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Sicurezza sul lavoro e Covid-19: il passaggio alla fase 2

Sicurezza sul lavoro e Covid-19: il passaggio alla fase 2

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Categoria: Valutazione dei rischi

20/04/2020

Prime attenzioni necessarie in materia di salute e sicurezza dei lavoratori per la gestione del processo di transizione dalla c.d. Fase 1 alla c.d. Fase 2 dell’emergenza da Coronavirus. A cura di Cinzia Frascheri.

Attendevamo la c.d. “Fase 2” che, era stato detto, si sarebbe avviata in modo graduale, anticipata da tavoli congiunti tra Governo, scienziati e Parti sociali per la definizione di modalità e criteri di ripartenza scaglionata delle attività e dei rientri da parte delle lavoratrici e lavoratori.

 

Se, però, dal DPCM del 22 marzo u.s. l’elenco delle attività “consentite” è andato progressivamente e repentinamente ampliandosi, per decreto, ma anche per “non sospensione” o “silenzio/assenso” da parte dei Prefetti, le regole e le indicazioni operative non sono giunte con altrettanta rapidità e tempestività.

 

Ci siamo, così, trovati ad oggi (14 aprile u.s.) con l’arrivare in corsa nella c.d. “Fase 2”, essendo forse (o, più correttamente, non essendo ancora) terminata la c.d. “Fase 1”, pur a fronte dei dati ancora preoccupanti (al di là di non insignificanti segnali positivi) che la Protezioni civile puntualmente comunica e il confermato divieto fino al 3 maggio del lockdown.

 

Molti, quindi, i lavoratori, pronti all’alba, alla prosecuzione delle attività lavorative o al riavvio di quante attività rimaste sospese dalla fine di febbraio.

 

Come sappiamo, il Protocollo condiviso del 14 marzo, divenuto vincolante erga omnes nei contenuti, per specifica volontà del legislatore del DPCM del 22 marzo (decreto oggi non più efficace e sostituito dal DPCM del 10 aprile u.s., nel quale è stato riconfermato il medesimo precetto – art.2, co.10), ha realizzato,  mediante un accordo tra le Parti sociali e il Governo, a soli tre giorni dal DPCM dell’11 marzo, quanto in esso veniva caldeggiato, invitando le Parti a trovare intese (art.1, co.9) per individuare regole condivise al fine di porre in essere misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale”.

 

Indicate le regole operative volte alla realizzazione di misure precauzionali, attuate nel rispetto delle prescrizioni del legislatore e delle indicazioni dell’autorità sanitaria, considerato l’obiettivo del contrasto al COVID-19, prevedendo la prosecuzione delle attività lavorative solo potendo garantire condizioni tali da assicurare, a tutte le persone occupate, adeguati livelli di tutela della salute, si è avviato il processo di elaborazione e attuazione del Protocollo di sicurezza anti-contagio, nelle diverse realtà lavorative, attraverso l’impegno e la collaborazione dei componenti del Comitato, preposto in ogni azienda a tale fondamentale ed urgente intervento.

 

Rappresentando ancora oggi, e per i prossimi tempi, uno strumento fondamentale per la definizione delle regole specifiche volte al determinare operativamente il contrasto (o, almeno, il più ampio possibile  contenimento) della diffusione del COVID-19, il Protocollo aziendale anti-contagio, confermato quale “misura urgente” dal recente D.L. n.19 del 25 marzo u.s. (in via di conversione), è andato innestandosi nel sistema organizzativo e gestionale delle realtà lavorative, apportando quelle attenzioni e necessarie procedure volte, potremmo dire, alle “sole” urgenti e specifiche finalità precauzionali riferite al fronteggiare il possibile contagio.

 

Con l’avvio della c.d. Fase 2 (nelle modalità “transitorie” dapprima descritte), considerato che non sarà breve il tempo nel quale dovremo “convivere” con il potenziale rischio di contagio, nel mentre si tornerà allo svolgimento della attività lavorative (parzialmente o totalmente), è ovvio che occorre intervenire in modo strutturale nelle realtà lavorative, modificando/aggiornando non solo le regole e le procedure, in modo meno emergenziale di come fatto fino ad ora, ma agendo in modo sicuramente più completo e, per alcuni aspetti, radicale, trasformando i processi produttivi e rivedendo profondamente l’organizzazione del lavoro (quindi, ritmi, tempi, carichi di lavoro…formazione…), così come la gestione degli spazi (spogliatoi, aree marcatempo, mense-bar, aree fumatori, parcheggi…), il lay-out dei luoghi di lavoro (dagli uffici, ai corridoi, ai reparti…), le attrezzature/macchine. Trasformazioni che di certo richiederanno in molti casi anche un profondo ripensamento dei modelli contrattuali, delle relazioni sindacali, delle modalità di lavoro e lo svolgimento di molte mansioni. Non tutto, dobbiamo saperlo, potrà/dovrà tornare come prima.

 

Ponendo a cardine centrale il pieno rispetto dei due principi essenziali di precauzione:

  • la distanza minima di sicurezza interpersonale (di almeno un metro e oltre, se contatto frontale);
  • l’igiene costante delle mani (mediante utilizzo di acqua e sapone e, in mancanza, di detergenti a base alcolica),

in attesa di linee direttrici certe e univoche (a carattere dispositivo e a base scientifico) emanate dal tavolo nazionale preposto a tale fine, è opportuno evidenziare alcuni elementi di criticità che dovranno ricevere attenzione nelle realtà lavorative impegnate nello svolgimento delle attività, prevedendo un’adeguata regolamentazione e la definizione di specifiche procedure necessarie, salvaguardando non solo la tutela della salute delle lavoratrici e lavoratori, ma anche la sicurezza e il non verificarsi di forme di discriminazione, dirette e indirette, così come anche di penalizzazione, sul fronte economico, sociale, familiare, andando a comprimere e a sacrificare il rispetto della persona e la sua centralità nel lavoro.

