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Decreto 81: sicurezza e sorveglianza sanitaria dei medici
Un nostro lettore, dipendente dell’ASL della Provincia di Mantova e collaboratore giuridico della Direzione Amministrativa, ci ha inviato alcune utili precisazioni in merito alla applicabilità della normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, e della sorveglianza sanitaria in particolare, ai medici di medicina generale convenzionati con il SSN.
Si esamina qui di seguito la questione relativa alla applicabilità delle disposizioni del D. Lgs. n. 81/2008 ai medici di assistenza primaria, di continuità assistenziale e di medicina dei servizi (estensibile ai medici dei servizi di emergenza territoriale) i quali si distinguono dagli altri lavoratori per le particolari caratteristiche del proprio rapporto convenzionale con le aziende sanitarie ed ospedaliere.
Come noto a livello contrattuale tale personale rientra nella categoria dei Medici di Medicina Generale (MMG).
Delle disposizioni del citato D. Lgs. n. 81/2008 occorre innanzitutto richiamare la definizione di cui all’art. 2, nel quale ai fini ed agli effetti della applicazione delle disposizioni di cui al medesimo decreto si precisa che si intende per:
a) "lavoratore": persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione (omissis);
b) "datore di lavoro": il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. (omissis)
Dall’esame della definizione di lavoratore sopra riportata emergono i seguenti punti fermi:
- esiste un lavoratore nel momento in cui esiste anche un Datore di Lavoro pubblico o privato: in altre parole, non tutti coloro che lavorano sono definibili come “lavoratori” ai sensi del D. Lgs. n. 81/2008. Per esser definiti tali e quindi oggetto delle norme di tutela, devono operare "nell’ambito della organizzazione di un datore di lavoro";
- il tipo di contratto di lavoro è assolutamente irrilevante ("indipendentemente dalla tipologia contrattuale"): non solo il lavoratore a contratto di lavoro dipendente risponde alla definizione, ma anche qualsiasi altro soggetto (lavoratore a progetto, lavoratore interinale o "somministrato" co.co.co, lavoratore a chiamata, artigiano) che operi nell’ambito della organizzazione del Datore di Lavoro.
Riguardo al primo requisito è indubbio che i MMG operino nell’ambito della organizzazione di un datore di lavoro (la Asl) e che pertanto siano da considerarsi lavoratori a tutti gli effetti, se pure con connotazioni diverse tra i medici di assistenza primaria, di continuità assistenziale e della medicina dei servizi.
In tutti i casi il servizio che essi svolgono (di pubblica utilità) è loro affidato da una struttura sanitaria pubblica a seguito di una procedura di selezione ad evidenza pubblica, disciplinata dalle norme dell’ACN per la disciplina dei rapporti convenzionali.
Tanto che secondo il parere della Corte di Cassazione [1] il medico convenzionato con il SSN riveste la qualifica di Pubblico Ufficiale, in quanto egli svolge una tipica attività disciplinata da norme di diritto pubblico in relazione alle prestazioni cui il cittadino ha diritto nell’ambito del SSN.
Si consideri inoltre che secondo la Cassazione va riconosciuta la giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti dei medici convenzionati dal momento che la convenzione che li lega al SSN determina l’instaurazione di un rapporto di servizio con la PA, rilevante ai fini dell’assoggettamento alla giurisdizione contabile [2].
Altro importante elemento ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro è il compenso che tali medici percepiscono, predeterminato (sulla base di un accordo sindacale) nella forma, nella modalità di erogazione e nell’ammontare, ma soprattutto fissato su base oraria e/o capitaria, con la previsione di incentivi per la partecipazione ad obiettivi stabiliti dal committente ed una quota per prestazioni aggiuntive e dipendenti dalle disponibilità finanziarie dell’ente gestore (Regione).
Si consideri inoltre l’art. 12 dell’ACN (Accordo collettivo nazionale) vigente in cui i MMG sono individuati quali primo accesso al sistema sanitario, ai cui utenti (non ai loro quindi) sono tenuti a garantire un accesso diretto e illimitato.
