La responsabilità per l’infortunio di un concorrente in uno studio televisivo
È singolare anche questo infortunio sottoposto all’esame della Corte di Cassazione chiamata a decidere su di un ricorso presentato in questa circostanza dal P.M. L’infortunio è accaduto al concorrente di una trasmissione televisiva nel mentre sul set stava eseguendo una prova consistente nell’effettuare un salto su di una vasca piena di acqua della profondità di circa un metro. Nel corso della prova il concorrente scivolando è caduto nella vasca urtando la testa sul fondo e riportando delle lesioni gravi che hanno avuta come conseguenza una paralisi degli arti inferiori e superiori. Rinviati a processo alcuni responsabili della struttura televisiva per il reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione di numerose diposizioni del D. Lgs. n. 81/2008, il Tribunale ha dichiarato il non doversi procedere contro gli stessi in relazione al delitto ascritto ai sensi dell’art. 590 del codice penale, previa esclusione dell’aggravante prevista dal comma terzo dello stesso articolo in quanto estinto per intervenuta remissione di querela, e ha assolto altresì gli imputati con riferimento alle numerose violazioni delle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 81/2008 contestate agli stessi. Il Tribunale in pratica non ha condivisa la equiparazione del concorrente a una trasmissione televisiva alla figura del lavoratore fatta dalla Procura della Repubblica e ha sostenuto altresì che l'incidente in questione non si fosse verificato all'interno di un ambiente lavorativo, ma in una struttura realizzata a scopo ludico e deputata alle sole prove dei concorrenti nella trasmissione che non si poteva quindi considerare come luogo di espletamento di una prestazione di lavoro.
La Procura della Repubblica ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale. basando lo stesso sul fatto che alla persona offesa doveva essere attribuita la qualificazione di lavoratore dello spettacolo e che le disposizioni di prevenzione degli infortuni devono essere dettate a tutela non solo dei lavoratori ma anche di tutti i terzi che si trovano comunque nell’ambiente lavorativo
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato e ha trovato l’occasione per ribadire quanto più volte sostenuto in sue precedenti espressioni e cioè che nella nozione di "luogo di lavoro", rilevante ai fini della sussistenza dell'obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra ogni luogo in cui viene svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro. indipendentemente dalle finalità, sportive, ludiche, artistiche, di addestramento o altro, della struttura in cui essa si svolge e dell'accesso ad essa da parte di terzi estranei all'attività lavorativa.
Giustamente quindi, secondo la Cassazione, il giudice di primo grado aveva escluso che l'ambiente in cui si era verificato l'infortunio fosse qualificabile come " luogo di lavoro" sulla base dell'elemento di fatto rappresentato dalla destinazione ludica della struttura riservata esclusivamente all'utilizzo da parte dei concorrenti e non da parte dei lavoratori presenti all'interno della struttura, e correttamente aveva concluso che il rischio connesso all'utilizzo della predetta struttura non fosse espressione di un rischio di tipo lavorativo in quanto non correlato all'attività di impresa non essendo la stessa, di fatto, collocata in uno spazio definibile come destinato ad attività lavorativa.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
Il Tribunale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di quattro imputati in relazione al delitto ascritto ai sensi dell'art. 590 cod.pen. (capo A), previa esclusione dell'aggravante prevista dal comma terzo, in quanto estinto per intervenuta remissione di querela, e ha altresì assolto gli stessi dai reati ascritti ai sensi dell'art. 28, comma 2, lett. a) e b) (capo B), dell'art. 18, comma 1, lett. c) (capo C), dell'art. 22, comma 1 e 23, comma 1, (capo D), dell'art. 18, comma 1, lett. c) (capo E), dello stesso D. Lgs. n. 81/2008 per insussistenza dei fatti.
In particolare con riferimento al capo A) dell'imputazione, era stato contestato ai prevenuti, in riferimento al disposto dell'art. 113 cod.pen., di avere, nelle rispettive qualità indicate nell'atto di esercizio dell'azione penale, per colpa consistente in imprudenza, negligenza e imperizia nonché per violazione delle norme in materia di sicurezza e prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionato a un lavoratore occasionale dello spettacolo lesioni personali gravissime occorsegli nel mentre lo stesso presso la società produttrice di una trasmissione televisiva, era intento ad espletare una specifica prova consistente nel salto da un rullo all'altro durante la quale, a causa della superficie scivolosa della struttura, era caduto in un'intercapedine ricompresa tra due rulli precipitando verso il basso nella vasca sottostante, profonda solo m 1,09 e non sufficiente a garantire una caduta in sicurezza nonché recante fondo rigido, impattando con il cranio contro il fondo della vasca e riportando una malattia insanabile del tipo tetraplegia post-trauma con paralisi totali degli arti superiori e inferiori.