  

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A tale riguardo, allo stato attuale delle attività e in vista della graduale complessiva ripresa, è opportuno che, nel procedere all’elaborazione/applicazione del Protocollo aziendale anti-contagio (da parte del Comitato), si lavori sui seguenti punti di attenzione:

 

VALUTAZIONE DEL RISCHIO E MODIFICA DEL DVR

Passando gradualmente da una fase a carattere emergenziale, ad una fase più strutturata e permanente, occorre che gli attori della prevenzione (componenti, oggi, sostanzialmente del Comitato aziendale, con funzioni maggiorate, anche per l’RLS) avviino un processo di transizione tra quanto previsto nel Protocollo di sicurezza anti-contagio (strumento, comunque, attualmente necessario e confermato espressamente dal fronte legislativo) al Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), presente in azienda, attuando quel necessario processo di ri-valutazione del rischio, alla luce delle eventuali/necessarie modifiche e aggiornamenti che saranno apportati.

 

E’ importante comprendere come, pur confermando la natura di rischio biologico generico (e non professionale, per i contesti non sanitari) del COVID-19 e, pertanto, non riconducibile ai rischi propri dello svolgimento delle attività lavorative, dovendo prolungare il tempo di mantenimento delle tutele della salute pubblica, in ambito lavorativo, anche oltre alla fase emergenziale, gli interventi previsti di contrasto al contagio (dettati dal Protocollo condiviso e declinati aziendalmente nel Protocollo di sicurezza anti-contagio), divenendo strutturali, richiedano una ri-analisi del rischio in merito a quanto posto in essere alla luce delle tutele della salute e sicurezza sul lavoro (mai, comunque sospese).

 

Attuando, pertanto, gli interventi minimi necessari previsti dal Protocollo condiviso del 14 marzo, declinati specificatamente, alla luce delle realtà lavorative, nel Protocollo di sicurezza anti-contagio, occorrerà verificare la coerenza con le procedure e le regole organizzative, in essere, nel contesto lavorativo, modificando/aggiornando nel DVR quanto non più rispondente o, comunque, adeguato a garantire la salute e sicurezza degli occupati (non potendo trascurare che il DVR deve essere “la fotografia dell’esistente” – art.29, co.3, DLGS 81/08 s.m.).

 

Giova, in questo caso, precisare che, alla luce delle disposizioni normative attuali, secondo quanto previsto dal recente D.L. n.19 del 25 marzo u.s. (in via di conversione), sul mancato rispetto dell’osservanza delle misure di urgenza previste dai Protocolli aziendali di sicurezza anti-contagio (oltre al ruolo centrale e determinate di controllo, attribuito allo stesso Comitato estensore) è previsto l’intervento da parte delle Forze di polizia e, ove occorra, le Forze armate, potendo infliggere sanzioni amministrative (art.4, commi 1 e 9).

 

                                                                                                                                                                                      A tale riguardo – sottolineandone il rilievo – occorre evidenziare che, con circolare del Ministero dell’Interno del 14 aprile u.s., a corredo del, già citato, DPCM del 10 aprile u.s., è stato precisato che potrà essere chiesta la collaborazione delle ASL, e delle articolazioni territoriali dell’Ispettorato del Lavoro, per il controllo sui datori di lavoro delle modalità di attuazione delle procedure organizzative e gestionali previste dal Protocollo condivido del 14 marzo u.s. e, non meno, sull’osservanza delle precauzioni dettate per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e la sussistenza di adeguati livelli di protezione dei lavoratori.

 

In questo senso,  viene (anzi, potremmo dire positivamente, torna) ad essere richiamato puntualmente il ruolo specifico, in qualità di organi di vigilanza, delle ASL e, per quanto di competenza, dell’Ispettorato del lavoro, in merito all’attuazione dei contenuti del Protocollo condiviso (o, più concretamente, di quanto previsto nel Protocollo aziendale anti-contagio) e, coerentemente e rispettosamente alla normativa vigente prevenzionistica, in merito agli interventi in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, riconducibili sostanzialmente alla valutazione dei rischi e all’aggiornamento del DVR, alla luce delle modifiche apportate al processo produttivo, alle misure di tutela, all’organizzazione del lavoro, ai luoghi e spazi di attività e comuni,  secondo l’apparato sanzionatorio del DLGS 81/08 s.m..