L’orientamento che si ricava quindi da alcune recenti sentenze della Cassazione [3] secondo cui “il medico convenzionato (inteso come medico di assistenza primaria) rispetto ai propri assistiti si pone in una relazione professionale simile a quella intercorrente tra un professionista privato ed il suo paziente, considerando che l’Asl sugli stessi medici non esercita alcun potere di vigilanza controllo o direzione, i quali sono del tutto liberi nella predisposizione dell’organizzazione che mettono a disposizione del paziente”, deve ritenersi valida solo ed esclusivamente ai fini del disconoscimento di un rapporto di immedesimazione organica con l’azienda sanitaria e quindi dell’esclusione di una eventuale responsabilità della stessa per danni arrecati dal medico ai pazienti. [4]
Soltanto con riguardo all’organizzazione basterebbe, infatti, richiamare la disciplina di cui all’art. 8 del D.lgs 30.12.1992 n. 502, in cui sono attualmente previste le forme e le modalità (nonché i vincoli orari) con le quali i MMG sono tenuti a svolgere le proprie prestazioni (che è evidentemente altro che dire che essi sono del tutto liberi nella predisposizione dell’organizzazione).
Per una corretta qualificazione del suddetto rapporto si considerino inoltre le garanzie previste in caso di malattia, inabilità temporanea o per motivi di studio, gravidanza e assistenza a figli e altri familiari, la previsione di provvedimenti disciplinari e la possibilità di irrogare sanzioni, nonché la programmazione e organizzazione di percorsi formativi dedicati con obbligo di partecipazione quale requisito per il mantenimento del rapporto convenzionale (con oneri a carico delle aziende committenti), nonché la programmazione delle attività sulla base di linee di indirizzo regionali ed il monitoraggio delle stesse da parte delle aziende e da ultimo il diritto di sciopero (per quanto istituto non più prerogativa esclusiva del rapporto di lavoro dipendente).
Riguardo ai medici di assistenza primaria certamente occorre riconoscere che il loro rapporto si caratterizza per una maggiore autonomia rispetto a quello delle altre due categorie; tuttavia non può negarsi che anch’esso sia incardinato nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico.
Si considerino a tal fine le disposizioni con le quali vengono predefinite le modalità di svolgimento delle prestazioni, nonché le limitazioni all’esercizio della libera professione che per gli stessi sono previste.
Sono da tenere in considerazione certamente anche le disposizioni di cui all’art. 36 del ACN in cui si prevedono gli obblighi a cui il medico è tenuto rispetto alla struttura e alla dotazione strumentale funzionale al mantenimento del rapporto convenzionale di assistenza primaria [5].
Riguardo ai medici di continuità assistenziale si segnalano quali elementi caratterizzanti la reale natura del loro rapporto di lavoro, l’organizzazione delle attività da parte delle aziende committenti, il conferimento di incarichi nel limite di un massimale orario settimanale predefinito a livello contrattuale, la disponibilità delle sedi attrezzate, dei farmaci e del materiale e dei mezzi necessari all’esercizio dell’attività, nonché l’assicurazione contro gli infortuni a carico dell’azienda.
Per i medici della medicina dei servizi elementi peculiari sono la facoltà di trasferimento interaziendale, la retribuzione di un permesso annuo (irrinunciabile), l’esercizio dei controlli sugli stati di malattia e di infortunio dichiarati ed infine l’assicurazione contro i danni da responsabilità civile professionale verso terzi, con oneri a carico delle aziende sanitarie.
Sulla base di tali premesse, se da un lato la natura giuridica del rapporto di lavoro dei MMG non può certo definirsi di dipendenza, dall’altro lo stesso non può nemmeno considerarsi del tutto libero nei fini nei modi e nei tempi di svolgimento.
Si tratta pertanto di stabilire se il rapporto di convenzione che si viene ad instaurare con i MMG può essere riconducibile ad un rapporto di lavoro autonomo o di altra natura, al fine di ritenere applicabili innanzitutto le norme relative agli obblighi a carico del datore di lavoro (artt. 15, 17,18,19) e del lavoratore (art. 20).
Per le condizioni a cui i rispettivi contratti sono assoggettati, si ritiene compatibile con gli stessi la connotazione data dalla normativa in materia di sicurezza ai rapporti di lavoro autonomo, per quanto l’unica disposizione nella quale si definiscono i caratteri del lavoro autonomo (ai fini dell’applicazione delle norme in materia di sicurezza dei cantieri) è quella contenuta nell’art. 89 secondo la quale : è lavoratore autonomo la persona fisica la cui attività professionale contribuisce alla realizzazione dell’opera senza vincolo di subordinazione.
