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Il rischio grave, immediato, inevitabile e inimmaginabile

Il rischio grave, immediato, inevitabile e inimmaginabile

Se siamo impreparati a un rischio è sempre perché abbiamo sbagliato la valutazione? Alcune riflessioni su cosa possa essere un rischio inimmaginabile. Alcuni casi di incidenti: Viareggio, Torri Gemelle, Costa Concordia, …

Con riferimento alle novità sulla figura e sui compiti del preposto, in relazione alle novità normative del DL 146/2021 e della legge di conversione, un precedente contributo di Alessandro Mazzeranghi ha permesso di  riflettere sul significato di rischio grave, immediato e inevitabile.

 

Il nuovo contributo di Alessandro Mazzeranghi - “Il rischio grave, immediato e inevitabile ‘inimmaginabile’” – va oltre, fino ad arrivare ad una riflessione sul rischio inimmaginabile.


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Il rischio grave, immediato e inevitabile “inimmaginabile”

 

Forse qualcuno ricorda il commento dell’amico Lorenzo Belloni al mio ultimo articolo su PS relativo al tema. In sostanza diceva che, se siamo impreparati a un rischio, probabilmente abbiamo sbagliato la valutazione che è alla base del piano di emergenza.

Io rispondo che per il 70% (più o meno) ha ragione, ma non in assoluto. E provo a spiegarmi, anche uscendo dal mondo del lavoro. Ho scelto molti esempi noti proprio per avere dei rifermenti comuni.  

 

Stazione di Viareggio, 29 Giugno 2009, tarda sera

Un treno merci che trasportava fluido combustibile deraglia per cause mai definitivamente accertate anche se plausibilmente immaginabili, che non interessano questa trattazione.

L’esplosione, già nella zona di pertinenza della stazione, coinvolge anche diverse abitazioni adiacenti e uccide ben oltre 30 persone.

 

 

Se io avessi avuto un ufficio piuttosto che un esercizio commerciale in zona, io datore di lavoro ipotetico, come avrei potuto immaginare l’evento, la sua estensione, la possibile diffusione del danno fuori dal perimetro dalla stazione sino alla parte di città adiacente?

 

È un fatto vero che, credo, noi tutti ricordiamo ancora bene, anche per le successive vicende processuali mai del tutto conclusesi visto che l’ing. Moretti, allora a capo delle ferrovie, poche settimane fa, in appello, ha fatto ricorso alla prescrizione. La prescrizione non esaurisce il reato (non afferma: il reato non sussiste) ma ferma il giudizio per decorsi termini; quindi nessun tribunale mai si potrà pronunciare sulle eventuali responsabilità dell’ing. Moretti, appunto per decorsi termini temporali.

 

Io quella notte avevo la famiglia in vacanza nelle vicinanze, fra la stazione e l’ospedale Versialia. Ricordo il racconto dell’interminabile suono delle ambulanze in una situazione, fra l’altro, di totale confusione informativa (per la popolazione civile non coinvolta); le priorità erano altre!

 

Inimmaginabile

Questa è la parola più corretta, non imprevedibile che potrebbe sottintendere un fallimento cognitivo o speculativo. Voi direte: ma nei regolamenti europei sulla sicurezza del trasporto ferroviario qualcosa ci doveva essere per prevenire questa situazione. E bisogna ammettere che col tempo, ma ben prima di allora, le cose erano migliorate, in particolare dopo un altro fatto.

 

“11 luglio 1978: in Spagna, sulla strada Valencia-Barcellona, si capovolge un'autocisterna carica di gas. La conseguente esplosione investe il campeggio 'Los Alfaques', che viene spazzato via. È una strage: 215 morti, altre 67 persone rimangono gravemente ustionate.”

 

Da allora ADR (trasporto su strada) e simili (ferrovia, navigazione ecc.) provarono a mettere un limite alla “concentrazione del rischio incontrollato” che potesse dare esiti così catastrofici. La direttiva SEVESO fece lo stesso per le situazioni, analoghe, che possono essere generate dai siti industriali.