 

La “nuova” valutazione dei rischi, pertanto, quale “valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività…” (art.2, co.1, lett. q, DLGS 81/08 s.m.), dovrà, almeno, tenere conto:

 

  • Organizzazione del lavoro, vie di accesso/transito/uscita e spazi comuni

  • sulla base della riorganizzazione e contingentamento delle presenze, dell’adeguata copertura e distribuzione degli addetti alle emergenze e primo soccorso, per l’intero orario di lavoro;
  • sulla base della riorganizzazione e contingentamento delle presenze, dello svolgimento di mansioni per le quali era necessaria (prima dell’emergenza COVID-19) la presenza simultanea e/o collaborativa di almeno due persone (ad es. per spostamento carichi pesanti, interventi in ambiente confinato…);
  • sulla base della riorganizzazione e contingentamento delle presenze, dei rischi rappresentati dal lavoro in solitudine (specie in presenza di lavoratori “fragili”…);
  • sulla base della riorganizzazione e contingentamento delle presenze, se gli eventuali “nuovi” spazi adibiti a luoghi di lavoro hanno tutti i presidi di sicurezza adeguati (ad es. estintori sufficienti, cassette primo soccorso, porte tagliafuoco, segnaletica di emergenza, vie di fuga, attrezzature da ufficio rispettose dei precetti normativi…);
  • sulla base della riorganizzazione e contingentamento delle presenze, degli orari di lavoro, dei ritmi di lavoro, dei carichi di lavoro, delle presenze sufficienti per lo svolgimento delle attività (tenendo conto sia dei casi di malattia “non correlati al COVID-19”, così come quelli “correlati a COVID-19”);
  • sulla base della riorganizzazione degli spazi, ai fini del rispetto della distanza minima, di una necessaria ri-valutazione delle postazioni di lavoro negli open space, negli uffici (con presenza di più postazioni), nelle linee produttive, di una rimodulazione e ri-progettazione del lay-out degli spazi di/per lavoro;
  • sulla base della riorganizzazione e contingentamento delle presenze, della copertura ed efficienza dei mezzi di comunicazione interna, in caso di modifiche delle postazioni di lavoro, dei nuovi spazi adibiti a luoghi di lavoro, della lontananza fra colleghi... (telefoni, computer, sistemi di allarme…);
  • delle scadenze rinviate di tutti i controlli ordinari (filtri dell’aria, presidi antincendio ed evacuazione, ascensori, impianti di messa a terra…);
  • della necessità di stipulare o modificare/aggiornare il Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza (DUVRI) per le aziende in appalto (vd. imprese di pulizia per la sanificazione, guardiania impegnata nel controllo della temperatura corporea…) armonizzando il Protocollo di sicurezza anti-contagio dell’impresa committente con quello dell’impresa appaltatrice, e riportando quanto di interesse nei DUVRI (ai sensi dell’art.26 del DLGS 81/2008 s.m.).

 

  • Dispositivi di Protezione Individuali (DPI)

Avviandosi al superando del periodo di emergenza e, al contempo, dell’assoluta difficoltà nel reperimento dei DPI (respiratori, guanti, visiere, occhiali, indumenti…), a partire dalle mascherine (comprese quelle chirurgiche, classificate come tali, ai sensi dell’art.16 del D.L. n.18 del 17 marzo u.s.), oltre a dover essere garantito che i dispositivi forniti siano corredati da pronunciamento espresso dall’INAIL (se prodotti, importati e/o messi in commercio in deroga alle disposizioni specifiche vigenti – art.15 del D.L. n.18), non potendo garantire la tutela degli occupati con interventi di distanziamento e modifiche organizzative), si dovrà, almeno, tenere conto :

 

  • sulla base delle esigenze lavorative, dell’efficienza di filtrazione/contrasto dei DPI, assicurandosi che chi indossa i DPI sia adeguatamente protetto, sulla base delle conoscenze scientifiche a disposizione;
  • sulla base delle esigenze lavorative, della traspirabilità, assicurandosi che chi indossa i DPI non abbia problemi di sudorazione e possa inspirare (specie per quanto riguarda i respiratori e le mascherine) regolarmente senza troppo fatica, sulla base della durata del ciclo/turno/orario di lavoro;
  • sulla base delle esigenze lavorative, della compatibilità, assicurandosi che chi indossa i DPI (specie per quanto riguarda i respiratori, le mascherine e i guanti) non subisca conseguenze alla cute (con segni, lividi, irritazioni, allergie…);
  • sulla base delle esigenze lavorative, dell’ergonomia, assicurandosi che chi indossa i DPI non abbia problemi di comfort, aderenza, misure, copertura rispondente alle proprie dimensioni, compatibilità fra DPI e/o occhiali da vista…
  • sulla base delle esigenze lavorative, della fornitura, per assicurare un ricambio adeguato e della pulizia ed igiene dei DPI (oltre al rispetto delle disposizioni di smaltimento, già previste dai protocolli, nel rispetto delle circolari ministeriali);
  • sulla base delle esigenze lavorative e valutando chi dovrà indossare i DPI, dei rischi da prevenire, senza comportare di per sé un rischio maggiore;
  • di avviare un nuovo percorso di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, tenendo conto dell’aggravio determinato dall’utilizzo giornaliero dei DPI, da parte di chi non è abituato ad utilizzarli e, comunque, non è abituato ad indossarli per lungo tempo;
  • sulla base delle esigenze lavorative, del microclima degli ambienti, assicurandosi che chi indossa i DPI (a partire dai respiratori, le mascherine e i guanti) non abbia problemi di eccessiva sudorazione, appannamento degli occhiali…

 

  • Formazione

avviandosi al superando del periodo di emergenza (che ha portato alla deroga temporanea, prevista dal Protocollo condiviso, dello svolgimento dei corsi di formazione professionale e/o abilitante per tutti i  ruoli/funzioni aziendali in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), dovendo garantire la distanza minima interpersonale, favorendo la modalità a distanza (e-learning), non essendo intervenute alcune modifiche alla regolamentazione vigente, per quanto riguarda i criteri necessari per lo svolgimento di tali modalità formativa (Accordi Stato-Regioni del 2011 e 2016), occorrerà rispettare quanto previsto per lo svolgimento dei corsi, non solo per quanto concerne le caratteristiche della piattaforma formativa da utilizzare, ma soprattutto per i corsi che possono (o non possono) essere realizzati in modalità e-learning.