Come noto ai sensi dell’art.3, comma 3, il D. Lgs. n. 81/2008 si applica a tutti i lavoratori e lavoratrici, subordinati e autonomi, nonché ai soggetti ad essi equiparati, fermo restando quanto previsto dai commi successivi del predetto articolo.
Il successivo comma 11 prevede che nei confronti dei lavoratori autonomi di cui all’art. 2222 cod. civile si applichino le disposizioni di cui agli articoli 21 e 26.
Ora se può risultare riduttiva per la professionalità del medico convenzionato la definizione del suddetto art. 89, essa può certamente essere ricompresa nella definizione che l’art. 2222 cc da del contratto d’opera ossia, quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione, nei confronti di un committente.
La terminologia utilizzata anche in questo caso non è del tutto appropriata a descrivere l’attività professionale del MMG ed il suo rapporto con l’azienda sanitaria.
Ma del resto già ricondurre le disposizioni contrattuali che disciplinano il rapporto convenzionale con i MMG nell’ambito delle suddette disposizioni del Codice civile è indubbiamente una forzatura (essendo che molte di esse richiamano piuttosto con tutta evidenza un rapporto di lavoro subordinato).
Per cui dal momento che le prestazioni che il medico si appresta a svolgere non sono dallo stesso assunte di sua spontanea iniziativa, ma sempre e comunque sulla base di un rapporto (di convenzionamento) senza il quale non ne avrebbe titolo e nemmeno l’autorizzazione all’esercizio, anche una forzatura terminologica con la quale alla Asl venga attribuito il titolo di committente (se pure impropriamente) può sicuramente essere sostenuta.
Del resto pure a fronte di una tale atipicità del rapporto di lavoro dei medici di medicina generale, non è sostenibile che un lavoratore tale quale è il medico possa rimanere privo di tutela, mettendo a rischio la propria ed altrui incolumità nell’esercizio delle proprie funzioni.
Prendendo quindi in esame le disposizioni del D. Lgs. n. 81/2008 applicabili ai MMG in relazione alla tipologia di prestazioni da essi svolte e alla natura del loro rapporto con la Asl competente viene prima di tutto in considerazione il noto art. 21 in cui si stabilisce che ilavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell’art. 2222 del codice civile, soggiacciono all’obbligo di utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al Titolo III, di munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni del medesimo Titolo III e di munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità (peraltro quest’ultimo obbligo è previsto solo nell’ipotesi in cui effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto).
L’articolo 21, al comma 2, prevede la facoltà degli stessi soggetti, in relazione ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico, di beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni dell’art. 41 del T.U. e partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo quanto previsto dall’articolo 37 del T.U.
I soggetti sopra menzionati non saranno obbligati a redigere il documento di valutazione dei rischi, atteso che tale obbligo incombe unicamente in capo a chi riveste la qualifica di datore di lavoro. (salvo il caso in cui essi stessi non ne abbiano le caratteristiche in relazione alle eventuali collaborazioni professionali attive presso i rispettivi studi medici).
Ma dal momento che risulta evidente l’intendimento del legislatore di equiparare i lavoratori autonomi agli altri lavoratori - oltre alle disposizioni che ad essi sono specificamente dedicate e contenute nei citati artt. 21 e 26 - occorre considerare anche gli altri obblighi a carico dei lavoratori a partire dalla disposizioni di cui all’art. 20.
In esso al comma 1 viene precisato che “ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quelle delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni” e fra i suddetti obblighi è possibile riscontrare appunto al comma 2 lett. h) quello di partecipare ai programmi di formazione e di addestramento ed al comma 2 lett. i) quello di sottoporsi ai controlli sanitari previsti o comunque disposti dal medico competente.