Come sempre: esiti buoni ma incompleti.

 

Ma se voi provate a rispondermi che “alla fin fine, pensandoci molto bene, si sarebbe potuto immaginare”, sventuratamente devo rispondere no anche a questo. Forse nei casi citati? A Los Alfaques assenza di preveggenza? A Viareggio negligenza? 

 

Ma nel caso dell'11 settembre alle Torri Gemelle caso cosa mi dite?

Non direi proprio che fosse immaginabile, se non forse in un thriller di spionaggio. E poi una cosa sarebbe stata attaccare le torri (con un missile), altra è stata concretamente l’effetto provocato dall’incendio del carburante che ha surriscaldato la struttura portandola al crollo. Chissà se i terroristi lo avevano previsto, tendo a dubitarne; un militare di marina lo avrebbe previsto meglio: se una nave viene colpita da un missile i maggiori danni spesso non derivano dalla testa in guerra ma dal propellente residuo che provoca incendi (di nuovo!) assolutamente imprevedibili. Quindi dalla testa in guerra esplosiva mi difendo tramite una valutazione a priori, dall’incendio possibile o quasi certo del combustibile, che però si sviluppa in modo casuale, mi difendo molto meno facilmente se non applicando principi generali di compartimentazione.

Se ben ricordo il missile Exocet che affondò lo Sheffield davanti alle Falkland fece danni principalmente tramite il combustibile.

 

Difendersi dall’inimmaginabile

Ho fatto l’esempio solo di alcune delle decine di casi “inimmaginabili” studiati da me come da tanti altri (principalmente nel mondo anglosassone), esempi non necessariamente lavorativi ma che bene esprimono il concetto.

Esempi lavorativi di cui si ricordano i nomi: Seveso, Bophal, Chernobil, Three Miles Island, Deep Water Orizon, Exon Valdez, Fukushima; non esattamente lavorativi: Titanic, Rahmstein, Colombia, Atlantic, Boeing 737 Max, Costa Concordia …

 

Esiste una difesa? Una possibilità di salvezza? Gli studi fatti sul trasporto marittimo passeggeri e sulla sicurezza delle piattaforme petrolifere offshore (entrambi “oggetti marittimi” non militari e molto popolati) ci dicono che se, quando avviene l’inimmaginabile, ci si comporta secondo logiche codificabili quanto meno di minimizzano le vittime umane; un po’ più difficile è il contenimento dei danni ambientali e alle proprietà.

 

Facciamo un esempio a noi purtroppo vicino: il naufragio della Costa Concordia.

 

Esempio 1 - Concrete possibilità di salvezza: la Costa Concordia

Le follie che hanno portato all’evento del naufragio si possono catalogare fra gli eventi troppo stupidi e delinquenziali per rientrare fra gli immaginabili. Quindi considerando la nave nel suo insieme, i successivi comportamenti del comandante (sbagliati, vili e contrari a ogni etica marittima), comunque non hanno impedito che gran parte dei passeggeri si salvasse; è vero che le condizioni generali erano abbastanza favorevoli e che l’equipaggio ha fatto il suo dovere con massima abnegazione, resta comunque il fatto che un evento inimmaginabile nel suo dispiegarsi sia stato controbattuto con un buon livello di efficacia (non me ne vogliano i parenti dei defunti assassinati) sulla base di una centenaria predisposizione della marina passeggeri alla gestione, appunto, dell’inimmaginabile con misure semplici ma piuttosto efficaci che io, in generale, tradurrei grossolanamente in: “capisci dove e cosa è il pericolo e poi scappa dalla parte opposta”.

 

Esempio 2 - Scarsissime possibilità di salvezza: lo tsunami del pacifico nel 2006

Quando lo tsunami del tutto inaspettato colpì il pacifico, l’Indonesia, le Maldive parte dell’India alcune aree geografiche non ebbero neanche il tempo materiale di percepire la situazione e di dare qualche tipo di allarme. Si racconta, però, del terrore e della fuga degli animali, percepito particolarmente dai bambini, che spinsero diversi adulti alla fuga verso la salvezza.