 

Al contempo, occorre precisare che, sempre in assenza di specifiche disposizioni (o deroghe espresse), nessun riconoscimento come formazione base/aggiornamento obbligatori, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, è stata previsto per le lezioni “frontali” a distanza, sia interattive che registrate (Linee applicative del 25 luglio 2012).

 

 

In tal senso, dovranno essere ripensate le modalità di svolgimento dei percorsi formativi, garantendo il contingentamento e la distanza minima interpersonale tra i discenti e con il docente.

 

Attualmente, nel giungere al termine della c.d. Fase 1, e nell’avvio della c.d. Fase 2 (in attesa di regole chiare sul tema da parte del tavolo nazionale degli esperti con mandato governativo), dovranno  assolutamente essere garantiti, ai fini dello svolgimento dello specifico ruolo/funzione, interventi di informazione adeguata sui rischi specifici al quale il lavoratore potrà essere esposto nello svolgimento della sua mansione/funzione (nel rispetto di quanto previsto dall’art.36 del DLGS 81/08 s.m.).

 

Tale informazione potrà essere garantita mediante l’affiancamento (nel rispetto della distanza minima di almeno un metro) da parte di figure/colleghi esperti (a partire dai preposti...), così come anche per quanto concerne gli obblighi di addestramento. Tali interventi di prevenzione dovranno essere documentati, tenuto conto che in caso di infortunio sul lavoro, a partire dal datore di lavoro, si analizzeranno le responsabilità penali specifiche.

 

  • Sorveglianza sanitaria - Soggetti fragili

Di estrema difficoltà sta risultando il poter garantire un’adeguata tutela per le lavoratrici e i lavoratori che si trovano in situazione di particolare fragilità, a partire da coloro che risultano affetti da patologie attuali e pregresse e/o che hanno condizioni particolari (quali ad es. i malati oncologici, gli immunodepressi, ma anche gli affetti da pneumologie, reumatologie o gli appartenenti a categorie risultate più vulnerabili, quali le persone di età avanzata …), che li espongono potenzialmente ad un maggior rischio di contagio da COVID-19.

 

Quanto espressamente previsto nel Protocollo condiviso del 14 marzo, riferito al prevedere a carico del medico competente la segnalazione in azienda di casi riconducibili a condizione di fragilità (per le ragioni dapprima richiamate), non trova applicazione concreta, necessitando di ulteriori soluzioni regolative certe e puntuali, che si auspica giungano al più presto (già, comunque, richieste ufficialmente alle autorità governative).

 

Occorre, difatti, precisare che nel caso il lavoratore fragile non sia già soggetto a sorveglianza sanitaria (sulla base della mansione svolta e dei rischi ai quali il lavoratore è esposto) e/o le sue problematiche di salute non siano conosciute dal medico competente perché non correlate all’occupazione, per il medico competente risulta difficile poter venire a conoscenza di tali condizioni, se non palesate spontaneamente dal lavoratore.

 

Anche nel caso di fragilità dovute a motivazioni evidenti, quali ad esempio l’età avanzata, non rappresentando motivi correlati all’idoneità alla mansione, il medico competente potrà solo confrontarsi con il datore di lavoro e gli altri componenti del Comitato (quindi, sostanzialmente gli attori della prevenzione aziendale, RSPP e RLS) al fine di individuare modalità alternative per favorire la tutela della persona (vd. smart working o altre soluzioni).

 

Va ricordato, in tal senso, che il datore di lavoro non può sottoporre a visita medica il lavoratore (ai sensi dell’art.5 della L.300/70) mediante il medico competente, se non ricorrendo alla commissione medica pubblica che, pronunciandosi comunque sempre nei termini di una valutazione di idoneità, interviene su singoli casi e non sulla base di criteri che possano comprendere gruppi di lavoratori.

 

Per altro canto, quanto stabilito sul punto dall’art.3, co.1, lett. b) del DPCM dell’8 marzo u.s. e dall’art.26 del D.L. n.18 del 17 marzo u.s., non ha garantito la risoluzione del problema. Difatti, determinando, in breve, che tutti coloro che risultano privi di certificazione emessa da “competenti autorità sanitarie” (come, invece, nei casi, ad esempio, di chi rientra nei termini stabiliti dalla L.104/92) non hanno la possibilità fattiva di farsi riconoscere il proprio stato di fragilità, tenuto conto che il medico di base non è considerato assimilabile a tali autorità competenti, ha confermato l’esistenza di grave problema di tutela per un’ampia schiera di occupati. Riconoscimento che se venisse comunque garantito, a fronte del consentire a tali occupati fragili di poter non recarsi al lavoro determinerebbe, ad oggi, un’assenza dal lavoro computabile ai fini del periodo di comporto (prevedendo un assottigliarsi dei giorni a disposizione del singolo per altre patologie delle quali potrebbe risultare affetto nel corso dell’anno, al di là del contagio).

 

In attesa, quindi, di indicazioni risolutive chiare al problema, è opportuno suggerire ai lavoratori che si trovino in condizioni di fragilità “non certificata” da competente autorità, di richiedere visita medica al medico competente (che dovrà concederla, valutandone le ragioni, sia che essi siano, o meno, in sorveglianza sanitaria) al fine di metterlo a conoscenza delle ragioni che potrebbero determinare una sua potenziale maggior esposizione al contagio da COVID-19

 

A corredo, si ricorda che tra gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente, ai sensi dell’art. 18, co.1, lett. c) vi è il tenere conto delle capacità e delle condizioni dei lavoratori, in rapporto alla loro salute e alla sicurezza, nell’affidare loro i rispettivi compiti e, ai sensi dell’art. 15, co.1, lett. m), quale misura generale di tutela, l’allontanamento del lavoratore dall’esposizione a rischio per motivi inerenti la sua persona, prevedendo il suo adibirlo, valutando le possibilità, ad altra mansione.