La convinzione che il lavoratore autonomo non abbia l’obbligo di sottoporsi alla formazioneed alla sorveglianza sanitaria in relazione ai rischi della propria attività lavorativa, deriva da quella che si ritiene una imprecisione del legislatore che li avrebbe dovuti inserire esplicitamente nell’articolo 21 del D. Lgs. n. 81/2008 assieme agli obblighi in esso elencati al comma 1 nonché da una frettolosa lettura del comma 2 dello stesso articolo che indica che i soggetti di cui al comma 1, fra i quali appunto i lavoratori autonomi, hanno facoltà di beneficiare della sorveglianza e di partecipare a corsi di formazione specifici. È invece del tutto evidente che la facoltà che il legislatore esprime al comma 2 non è quella di sottoporsi alla sorveglianza sanitaria in relazione ai rischi specifici della propria attività ed alla formazione incentrata sui rischi medesimi, che sono da ritenersi obbligatorie, bensì di poter “beneficiare”, per dar corso alla sua autotutela, della sorveglianza sanitaria, sottoponendosi a visita medica, a proprie spese, da parte del medico competente del datore di lavoro che lo ospita, così come avviene per qualsiasi altro lavoratore che è alle sue dipendenze, e di poter altresì “partecipare”, sempre a sue spese, ai corsi di formazione specifica in materia di salute e di sicurezza sul lavoro ai quali il datore di lavoro che lo ospita avvia i propri lavoratori dipendenti. [6]
L’art. 26 nel disciplinare gli obblighi connessi ai contratti di appalto, d’opera o di somministrazione nell’ambito dei quali vengono affidati lavori servizi o forniture, presuppone innanzitutto per il datore di lavoro la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolgono le prestazioni.
Se tale requisito è certamente sussistente per i medici di continuità assistenziale e per i Medici della medicina dei servizi, non altrettanto certo è per i medici di assistenza primaria: l’art. 36 dell’ACN sopra citato, sembrerebbe infatti deporre decisamente in senso negativo.
La finalità della norma è quella di verificare l’idoneità professionale del lavoratore autonomo in relazione alle prestazioni da erogare, nonché quella di fornire dettagliate informazioni in merito ai rischi specifici esistenti negli ambiti enti in cui è chiamato ad operare.
Ora se si considera che da tale presupposto consegue l’obbligo del committente di cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi, di coordinare i relativi interventi e di redigere un documento di valutazione dei rischi che indichi le misure da adottare per eliminare o ridurre i rischi da interferenze (se pure tale obbligo non si applichi ai contratti aventi ad oggetto prestazioni di natura professionale, sempre che essi non comportino rischi derivanti dalla presenza di agenti biologici, come si suppone esistano nel caso di specie), allora può desumersi una valenza non strettamente giuridica e formale della suddetta disponibilità dei locali.
Del resto dall’art. 62, secondo il quale si intendono per luoghi di lavoro i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro, si può cogliere l’intenzione del legislatore di intendere il suddetto termine nella accezione più ampia.
A tali considerazioni ne consegue che l’azienda sanitaria rimane assoggettata agli obblighi che la norma pone a carico del datore di lavoro ossia, oltre a quelli di cui ai già citati artt. 15, 17, 18 e 19, anche a quelli derivanti dai successivi articoli 36 e 37 in materia di formazione e informazione, 38 - 42 in materia di sorveglianza sanitaria, 64 sui luoghi di lavoro, 71 sull’uso delle attrezzature e 78 sull’uso dei DPI.
Con riguardo in particolare alla sorveglianza sanitaria che dovesse essere attivata dalla azienda sanitaria occorre tuttavia considerarne la rilevanza ai fini della costituzione ed eventuale cessazione del rapporto convenzionale.
A tal fine le uniche disposizioni contrattuali che vengono in rilievo sono quelle di cui all’art. 19 del citato ACN del 23 marzo 2005, nel quale si prevede la possibilità che, su richiesta del lavoratore o dell’azienda sanitaria, la Commissione medico legale accerti la sopravvenuta incapacità psico-fisica a svolgere l’attività sanitaria oggetto del rapporto di convenzione, nonché quelle di cui all’art. 73 comma 4 (riferito ai soli Medici di continuità assistenziale) in cui si prevede che in caso di accertata inabilità il medico possa essere adibito a “specifiche differenti attività inerenti il proprio incarico”.
Non è quindi previsto contrattualmente alcun accertamento preventivo dell’idoneità sanitaria.