Il Tribunale aveva premesso che, nell'atto di esercizio dell'azione penale, la persona offesa era stata qualificata quale lavoratore occasionale dello spettacolo ai sensi dell'art. 1, comma 188, della legge n. 296/2006, ragione per la quale era stata contestata l'aggravante speciale prevista dall'art. 590, comma 3, cod.pen. e aveva rilevato peraltro che il riferimento normativo doveva ritenersi inconferente perché specificamente relativo a esibizioni musicali dal vivo in spettacoli o in manifestazioni di intrattenimento o in celebrazioni popolari o folkloristiche effettuate da giovani fino ai diciotto anni di età, da studenti fino a venticinque o da soggetti titolari di pensione. Il Tribunale stesso, al di là del richiamo normativo, ha comunque ritenuto non condivisibile l'equiparazione del concorrente a una trasmissione televisiva alla figura del lavoratore. In particolare, evocando la definizione contenuta nell'art. 2 del D. Lgs. n. 81/2008, aveva rilevato che la persona offesa, quale concorrente di una trasmissione televisiva, non era inserito nell'organizzazione imprenditoriale, non aveva alcun vincolo di subordinazione e non aveva alcun obbligo di prestare la propria opera.
Il Tribunale aveva altresì ritenuto che l'incidente in questione non si fosse verificato all'interno di un ambiente lavorativo, essendo l'infortunio avvenuto mentre il concorrente si cimentava in una prova che consisteva nell'attraversare una vasca colma d'acqua saltando su alcuni rulli e, dunque, in una struttura realizzata a scopo ludico e deputata alle sole prove dei concorrenti nella trasmissione, non potendo quindi considerarsi come luogo di espletamento di una prestazione di lavoro; esponendo che le regole cautelari violate non dovevano intendersi predisposte a tutela dei lavoratori coinvolti nella produzione ma solo dei concorrenti medesimi. Per l'effetto, quindi, aveva ritenute insussistenti le violazioni contestate in relazione al D. Lgs. n. 81/2008 e, non ricorrendo l'aggravante prevista dall'art. 590, comma 3, cod.pen., aveva ritenuto estinto il reato contestato al capo A) per effetto di intervenuta remissione di querela.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione la Procura della Repubblica presso il Tribunale articolando un unitario motivo di impugnazione, nel quale ha dedotto l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 590, comma 3, cod.pen. e agli artt. 18, 22, 23, 28, 36, 37 e 69 del D. Lgs. n. 81/2008. La stessa, con riferimento allo svolgimento dei fatti oggetto del procedimento, aveva dedotto che alla persona offesa dovesse essere attribuita la qualificazione di lavoratore dello spettacolo e che, in ogni caso, le disposizioni in tema di prevenzione degli infortuni dovevano intendersi dettate a tutela anche di tutti i terzi che comunque si trovino all'interno dell'ambiente lavorativo.
La Procura stessa aveva altresì ritenuta errata l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata in base alla quale la struttura, in quanto destinata a scopi ludici, non avrebbe potuto considerarsi luogo di lavoro, atteso che la struttura in questione costituiva pur sempre un luogo al cui interno venivano espletate prestazioni lavorative; aveva inoltre osservato che l'infortunio occorso al concorrente si era verificato proprio in conseguenza dell'inosservanza degli obblighi di sicurezza imposti dalla legge a tutela della prevenzione di possibili infortuni connessi al rischio di caduta; aveva quindi ritenuto che la causa di estinzione del reato fosse stata erroneamente valutata dal Tribunale in violazione delle disposizioni contenute nel D. Lgs. n. 81/2008. Il Procuratore generale aveva quindi concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione. Lo stesso, secondo la suprema Corte, è stato articolato sulla riconducibilità del fatto oggetto del procedimento all'interno della fattispecie astratta di cui al comma terzo dell'art. 590 cod.pen., il quale prevede un trattamento sanzionatorio aggravato, nonché la procedibilità d'ufficio, rispetto all'ipotesi prevista dal comma secondo, in caso di lesioni gravi o gravissime, qualora i fatti siano stati «commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro»; aspetto al quale, per l'effetto, si connette quello relativo alla qualificazione come "luogo di lavoro" dell'ambiente al cui interno è avvenuto l'infortunio descritto nel capo di imputazione.