 

 

Qui capire era davvero difficile, fuori da ogni conoscenza consolidata, solo assecondare l’istinto animale era una via di protezione, non necessariamente efficacie, e per giunta assai poco istintiva per soggetti “con cultura occidentale”.

 

Prevedere? Si certo, in assoluto forse si poteva, ma senza una casistica a supporto? Quindi la salvezza era affidata alla reazione individuale o alla pura e semplice fortuna …

 

Esempio 3 - Nessuna possibilità di salvezza: volo Germanwings 952

Troverete tutto in rete sul tema; non mi pare che ci siano incertezze interpretative; quindi riassumo: un pilota di voli di linea vuole suicidarsi, e vuole farlo facendo precipitare l’aereo passeggeri che pilota. Trova un sotterfugio per chiudersi da solo in cabina e poi procede a schiantarsi sulle alpi francesi.

 

 

Nessuna possibilità di salvezza. Per il pilota, che francamente mi fa rabbia ma anche pena: suicidio e strage premeditata.

 

Passando alla prevenzione delle situazioni emergenziali inimmaginabili in ambito lavorativo

Portare in salvo migliaia di civili, alcuni anziani, altri disabili, tutti poco o nulla addestrati “tirandoli fuori” da un ambiente dagli spazi necessariamente ristretti è davvero una impresa che mi lascia ammirato.

Ma l’ambito lavorativo è molto diverso e cercherò di spiegare come le sue peculiarità possono essere di grande aiuto per prevenire i disastri e/o minimizzarne le conseguenze, però vi dico subito che ci vuole impegno!

 

Provo a fare un elenco di quali elementi possono migliorare le reazioni di un gruppo di lavoratori in caso di emergenza inimmaginabile:

 

