cantiere". La Corte territoriale avrebbe dovuto accertare se in presenza di cartellonistica conforme alla menzionata prescrizione l'investimento del pedone si sarebbe comunque verificato o meno mentre  si è limitata ad argomentare in merito all'esistenza di una posizione di garanzia in capo agli odierni ricorrenti e alla violazione di talune norme prevenzionistiche.

 

Con riferimento alla posizione del coordinatore per la sicurezza la Corte di Cassazione ha individuato nella sentenza della Corte distrettuale un ulteriore vizio. La stessa, infatti, ha ricavato dalla titolarità di alcuni ruoli la titolarità di un generale, onnicomprensivo obbligo di garantire la sicurezza del lavoro. Avendo l’imputato rivestito il ruolo di coordinatore per la sicurezza nella fase di esecuzione e di direttore dei lavori, egli, secondo la stessa Corte distrettuale, era tenuto ad "attuare le prescritte misure di sicurezza e a disporre e ad esigere che esse fossero rispettate". Un simile approccio al tema della responsabilità penale avvia però rapidamente alla fondazione del rimprovero penale sulla mera responsabilità oggettiva.

 

Come ripete la giurisprudenza della Corte di Cassazione, ha precisato la Sez. IV, la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi di un evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione, da parte del garante, di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso. Anche a questo compito la Corte di Appello si è indebitamente sottratta per cui, in conclusione, la sentenza impugnata è stata annullata dalla suprema Corte con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di provenienza per nuovo giudizio.

 

 

 

 

Gerardo Porreca

 

 

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 11157 del 13.03.2019 (u.p. 4 dicembre 2018) - Pres. Fumu – Est. Dovere - P.M. De Masellis - Ric. P.G. e S.M.. - Non rientra nella zona di accesso a un cantiere, ai fini della sicurezza sul lavoro, il marciapiedi esterno se di proprietà pubblica o comunque non nella disponibilità del datore di lavoro chiamato a gestire i rischi legati al transito dei mezzi.   

 



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