 

___________

In sintesi, nel doversi adoperare per garantire la stipula del Protocollo di sicurezza anti-contagio in ogni realtà lavorativa, che stia svolgendo le attività o che sia in riavvio, promuovendo la costituzione del Comitato, e assicurando tale processo (per quanto possibile) anche nelle realtà lavorative nelle quali non vi è la presenza sindacale, al fine di porre in essere una tutela adeguata per tutti gli occupati per il contrasto al contagio al Covid-19, occorre predisporsi, stimolando i contesti lavorativi, all’accompagnare in modo adeguato il passaggio dalla fase emergenziale, alla fase di gestione ordinata e strutturata del problema, predisponendo e pianificando il cambiamento che potrà/dovrà, in alcuni casi, avere anche il carattere di permanente (non necessariamente di segno e valore negativo), anziché solo temporaneo, seppur dai tempi, comunque, medio-lunghi.

 

Cinzia Frascheri

giuslavorista – Resp.le naz. CISL salute e sicurezza sul lavoro

 

Cinzia Frascheri - giuslavorista – Resp.le naz. CISL salute e sicurezza sul lavoro - Prime attenzioni necessarie per la gestione del processo di transizione dalla c.d. Fase 1 alla c.d. Fase 2.  (pdf)

 


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Pubblica un commento

Rispondi Autore: Filippo - likes: 0
20/04/2020 (08:59:57)
Se ancora siamo a questi livelli di ragionamento, ci meritiamo veramente tutto..anche in questo articolo si denota la quasi totale non conoscenza della differenza tra norme di Igiene Pubblica e quelle di Igiene Occupazionale in una situazione di pandemia mondiale..con le relative conseguenze. Avanti cosi!
Rispondi Autore: lui che sa - likes: 0
20/04/2020 (09:20:41)
Un passo avanti comunque è stato fatto: il covid non è un rischio professionale (per alcune aziende).
Rispondi Autore: Andrea Gobbi - likes: 0
20/04/2020 (10:01:08)
Se fosse possibile, vorrei che la dr.ssa Frascheri ci spiegasse come mai ha cambiato così radicalmente la propria posizione circa la necessità di intervenire sul DVR, dato che l'ultimo suo intervento era, contrariamente a questo, assolutamente in linea con le indicazioni delle Regioni Lombardia e Veneto, oltre che con l'INL. Credo sia una domanda lecita, dato che la natura del pericolo non è cambiata (esogeno e generale per la popolazione), e le indicazioni prevenzionali sottoscritte anche dai sindacati nel protocollo condiviso del 14/3 neppure. Grazie.
Autore: Massimo
18/05/2020 (19:34:54)
Le rispondo io visto che lei non lo farà mai.
Ma si rende conto che questa appartiene ai confederali tra l'altro la CISL e ha ottenuto che il protocollo contratto civilistico ex art. 1322 c.c. di forma atipica, mai valido erga omnes (c'è Corte Costituzionale su questo in abbondanza per non parlare di Cassazione) è stato fatto erga omnes con un D.P.C.M. di fatto riconoscendo i confederale, in modo surrettizio, legislatore?
E' un riconoscimento politico che cercavano dal lontano 1993 col primo Accordo Interconfederale.
Per puro potere.
Rispondi Autore: Andrea Quaranta - likes: 0
20/04/2020 (10:39:21)
Spiacente non condividere l'articolo della dottoressa. Dispiace leggere che la valutazione di un rischio, specifico, va fatto in funzione del tempo di esposizione e non in base alla specificità del rischio professionale. Non posso leggere, come lei stessa dice, che il protocollo è valido in fase 1, mentre in fase 2, solo perchè sarebbe un rischio strutturato (?), comporta la modifica/aggiornamento del DVR. Purtroppo da nessuna parte del Testo Unico, viene riportata questa nuova teoria che comporta la valutazione di un rischio.
Rispondi Autore: Nikolin Kodheli - likes: 0
20/04/2020 (11:38:14)
Buongiorno,

per quanto riguarda il DVR non vedo perchè ci debba essere differenza tra fase 1 e fase 2. La questione è che o andava fatto fin dall'inizio o non va fatto comunque. Considerando la gravità di un eventuale rischio di nuovi focolai per tutta la popolazione (problema molto più esteso che solo i luoghi di lavoro) ritengo che a maggior ragione nella fase 2 l'Autorità Pubblica debba guidare e standardizzare il più possibile le misure di prevenzione e protezione.
Non sarebbe il caso di correggere e completare il Protocollo con la collaborazione dei maggiori esperti nazionali in materia?

Per quanto riguarda i DPI credo che il problema principale sia che l'Autorità Pubblica verifichi se ci sarà disponibilità di DPI per tutte le aziende. Inoltre siccome il fattore di rischio è lo stesso per tutti gli ambienti non sanitari (distanza interpersonale minore di 1 m) sarebbe il caso di definire nel Protocollo con precisione i DPI da adottare (specificandone anche la tipologia). Dire che bisogna valutare ergonomia, microclima e stress credo che sia secondario in questa fase.