  1. PRIORITA’: devono essere assolutamente chiare e talmente “automatiche” da non dover essere ripensate in momenti di altissima pressione. La tutela della vita umana è la priorità; nulla (beni, dignità personale ecc.) può valere più della vita di una persona con una sola eccezione: mettere una vita in una condizione di rischio grave, immediato e inevitabile è moralmente e concretamente accettabile se questo tutela la vita di un gruppo largamente più ampio. Successe a Fukushima, se ben ricordo, per la esecuzione più o meno manuale delle manovre necessarie per il raffreddamento del reattore. Usando parole semplici: rischiare la vita di poche persone, quasi sicure di perire se agiranno come “necessario”, al fine di salvare migliaia di altre vite. L’esempio, parte di un lungo elenco di classici simili, è estremo e pone seri problemi etici in merito alla libertà individuale. In realtà mi interessa di più ragionare del contrario, ovvero del caso di THYSSEN Torino, dove una intera squadra di persone esperte, ma chiaramente rese poco lucide dall’agitazione del momento, sicuramente senza ben inquadrare i termini della situazione, è letteralmente andata incontro alla morte cercando di minimizzare un danno che alla peggio sarebbe stato economico (per l’azienda) e reputazionale per i membri della squadra. Ovviamente non dico che sbagliarono le priorità o che agirono senza pensare per reciproca imitazione, come potrei saperlo per certo, dico invece che sottovalutarono completamente la situazione, e qui ci sono gli esiti mortali a dimostrarlo. Perché le risposta alla domanda “i lavoratori morti a Torino si sarebbero potuti salvare?” è SI [1], forse addirittura tutti se avessero agito in modo completamente diverso. Anche la verità processuale non mi pare che neghi questa ovvietà ma piuttosto evidenzi le negligenze di fondo che hanno reso possibile quanto avvenuto.
  2. COMPRENSIONE DELLA EMERGENZA IN ATTO: affermo con una certa ragionevolezza che sulle priorità, sulla comprensione e la condivisione delle priorità non possono esserci difficoltà a meno di messaggi fake o pessimi esempi. Invece la comprensione di una emergenza che non avevamo immaginato mai prima, che quindi non trovava neanche un posticino nei nostri cataloghi mentali, è cosa ben diversa. Ci sono due aspetti: competenze tecniche adeguate (sufficienti) e capacità di ragionare cogliendo tutti gli elementi anche in condizioni di stress estremo e con poco o pochissimo tempo a disposizione. Faccio un altro esempio disastroso ma miracolosamente senza vittime. Uno zuccherificio dove la rimozione dei residui di polvere di zucchero fuori dagli impianti era scarsissima, così come, evidentemente, la competenza dei lavoratori; per una serie di casualità si generò un piccolo incendio di polvere di zucchero (lo sappiamo tutti che essendo un materiale organico è inevitabilmente infiammabile, come la farina, la carta ecc.); il  primo evento smosse violentemente l’aria nella fabbrica causando il sollevarsi in una enorme nube della polvere non rimossa che esplose (ATEX) distruggendo la fabbrica che a quell’ora operava in ciclo automatico con sorveglianza a distanza (zero morti). La dinamica che ho descritto è ben nota agli specialisti, ma se nessuno mi dice che una nuvola di polvere di zucchero può esplodere (in realtà è una combustione molto veloce, quindi serva una miscela “giusta” di combustibile, lo zucchero, e di comburente, l’aria, e una fonte di innesco sufficientemente energetica). Quindi competenze. Ma poi serve anche la capacità di mettere insieme tutti i fattori, capire che qualcosa di molto brutto sta per accadere, mettere da parte la curiosità e pensare lucidamente a come mettersi al sicuro, possibilmente già prima che si verifichi il disastro. Quindi essere ricettivi rispetto a segnali deboli e non pre–codificati. Se vogliamo è la storia dell’antincendio nelle strutture alberghiere: un tempo quando sentivi odore di fumo iniziavi subito a domandarti da che parte scappare… Oggi siamo coccolati dai sistemi automatici e alla peggio rischiamo una doccia.
  3. ORGANIZZAZIONE: se nella situazione è coinvolto un gruppo di persone che abitualmente operano insieme (una squadra, un reparto ecc.) esisterà già una organizzazione gerarchica attiva. Si mantiene quella in caso di emergenza? Siamo certi che il capo della produzione è anche il più competente e capace a gestire una emergenza? Lo stesso dubbio potrei esprimerlo per il capo della squadra di emergenza che è idoneo a gestire le emergenze previste, non quelle inimmaginabili o prevedibili ma non previste e sulle quali non è competente. Comunque, a fronte di un gruppo di persone, una gerarchia predefinita e attuata deve esistere: il “si salvi chi può” non è ammesso!

 

Conclusioni

Scusate la lunghezza, spero che gli esempi siano stati di aiuto a mettere a fuoco un punto di vista che urta la visione deterministica che applichiamo alla salute e sicurezza sul lavoro dove il datore di lavoro, quasi come un Dio molto minore, dovrebbe prevedere e provvedere ai lavoratori dando mezzi, organizzazione, competenze tali da consentire di superare indenni ogni emergenza piccola o grande. Non è così, non per sua colpa ma perché non è realisticamente possibile.

 

 

Alessandro Mazzeranghi

 



[1]    Ho lavorato tanto nel settore: normalmente gli azionamenti di potenza sono idraulici, ad olio, e l’olio, infiammabile, se nebulizzato diventa altamente infiammabile. Consideriamo altri due fattori: in un laminatoio a caldo, è vero che dipende dalla zona, ma si può presumere di lavorare sopra gli 800 °C quasi ovunque (il materiale laminato). Dovendo il fluido idraulico a pressione di diverse centinaia di atmosfere comandare il movimento di cilindri idraulici è necessario che alcuni tratti delle tubazioni siano in materiale flessibile.