Senonché ai sensi dell’art. 41 del D. Lgs. n. 81/2008 è previsto che la sorveglianza sanitaria “sia effettuata … nei casi previsti dalla normativa vigente “.
Tra le forme e le finalità della sorveglianza sanitaria è inoltre prevista “la visita medica preventiva in fase pre-assuntiva”. [7]
Con particolare riguardo alle visite mediche preventive la stessa norma stabilisce che esse “possono essere svolte in fase preassuntiva su scelta del datore di lavoro (presso il medico competente o presso i dipartimenti di prevenzione delle Asl ).
Ora una delle diverse fattispecie in cui la normativa vigente prevede (ai sensi dell’art. 41 sopra citato) che debba essere esercitata la sorveglianza sanitaria è quella prevista dall’art. 279 dello stesso D. Lgs. n. 81/2008, “qualora dall’esito della valutazione dei rischi se ne rilevi la necessità per i lavoratori esposti ad agenti biologici”.
Da tali disposizioni ne consegue che il datore di lavoro - nel caso in cui abbia accertato la sussistenza di rischi per i quali è obbligatorio attivare la sorveglianza sanitaria - abbia la facoltà di prevedere la visita medica anche in fase preassuntiva per i lavoratori che dovranno svolgere funzioni negli ambienti di lavoro in cui tali rischi si presumono esistenti.
Non si ritiene necessaria a tal fine che un’altra specifica norma di legge e tanto meno che l’ACN preveda tale facoltà, che è da intendersi riconosciuta a qualsiasi datore di lavoro privato o pubblico che esso sia, trattandosi di un principio generale dell’ordinamento giuridico alla cui applicazione la norma non prevede nessuna eccezione.
Invero fintanto che la scelta di attivare la sorveglianza sanitaria in fase preassuntiva rimane una facoltà del singolo datore di lavoro, specialmente nel caso della PA (a differenza del datore di lavoro privato) potranno ingenerarsi prassi difformi per lo stesso tipo di rapporto professionale, a seconda dell’ente o azienda pubblica competente.
E nell’ambito della medicina generale una tale applicazione disomogenea potrebbe avere anche effetti discorsivi del sistema, considerata la possibilità per un medico di medicina generale di avere attive contemporaneamente due convenzioni con altrettante aziende sanitarie per lo svolgimento delle medesime prestazioni.
Si omette qui ogni considerazione in merito alle note conseguenze derivanti dall’eventuale giudizio di inidoneità alla mansione specifica che potrebbe essere espresso dal medico competente (in forma di inidoneità anche solo parziale o temporanea), con la sola precisazione che - tenuto conto dell’organizzazione dei servizi e delle effettive disponibilità aziendali in merito a possibili impieghi alternativi - esse andrebbero comunicate preventivamente ai potenziali candidati medici alla copertura dei posti vacanti di medicina generale.
Rimane in ogni caso valido il disposto di cui all’art. 41, comma 9 del D. Lgs. n. 81/2008 secondo il quale “avverso i giudizi del medico competente, ivi compresi quelli formulati in fase preassuntiva, è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data della comunicazione del giudizio medesimo, all'organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso”.
Raffaele Bonora
[1] Vedi Cass. Pen. Sez. U. n. 2 del 16.4.1988 sulla natura della prescrizione e qualità di pubblico ufficiale del medico di famiglia. Tale parere (confermato da numerose successive sentenze (tra cui Cass. Pen. Sez. U. n. 7958/92 e Cass. Pen. sez. VI n. 4072/94) è da ritenersi pressoché unanime almeno sotto il profilo della responsabilità penale (vedasi Cass. Pen. sez. V, n. 7234 del 06.06.1991 e n. 2258 del 15.12.2006, Cass. Pen. sezione VI, n. 4072 del 09.02.1994, Cass. Pen. Sez. I, n. 2207 del 18.01.1995).
[2] Cass. sez. unite, 13.11.1996 n. 9957.
[3] cfr. Cass. pen. sez. IV, 16.4.14.8.2003, n. 34460
[4] Diverse sono peraltro le sentenze che si sono pronunciate sull’argomento. Vedasi tra le altre: Cass. Pen. n. 36502 del 11/04/2008 in cui si affronta il tema dei rapporti tra azienda sanitaria locale (ASL) e medico convenzionato sotto il profilo dell’addebito di responsabilità per danni provocati da quest’ultimo.