Sicuramente è da chiarire bene anche la gestione dei lavoratori a maggior rischio. Anche in questo caso ritengo che siano da identificare nel Protocollo sia le categorie fragili che le patologie e le relative misure da attuare per la loro tutela (definendo con precisione il ruolo del medico di medicina genarale, medico competente e datore di lavoro).

Solo dettagliando bene come devono comportarsi tutti (uniformando la gestione del rischio) possiamo essere certi di ridurre il rischio di nuovi focolai.
Rispondi Autore: Rocco Vitale - likes: 0
20/04/2020 (11:45:53)
Prima di tutto sulla formazione. Nella fase 2 bisognerà fare tesoro, rivalutare e governare bene la videoconferenza che vale anche come lezione frontale, così come si sono espresse olte regioni e l'INL. Cancellare questa esperienza vuol dire non fare tesoro della realtà ma guardare indietro.
Certamente devono esserci regole, che potrebbero essere le medesime dell'e-learning sulla tracciabilità.
Per quanto riguatrda il DVR - dato che non dobbiamo scrivere un trattato ma dare indicazioni operative - resto fermo al giudizio del prof. Pascucci. Dopo la valutazione dei rischi si elabora il DVR. Nel caso del COVID 19 , sia per quanto è succeso fin'ora e da quello che succederà nei prossimi mesi-giorni, la valutazione dei rischi è stata già fatta dalle autorità. Quindi non avendo fatto la valutazione ed essendo la valutazione imposta a livello governativo il DVR deve in sostanza essere aggiornato con un allegato che ottemperi le indicazioni della valutazione (imposta) e soprattutto ne definisca e qui va bene, azienda per azienda, le misure da adottare per lavorare nella fase 2.
Rispondi Autore: Gmonty - likes: 0
20/04/2020 (16:00:54)
Condivido pienamente il contenuto dei commenti precedenti e, soprattutto, anch'io vorrei risposta in merito alle motivazioni di una così repentina variazione della propria posizione, assunta, mi risulta, pochi giorni fa, a proposito della necessità di aggiornamento dei DVR aziendali.
Ma sottolineo anche un'altra perplessità, a proposito delle differenti, fantasiose, interpretazioni delle Autorità locali.
Il metro di distanza interpersonale non é ritenuto sufficiente in Regione Toscana, dove inoltre possono essere usate due mascherine chirurgiche al posto di una FFP2; oppure in Regione Lombardia si possono usare anche i foulard (validi anche come DPI sul posto di lavoro???) ma non si possono aprire le librerie, che rappresentano luoghi di pericolosi assembramenti (forse perché chi ha scritto l'ordinanza non ne ha mai visitata una?).
In altre parole, come si può "porre in essere una tutela adeguata per tutti gli occupati", se in ogni Regione le regole sono differenti?
E cosa cambierebbe, come tutela reale, se venisse aggiornato un documento cartaceo, senza garanzia di verifica sul luogo di lavoro?
Rispondi Autore: Pietro Caridi - likes: 0
20/04/2020 (16:53:46)
Buongiorno a tutti, io credo che bisogna adottare ciò che prevede il testo unico all'art. 271 comma 1 lett. e).

Articolo 271 - Valutazione del rischio
1. Il datore di lavoro, nella valutazione del rischio di cui all’art. 17, comma 1, tiene conto di tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche dell’agente biologico e delle modalità lavorative, ed in particolare:
a) della classificazione degli agenti biologici che presentano o possono presentare un pericolo per la salute umana quale risultante dall’ALLEGATO XLVI o, in assenza, di quella effettuata dal datore di lavoro stesso
sulla base delle conoscenze disponibili e seguendo i criteri di cui all’articolo 268, commi 1 e 2;
b) dell’informazione sulle malattie che possono essere contratte;
c) dei potenziali effetti allergici e tossici;
d) della conoscenza di una patologia della quale è affetto un lavoratore, che è da porre in correlazione diretta all’attività lavorativa svolta;
e) delle eventuali ulteriori situazioni rese note dall’autorità sanitaria competente che possono influire sul rischio;
f) del sinergismo dei diversi gruppi di agenti biologici utilizzati.
2. Il datore di lavoro applica i principi di buona prassi microbiologica, ed adotta, in relazione ai rischi accertati, le misure protettive e preventive di cui al presente Titolo, adattandole alle particolarità delle situazioni lavorative.
3. Il datore di lavoro effettua nuovamente la valutazione di cui al comma 1 in occasione di modifiche dell’attività lavorativa significative ai fini della sicurezza e della salute sul lavoro e, in ogni caso, trascorsi tre anni dall’ultima valutazione effettuata.
Rispondi Autore: Raffaele Giovanni - Ispettore tecnico del lavoro - likes: 0
20/04/2020 (17:35:16)
D.ssa Fraschieri, non è la prima volta che mi capita di non condividere le sue posizioni in materia di sicurezza, comunque capisco il suo sforzo ma le consiglio di fare più sindacato e meno tecnica. Non condivido le sue opinioni, tra l'altro, spesso mutevoli. Spero non influenzi i tavoli dove lei siede per mandato sindacale . Grazie ed ascolti i consigli di noi tecnici .
Rispondi Autore: RB - likes: 0
20/04/2020 (18:43:48)
Se chi chiediamo perchè la sicurezza non funziona bene in Italia qui ne abbiamo la risposta. Un punto di vista rivolto al passato, ad una concezione della sicurezza e della formazione burocratica e poco efficace. Non ci siamo dott.ssa Frascheri. Proprio non ci siamo.
Rispondi Autore: Avv. Rolando Dubini - likes: 0
20/04/2020 (23:58:26)
Come volevasi dimostrare. L'evoluzione del pensiero della dottoressa Frascheri merita il sincero apprezzamento di tutti coloro che mettono al primo posto la salute e sicurezza sul lavoro. Il DVR è il documento fondamentale di salute e sicurezza e chi di fronte al rischio biologico COVID-19 che trasforma radicalmente l'organizzazione del lavoro aziendale non aggiorna il documento aziendale di valutazione dei rischi sta violando il D.Lgs. n. 81/2008 articoli 17, 28, 29, 266, 271 commi 1 e 4 del D. Lgs. n. 81/2008.
Rispondi Autore: Lui che sa - likes: 0
21/04/2020 (07:15:11)
Gentilissima D.ssa Fraschieri, onestamente sono rimasto un po' perplesso leggendo l' articolo, ma forse c' è qualcosa che ignoriamo cui dobbiamo prepararci.