Si sarebbe potuto utilizzare un altro fluido non infiammabile? In un laminatoio, che chiede grande precisione dimensionale, non mi risulta. Nelle presse da forgia (materiale 1.240°C) usavo / facevo scegliere a livello di progetto la normale acqua emulsionata, non infiammabile ma meno rigida dell’olio (scordiamoci il fluido incomprimibile ideale)  e dunque meno precisa; avevo un vantaggio: la pressa da forgia non realizza il semilavorato da vendere ma un grezzo che poi viene lavorato alle macchine utensili, quindi i requisiti di precisione dimensionale sono molto più blandi.


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Rispondi Autore: Lorenzo Belloni - likes: 0
10/05/2022 (08:50:45)
Ancora una volta concordo con Alessandro ma i limiti di miglioramento sono ancora molto alti. Porto una mia esperienza su di un caso che ho seguito tra i 207 (infortuni mortali) che ho seguito in 38 anni di "scuola di vita". Eravamo in un impianto di stoccaggio e trattamento di rifiuti palabili, era uno dei più moderni ed efficienti d'Italia, la sera prima l'odore acre era forte e quasi irrespirabile, il responsabile dell'impianto decide di chiamare una autobotte di acido solforico per diluirlo, il mattino seguente nella grande vasca a cielo aperto. Alle prime ore del mattino arriva il trasportatore, viene accompagnato nel punto di scarico, iniziano le operazione ma dopo poco si solleva dalla vasca una nube grigia che viene lentamente ed inesorabilmente spinta dal vento verso l'autista della cisterna, dalla sala controllo, tramite le telecamere vedono la scena. L'autista cade esanime, due ragazzi partono per soccorrerlo ma al loro arrivo li trova la morte istantanea, era una nube di acido solfidrico. Un quarto collega viene poi trovato morto a circa 200 metri più in la, dove inconsapevole stava facendo una manutenzione ad un mezzo.
Non mi soffermo sulle responsabilità di chi siano, è la giustizia che sta facendo il suo corso, certo è che la preparazione delle persone dal datore di lavoro agli "addetti ai lavori" noi consulenti compresi dobbiamo iniziare a pensare "in grande". Le conseguenze del mio stabilimento, della mia attività e perchè no, quelle delle aziende a noi vicine, cosa fanno ? quali sono i rischi che corriamo ? L'acido solfidrico non riconosce i confini e le recinzioni.
Ringrazio la redazione Alessandro e tutti coloro che hanno voglia di scrivere per questa rivista che, ad oggi è l'unica fonte di divulgazione di esperienze, anche negative, strutturata, libera e costante.
Rispondi Autore: Mimmo Didonna - likes: 0
12/05/2022 (12:31:16)
Salve, articolo molto interessante.
Una domanda ad Alessandro:
"per un agente di Polizia e similari, il rischio di un conflitto a fuoco o rischi presenti nei luoghi di lavoro diversi da caserme e uffici, è reale (e quindi da valutare nel DVR) oppure è imprevedibile e inimagginabile tanto da escluderlo dalla valutazione?
La trattazione di questo argomento, dopo la lettura del contributo di Alessandro, mi interessa molto in quanto tutti i DVR delle FF.PP. non trattano l'argomento.
Mimmo Didonna
RLS della PdS
Rispondi Autore: Raffaella Buscemi - likes: 0
17/05/2022 (12:33:06)
Analisi interessante e affascinante!
Da RSPP mi sono spesso chiesta cosa potesse comportare per i miei clienti la vicinanza ad una ferrovia, per esempio e soprattutto dopo Viareggio, o la possibilità di attacco terroristico, specie in stabilimenti con importanti stoccaggi di infiammabili... se è vero che l'entità di certe conseguenze resta nel campo dell'inimmaginabile, trovo sempre utile chiedersi " ma se...?", per provare per quanto possibile a contenerle, trovo che i passi delineati nell'analisi finale vadano nella giusta direzione! ...e da anni "litigo" con i capi area che pretendono di non rispettare la gerarchia delle emergenze, che può e spesso deve essere diversa da quella "in tempo di pace" ;)

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