Per utilizzare questa funzionalità di condivisione sui social network è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing' In questa terza e ultima parte Dubini si sofferma sui riferimenti legislativi, sugli aspetti sanitari e sulla valutazione dei rischi.
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Salute e sicurezza del lavoro all'estero: valutazione del rischio
Nelle scorse settimane abbiamo pubblicato le prime due parti di un articolo dell’avvocato Dubini che si sofferma sul lavoro all’estero con particolare riferimento agli obblighi del datore di lavoro, alla verifica della idoneità tecnico-professionale dell’azienda straniera, alle novità normative, alle responsabilità prevenzionistiche e all’ obbligo di sopralluogo in caso di distacco.
Le prime due parti dell'articolo:
8. La valutazione del rischio del lavoro all’estero
Il lavoro all’estero è stato classificato, nell’ambito delle linee guida della Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale (SIMLII 2004), come attività atipica che presenta flessibilità di impiego ed è caratterizzata, oltre che dai rischi della mansione, da fattori correlati alle condizioni di soggiorno del paese ospitante.
Il riferimento legislativo è il Regolamento Sanitario Internazionale (R.S.I.) entrato in vigore il 15 giugno 2007. Questo è il riferimento legislativo di maggior rilievo per la tutela del lavoratore-viaggiatore, in particolare per le numerose indicazioni sul rischio infettivo.
I lavoratori che operano all’estero sono esposti contemporaneamente a diverse tipologie di rischi/pericoli che, molto spesso, non sono correttamente percepiti, né dal lavoratore né dall’Azienda, se non quando si manifestano in tutta la loro drammaticità.
Se da un lato è relativamente semplice compiere la valutazione dei rischi determinati dalla tipologia di attività lavorativa svolta, soggetta quasi sempre in ogni paese a regolamentazioni e normative, che però vanno studiate ed approfondite, occorre però anche considerare i rischi e pericoli determinati dalla semplice permanenza del lavoratore nel paese. Il livello di esposizione a molteplici pericoli è dovuto alla concomitanza, in percentuale variabile a seconda del paese dove si opera, dei seguenti macro fattori: cultura della sicurezza sul lavoro, ambientali, culturali, religiosi, logistici, sociopolitici, criminali delinquenziali.
Questi i fattori di pericolo e rischio[1]:
1. Fattori Ambientali: comprendono quelli derivanti da malattie endemiche (tipico quelle della malaria e quelle causate dalla flora e fauna locale), dalle condizioni meteo-climatiche (dal colpo di calore nel deserto all’ipotermia in Siberia), dai fenomeni naturali (monsoni, uragani, tempeste tropicali, terremoti, maremoti), dalle condizioni igienico-sanitarie (comprese le località di residenza dei lavoratori), dalle attività produttive svolte sia nelle immediate vicinanze del posto di lavoro che in quello di residenza (come ad esempio raffinerie, centrali nucleari, fabbriche con particolari tipologie di rischio, anche terroristico) ma anche dalla presenza di potenziali “obbiettivi sensibili” di svariata natura, e valenza variabile a seconda delle condizioni socio-politiche locali;
2. Fattori Culturali: il processo di globalizzazione mondiale non ha necessariamente standardizzato le culture in molti dei paesi in cui i lavoratori possono operare, per cui il modo di porsi nei confronti dei locali da parte dei lavoratori può determinare situazioni d’imbarazzo, nel migliore dei casi, che potrebbero sfociare in situazione di tensione, in quanto offensive degli usi ed abitudini degli abitanti locali. Questa può essere la prima frattura in cui altri fattori di rischio possono determinare la nascita e la diffusione di sentimenti ostili tali da indurre azioni dirette di varia natura contro i lavoratori da parte dei locali;
3. Fattori Religiosi: l’estremismo di origine religiosa rappresenta un concreto rischio per tutti i lavoratori occidentali che operano in aree dove questo fenomeno è radicato oppure è in fase d’espansione. In tal caso il pericolo assume specifica rilevanza poiché la percezione cosciente di questa tipologia di rischio non è ancora presente tra i locali né, tantomeno, fra i lavoratori;
4. Fattori Logistici: non è possibile non considerare che gli standard di vita del paese dove sono presenti i lavoratori locali non sono sempre equivalenti ai nostri,perciò occorre valutare ogni singolo aspetto e non bisogna dare niente per scontato. Per chiarire il concetto va valutata molto bene l’esposizione sistematica al fattore di rischio “ infortunio in itinere” dei lavoratori derivante dall’utilizzo di veicoli non in condizioni di completa efficienza meccanica, e di conduttori locali non adeguatamente addestrati, o in condizioni psico-fisiche alterate;
5. Fattori Socio-Politici: l’atteggiamento delle comunità locali per quanto riguarda la percezione dei lavoratori stranieri può variare enormemente. I lavoratori stranieri possono essere visti come trafugatori delle risorse del paese, oppure come valido aiuto per il miglioramento di vita del paese, e tutto questo in base alla situazione politica del momento, con tutte le possibili sfumature comprese fra queste due antitetiche prospettive. Talvolta il Governo stesso del paese è considerato non rappresentativo delle comunità locali e, quindi, il fatto che autorizzi l’impiego di lavoratori stranieri può giustificare la condotta di azioni dirette anche contro gli stessi lavoratori stranieri, visti come strumento del governo. Qui le ambasciate e consolati locali rivestono una funzione di informazione e supporto insostituibile;
6. Fattori criminalità e delinquenza: la presenza di organizzazioni criminali costituisce una seria minaccia per i lavoratori, sia perché può impattare sullo svolgimento delle attività lavorative sia perché potrebbe indurre un comportamento non conforme alle leggi locali che spesso prevedono l’erogazione di pene molto severe in penitenziari locali. I pericoli derivanti dalla delinquenza “comune” non devono essere sottovalutati, non si tratta solo del rischio di subire un furto, perché a volte il livello di violenza ad essi potenzialmente correlato può trasformare un semplice furto in una rapina con conseguenze estreme quali il rischio per la vita della vittima”.