In fase 1 il Governo ha stabilito alcune misure anticontagio, pertanto ogni Datore di Lavoro aveva l' onere di calarle nella propria realtà. Alcune lavorazioni necessitavano senza dubbio di aggiornare rischio biologico (cito ad esempio ospedali / RSA con rischio biologico professionale).
Adesso, se dite che in fase 2 il rischio va valutato, vuol dire che il Governo sta demandando al Datori di Lavoro la gestione del rischio (che rimane sempre generico o professionale a seconda). Siamo sicuri che demandare al Datore di lavoro la valutazione e l' adozione delle misure di sicurezza sia la strada migliore? Perché onestamente sia a livello operativo che a livello di controlli mi sembra complicato. Credo (ma é buna mia idea) che si andrà verso mascherine per tutti sempre, ma cosa succederebbe se un D.L. stabilisse che non è necessario poiché la propria valutazione afferma il contrario?

Se poi Lei ci dice che applicando il protocollo, bisogna rivedere il DVR/procedure interne perché possono esserci delle misure che sono incompatibili tra loro posso concordare.

Qualora nella fase non si demandasse al DL la valutazione e gestione del rischio, per quale ragione dovrei fare un DVR che ha come misure quelle indicate dal governo?
So che il ragionamento può apparire superfluo in una pandemia, ma accollare al Datore di Lavoro (in collaborazione con RSPP) la valutazione di un rischio non prefessionale ( o non lavorativo come si vuole chiamare) a mio avviso è sbagliato e può creare precedenti.

Riassumendo, le domande che Le faccio sono sostanzialmente quattro:
1) in fase 2 la valutazione del rischio sarà effettuata dal DL perché non ci saranno misure specifiche del governo? Siamo sicuri sia la strada migliore?
2) percaso voleva dire che il DL deve adeguare la documentazione per incompatibilità con le misure stabilite dal governo?
3) esiste una differenza sostanziale (formale chiaramente si) tra un DVR covid biologico ed una procedura che contestualizza il Protocollo siglato ?( questa domanda in realtà non é mia ma la condivido)
4) al D.L. é demandando l' onere di valutare rischi esogeni?

La ringrazio per l' articolo comunque ed attendo, se possibile, risposta in merito in quanto, come immagina, l' argomento sia attuale.
Rispondi Autore: avv. Dubini Rolando - likes: 0
21/04/2020 (08:46:50)
La Valutazione dei rischi (DVR) precede e determina i contenuti di tutte le procedure e i protocolli di sicurezza vigenti in azienda e nell'ente.
di Rolando Dubini, avvocato penalista del Foro di Milano, cassazionista.
La valutazione dei rischi è primo e fondamentale obbligo legale sanzionato penalmente (in generale) ai sensi degli articoli 17, 28, 29 del D.Lgs. n. 81/2008;del datore di lavoro per proteggere la propria forza lavoro dagli infortuni lievi, gravi o mortali o malattie professionali che siano. Consiste nell’analisi scrupolosa, specifica e dettagliata di tutto ciò che all’interno dell’unità lavorativa l, o comunque durante il lavoro ovunque esso si svolga, può rappresentare un potenziale danno per le persone che lavorano (o che sono comunque, anche occasionalmente z presenti), includendovi anche i materiali, le apparecchiature, i metodi e le normali prassi, gli agenti fisici, le sostanze pericolose, gli agenti biologici presenti anche occasionalmente. Conclusa la fase dell’”Individuazione dei pericoli“, il datore di lavoro dovrà procedere con la fase vera e propria relativa alla valutazione del rischio, quantificando con una valutazione sintetica di ogni rischio il grado alto-medio-basso di ognuno di essi, e quindi alla individuazione di tutte le opportune misure procedurali e di tutti i protocolli di prevenzione e protezione per tutelare i lavoratori.
Le procedure e i protocolli di sicurezza concretamente adottati in azienda sono il risultato finale di una specifica valutazione delle modalità con le quali il singolo pericolo si manifesta potenzialmente come rischio rilevante in azienda. Prima la valutazione del rischio, DOPO la singola procedura, o protocollo, AZIENDALE di salute e sicurezza
La valutazione “di tutti i rischi” per la salute e la sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività lavorativa, costituisce uno degli aspetti più rilevanti nell’impostazione del decreto legislativo 81/08, assumendo il valore di criterio metodologico della prevenzione. Essa, come recita il decreto, deve essere “globale e documentata” e con ciò vengono a seguire specificati i più importanti rischi. Tra questi quelli fisici, chimico, biologico, movimentazione manuale dei carichi, videoterminali, stress lavoro-correlato, etc. Da valutare sono anche quelli non esplicitamente nominati dal legislatore, perché, recita l'articolo 28 del D.Ogs. n. 81/2008, sono tutti i rischi che si manifesta restano durante il lavoro,nessuno escluso. Nessun tipo di classificazione adottata per classificare i rischi può essere opportunisticamente strumentalizzata per evitare di proteggere i lavoratori da rischi che comunque non nacciano l'integrità fisica del lavoratore durante il lavoro. Non è ammesso l'utilizzo di una nozione intenzionalmente ristretta di rischio professionale, che poi è banalmente il rischio che si manifesta durante il lavoro in ragione della professione svolta che costringe il lavoratore a stare a contattarmi con tutta una lunga serie di rischi, al fine di consentire al datore di lavoro di violare il proprio obbligo incondizionato di proteggere lavoratrici e lavoratori da tutti i rischi che si manifestano durante il lavoro. Non proteggere i lavoratori da tutti o rischi che si manifestano durante il lavoro è un comportamento illecito finalizzato a ridurre in modo illegale i costi di sicurezza aziendale per la prevenzione e protezione della salute e sicurezza durante il lavoro.
In tal senso " in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l’obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (per tutti, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 – dep. 18/09/2014, omissis, Rv. 261109) precisandosi altresì, nel solco tracciato dalle Sezioni Unite, che il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016 – dep. 16/05/2016, omissis, Rv. 267253)" [Corte di Cassazione -III sez. pen. - sentenza n. 30173 del 5-07-2018].
Rispondi Autore: lui che sa - likes: 0
21/04/2020 (09:03:59)
Prego tenere presente (a scopo di equivoci) che il D.Lgs 81/08 parla di rischi professionali e che (come definito dall'Art. 2) idel D.Lga 81/08, il servizio di prevenzione e protezione dai rischi è l'insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi PROFESSIONALI per i lavoratori.