[5] ACN per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale 23 marzo 2005 (art. 36): 1. Lo studio del medico di assistenza primaria è considerato presidio del Servizio Sanitario Nazionale e concorre, quale bene strumentale e professionale del medico, al perseguimento degli obiettivi di salute del Servizio medesimo nei confronti del cittadino, mediante attività assistenziali convenzionate e non convenzionate retribuite. Ai fini dell'instaurazione e del mantenimento del rapporto convenzionale di assistenza primaria, oltre che ai fini della corresponsione del concorso alle spese per l'erogazione delle prestazioni del servizio cui all'art. 59, ciascun medico deve avere la disponibilità di almeno uno studio professionale nel quale esercitare l'attività convenzionata. Lo studio del medico di medicina generale, ancorché destinato allo svolgimento di un pubblico servizio, è uno studio professionale privato che deve possedere i requisiti previsti dai commi che seguono.
2. Lo studio del medico convenzionato deve essere dotato degli arredi e delle attrezzature indispensabili per l'esercizio della medicina generale, di sala d'attesa adeguatamente arredata, di servizi igienici, di illuminazione e aerazione idonea, ivi compresi idonei strumenti di ricezione delle chiamate.
3. Detti ambienti possono essere adibiti o esclusivamente ad uso di studio medico con destinazione specifica o anche essere inseriti in un appartamento di civile abitazione, con locali appositamente dedicati.
[6] Vedasi in: Chiarimenti sugli obblighi del lavoratore autonomo in merito alla sorveglianza sanitaria e alla partecipazione a corsi di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. D.lgs 81/08, artt. 21 e 41 a cura di G. Porreca, inserito in data 16 ottobre 2008. Vedasi sempre in : I quesiti sul decreto 81 sulla formazione dei lavoratori autonomi alla luce dei nuovi accordi stato-regioni: a chi spetta la formazione in base ai rischi presenti nelle aziende presso cui lavorano? a cura di G. Porreca, inserito in data 5 dicembre 2012.
[7] Come noto la visita medica preventiva in fase pre-assuntiva è stata introdotta nell’ambito del D. Lgs. n. 81/2008 dal Dlgs 3.8.2009 n. 106 ed è tuttora prevista. Il successivo Decreto Legge n. 69/2013 (conv. nella L. 98/2013 ), fermi restando gli obblighi di certificazione previsti dal D. Lgs. n. 81/2008 per i lavoratori soggetti a sorveglianza sanitaria, ha disposto la abrogazione di alcune disposizioni concernenti l'obbligo di produrre certificati attestanti l'idoneità psico-fisica al lavoro, tra cui anche quelli previsti per l’accesso al pubblico impiego.
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Rispondi Autore: Politi P. - likes: 0 | 13/12/2013 (11:30:44) |
Condivido appieno quanto riportato nell'articolo considerando soprattutto i due punti ritenuti fondanti: - esiste un lavoratore nel momento in cui esiste anche un Datore di Lavoro pubblico o privato; - il tipo di contratto di lavoro è assolutamente irrilevante Analizzando le conclusioni dell'analisi, però, farei un distinguo tra la figura del MMG e il MCA. Questi ultimi, infatti, operano in spazi del Datore di lavoro (i MMG possono ricavare un idoneo ambulatorio anche in spazi di civile abitazione) ,utilizzano attrezzature del Datore di lavoro (spesso anche l'autovettura), e, in particolare, prestano la loro opera seguendo una organizzazione dettata in maniera rigida dal Datore di lavoro (ad esempio, richiesta anche improvvisa, non programmata, di turni di continuità assistenziale). In relazione ai Medici della Medicina dei Servizi, poi, da considerare che in alcune organizzazioni questi lavoratori hanno esposizioni assolutamente equivalenti a Dirigenti Medici strutturati per cui viene effettuata la sorveglianza sanitaria. A mio avviso, premettendo che non sono un esperto in materia, sarebbero da approfondire questi aspetti per valutare, almeno per queste figure, se possono essere inquadrate in senso più stretto come lavoratori parasubordinati con obbligo, quindi e fra l'altro, anche della sorveglianza sanitaria . Grazie per l'articolo veramente interessante. |