Perciò occorre:
1) acquisire conoscenza dell’area dove si opera prima di siglare contratti all’estero;
2) acquisire conoscenze ed esperienze sulle modalità di svolgimento delle attività lavorative in sicurezza;
3) organizzare la security e la necessaria logistica nel paese;
4) formare e far visitare dal medico competente i lavoratori prima della trasferta all’estero;
5) monitorare & supervisionare continuamente lavoratori in trasferta;
6) sviluppare il Business Continutity Plan, creare il Crisis Management Team per poter gestire eventuali situazioni d’emergenza;
7) sviluppare specifici piani per gestire le prevedibili situazioni di pericolo e prevedere le modalità con cui poter riprendere lo svolgimento delle attività lavorative.
Procedendo in questo modo l’azienda può:
a) iniziare a percepire concretamente gli specifici e generici fattori di rischio dell’area estera dove operano I propri dipendenti e predisporre all’interno del documento di valutazione del rischio una parte dedicata al lavoro all’estero, a cura del responsabile del servizio prevenzione e protezione, del responsabile della security e del medico competente;
b) introdurre le misure opportune e necessarie per garantire la necessaria security del posto/luogo di lavoro ove opereranno I dipendenti. Non è mai troppo sottolineata l’importanza di una corretta ed efficiente organizzazione di tutte le attività logistiche: in alcuni paesi stranieri basta veramente poco per subire disagi facilmente evitabili con un minimo di programmazione, attenzione e organizzazione;
c) formare i lavoratori su tutti i rischi correlati o meno alla mansione, ma potenzialmente presenti, che svolgono o che svolgeranno, cosicché siano pienamente consapevoli della realtà del paese dove saranno in trasferta e di tutto quanto messo in atto dalla loro azienda per la loro salvaguardia e tutela, a cui dovranno rigorosamente attenersi per non esporsi a rischi e pericoli.
In questo modo qualunque comportamento dei lavoratori non conforme alle disposizioni aziendali, che potrebbe determinare l’esposizione a rischio e/o pericoli, diventa una responsabilità anche disciplinare degli inadempienti nei confronti dell’azienda.
Adottando queste misure l’azienda potrà dimostrare di avere adottato tutte le cautele e precauzioni per evitare, per quanto possibile, l’esposizione ai molteplici fattori di rischio e pericolo dei suoi dipendenti che operano all’estero. Il DLgs 626/94 prima e il D.Lgs 81/08 poi, come modificato dal D.Lgs. 106/09, ha introdotto la valutazione dei rischi negli ambienti di lavoro e dedica il titolo X alla protezione specifica da agenti biologici, prevedendo tra le misure preventive, la messa a disposizione da parte del datore di lavoro di vaccini se previsti.
Lo svolgimento della prestazione lavorativa all’estero, per la sua particolarità, presenta implicazioni medico-sanitarie che possono influire sull’integrità psico-fisica del lavoratore e quindi la sua capacità lavorativa. I rischi di natura sanitaria che possono interessare i lavoratori sono numerosi e di diversi tipologie [2]:
- malattie causate da infezioni (epidemie, pandemie, punture d'insetto, contagio tramite rapporto sessuale ecc.);
- condizioni climatiche: calore, freddo ed umidità; nello stesso Paese, potrebbero esservi notevoli differenze a seconda dell’area nella quale si andrà a svolgere l’attività lavorativa (ad esempio, aree desertiche rispetto a quelle della foresta pluviale, aree urbane rispetto a quelle rurali ecc.);
- urgenza delle lavorazioni; i ritmi di lavoro e l'alterazione dei ritmi di riposo sono elementi frequenti delle missioni all'estero;
- aspetti legati all'alimentazione (scarsa igiene nella preparazione e conservazione dei cibi, intolleranze ecc.);
- disagio adattativo, legato alla mancanza di comodità, all'isolamento o alla lontananza dalla famiglia, che può sfociare in sindromi ansioso-depressive;
- altri fattori che, pur non rappresentando un problema in Italia, sono incompatibili con il nuovo ambiente o possono aggravarsi nei Paesi di destinazione (es. predisposizione del lavoratore a malattie o patologie).
Rolando Dubini, avvocato in Milano
Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
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Rispondi Autore: Riccardo Borghetto - likes: 0 | 22/12/2015 (10:21:18) |
Ottimo articolo dell'avvocato Dubini. Se posso contribuire: per la valutazione dei rischi dell'attività svolte all'estero esiste una buona prassi validata dalla commissione consultiva permanente dal titolo "valutazione dei rischi per attività di witness svolte presso terzi" che ho realizzato. Il concetto di base è la consultazione dei lavoratori che già operano all'estero e che hanno una miniera di informazioni che devono essere utilizzate per una seria valutazione dei rischi. Riccardo Borghetto -amministratore unico -Lisa Servizi srl |
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0 | 29/12/2015 (17:54:38) |
l'ING. BORGHETTO HA SOTTOLINEATO L'ASPETTO DECISIVO NELLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DEL LAVORO ALL'ESTERO, la raccolta, registrazione ed analisi delle esperienze dei lavoratori che viaggiano all'estero, fonte insostituibile di conoscenze per una corretta e completa valutazione dei multiformi rischi del lavoro in trasferta internazionale. |