La sentenza citata da Dubini fa ovviamente riferimento ai TUTTI i rischi PROFESSIONALI.
Rispondi Autore: carmelo catanoso - likes: 0
21/04/2020 (09:22:51)
A proposito dell'articolo della Frascheri, ricordo che la task forze sta già suddividendo in 4 classi di rischio le attività, facendo lei la ri-valutazione del rischio per le varie tipologie di attività.

Come datore di lavoro, a fronte dell'entità del rischio in cui la mia azienda verrà collocata', dovrò attuare le misure conseguenti che saranno indicate dalla Task Force.
Quindi, sia la valutazione dei rischi che le misure da adottare saranno, così sembra, definite dalla Task Force.

Se invece la Task Force lascerà, come hanno fatto alcuni altri Stati (pochissimi, in verità), l'onere della valutazione dei rischi al singolo datore di lavoro, chiedendogli di classificare la propria azienda in base all'attività eseguita, allora dovrà essere questi a definire cosa fare, come farlo, ecc., per tutelare i propri lavoratori e formalizzare il tutto in un nuovo DVR.
Cosa che non credo avverrà in Italia in quanto verrebbe smentito tutto quanto deciso ed attuato fino ad oggi dalle Autorità Pubbliche.

Personalmente penso che si manterrà la stessa linea seguita fino ad oggi e cioè quella in cui la valutazione del rischio da COVID-19 e le conseguenti misure da attuare sono state definite dal Protocollo delle Autorità Pubbliche lasciando ai singoli datori di lavoro con RSPP, RLS e MC, il compito di contestualizzarle in funzione delle specificità dell'azienda.

Leggendo alcuni interventi , mi continuo a domandare quando si capirà che, essendo le norme di Igiene Pubblica sovraordinate a quelle di Igiene Occupazionale in una situazione emergenziale , non vi è alcun bisogno di rimettere mano al DVR , riguardante la gestione della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro non certo nelle condizioni di epidemia, ma gestire le attività con le nuove procedure emergenziali imposte dalle Autorità Pubbliche e contestualizzate per la specifica azienda.
Tutto quello indicato dalla Frascheri nell'articolo può esser tranquillamente trattato nella citata Procedura Aziendale per il contenimento del contagio da COVID-19.

In altre parole, con una Procedura specifica in cui sono contestualizzate tutte le misure tecniche ed organizzative per la concreta applicazione delle cautele anticontagio definite dal Protocollo e dalla Task Force, si è tranquillamente in grado di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Questa procedura, rispetto, al DVR, viaggerà ad un livello superiore ma parallelo per il contenimento di questo specifico rischio e terrà conto di tutti gli aspetti ad essa correlati.

Se non terremo distinta la gestione del rischio da contagio da COVID-19 dalla gestione dei rischi professionali, la conseguenza, come continuo a ripetere, è che come Datori di lavoro, dirigenti, Preposti, MC, RSPP, appaltatori, Fornitori vari, CSP /CSE, ecc., saremo sistematicamente coinvolti nei procedimenti penali per non aver segnalato / gestito qualunque tipo di rischio esogeno.

Ovviamente, tutto questo farà comodo e fornirà un nuovo business (in termini economici, di immagine, ecc.) a chi strumentalmente continua a sostenere la necessità di aggiornare il DVR anche per le aziende in cui questo rischio biologico non è presente, neanche a livello potenziale, durante le normali attività.
Rispondi Autore: RAFFAELE Giovanni - likes: 0
21/04/2020 (12:11:51)
Ma è mai possibile che gli avvocati facciano gli avvocati ed i tecnici i tecnici ? Ci vuole tanto ? Per favore …..

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