Al fine di delineare la nozione di "luogo di lavoro", ha così precisato la suprema Corte, occorre fare riferimento a un criterio di tipo funzionale e relazionale, in base al quale va qualificato come lavorativo un ambiente al cui interno si svolgano prestazioni lavorative e si concretizzi quindi un rischio connesso all'esercizio dell'attività di impresa; criterio dal quale deriva che il datore di lavoro, all'interno del predetto ambiente, caratterizzato dalla concretizzazione del rischio, ha l'obbligo di garantire la sicurezza del luogo nei confronti di tutti i soggetti che ivi si trovino a essere presenti, indipendentemente dalla loro qualificazione sotto la specie della nozione di lavoratore dettata dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D. Lgs. n. 81/2008.
Partendo da questo assunto quindi, ha così proseguito la suprema Corte, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità quello in base al quale nella nozione di "luogo di lavoro", rilevante ai fini della sussistenza dell'obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra ogni luogo in cui viene svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità, sportive, ludiche, artistiche, di addestramento o altro, della struttura in cui essa si svolge e dell'accesso ad essa da parte di terzi estranei all'attività lavorativa citando come precedenti espressioni in diverse sentenze della stessa Corte fra cui la sentenza n. 45316 del 07/11/2019, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ La nozione di luogo di lavoro ai fini dell’applicazione del Decreto 81” e la sentenza n. n. 44654 del 24/11/2022, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ Sulla nozione di luogo di lavoro ai fini dell’applicazione del decreto 81”.
Si tratta di una consolidata lettura giurisprudenziale, ha così proseguito la Sezione IV, da ritenere, a sua volta, del tutto coerente con quella in base alla quale ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante del "fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro" è necessario che venga violata una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio, derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione di rischio e pertanto assimilabili ai lavoratori, e che l'evento sia concretizzazione di tale rischio "lavorativo", non essendo all'uopo sufficiente che lo stesso si verifichi in mera occasione dello svolgimento di un'attività lavorativa.
Per l'effetto, ha così proseguito la suprema Corte, deriva un ulteriore principio, pure consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità in base al quale le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell'interesse di tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa; conseguendone che, in caso di lesioni e di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati dagli articoli 40 e 41 cod.pen. Ne deriva quindi che in tale evenienza dovrà ravvisarsi l'aggravante di cui agli articoli 589, comma 2, e 590, comma 3, cod.pen., nonché il requisito della perseguibilità d'ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex articolo 590 ultimo comma, cod.pen., anche nel caso di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, purché la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell'infortunio non abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante e purché, ovviamente, la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in effetti verificatosi.
Nel caso in esame quindi, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il Tribunale abbia fatto una corretta applicazione dei principi predetti. Difatti, il giudice di primo grado aveva escluso che l'ambiente in cui si è verificato l'infortunio fosse qualificabile come "luogo di lavoro" sulla base dell'elemento di fatto rappresentato dalla destinazione ludica della struttura, in quanto finalizzata esclusivamente alle prove da svolgere da parte dei concorrenti in una trasmissione televisiva e riservata esclusivamente all'utilizzo da parte dei medesimi e non da parte dei lavoratori presenti all'interno della struttura. Il giudice di merito ha quindi concluso correttamente che il rischio connesso all'utilizzo della predetta struttura non fosse espressione di un rischio di tipo lavorativo in quanto non correlato all'attività di impresa e non essendo, di fatto, la stessa collocata in uno spazio definibile come destinato ad attività lavorativa; essendo, a propria volta, la predetta struttura finalizzata non all'espletamento dell'attività lavorativa medesima ma a un'attività ludica dalla stessa avulsa e concretizzante un rischio, ovvero quello della caduta, da ritenersi connaturato e consequenziale rispetto al suo utilizzo.
Deve quindi ritenersi, ha così concluso la suprema Corte, che correttamente il Tribunale abbia valutato come idonea a determinare l'estinzione del reato contestato al capo A, previa esclusione della contestata aggravante ad effetto speciale, l'intervenuta remissione di querela; così come deve conseguentemente ritenersi immune dal denunciato vizio di violazione di legge la dichiarazione di insussistenza delle fattispecie contravvenzionali contestate nei rimanenti capi dedotta sulla base della non operatività delle regole prevenzionali imposte dal D. Lgs. n. 81/2008.
Sulla base delle predette considerazioni la Corte suprema ha, in definitiva, rigettato il ricorso del P.M..
Gerardo Porreca