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La sicurezza durante la manutenzione: le misure organizzative

La sicurezza delle persone coinvolte durante l’esecuzione di un intervento di manutenzione: la formazione e l’addestramento a integrazione delle misure organizzative. Di Alessandro Mazzeranghi, Daniele Ruffini, Federica Coucourde.

 
 
Come completamento dell’articolo “ La sicurezza durante la manutenzione: valutazione dei rischi”, pubblichiamo un nuovo approfondimento a di Alessandro Mazzeranghi, Daniele Ruffini, Federica Coucourde.
 
La formazione e l’addestramento a integrazione delle misure organizzative
Abbiamo detto che le misure organizzative per il controllo dei rischi presenti durante la manutenzione sono necessariamente limitate, e quindi non possono coprire al 100% la casistica di sicurezza di riferimento.
Quindi le misure organizzative (definizione delle modalità di gestione dei processi e delle regole di attuazione delle attività) devono essere integrate con interventi volti a rendere le persone coinvolte capaci di decidere autonomamente come operare in sicurezza.
 

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L’unica leva che ci rimane è quella di lavorare sui comportamenti sicuri indirettamente, operando sulle persone: formazione e addestramento.
Già, ma quale formazione e addestramento? Non certo quella convenzionale che ormai non fa più presa su nessuno.
 
Facciamo un ragionamento, prima di procedere. Se io devo affrontare una situazione imprevista, quali abilità mi vengono più utili per riuscire a mettere sotto controllo i rischi che tale situazione potrebbe presentare?
 
Il primo aspetto da curare è quello della capacità di valutare i rischi che si potranno presentare all’atto di una manutenzione. La capacità di valutare è una abilità che non è mai stata allenata a tappeto nel corso degli ultimi anni. Si è sempre considerato che tale abilità debba essere appannaggio di pochi che devono affrontare e risolvere tutte le questioni, anche per i colleghi. In verità qui stiamo dicendo di coinvolgere in un compito da specialisti anche soggetti che come priorità lavorativa hanno altro.
 
Che sia un cambio di mentalità, in relazione alle logiche comuni di organizzazione della sicurezza, è indubbio, ma salvo casi particolarissimi (grandi lavori che prevedono necessariamente l’utilizzo del permesso di lavoro o di registrazioni equivalenti), non possiamo pensare che ci sia sempre lo specialista a disposizione per risolvere tutte le questioni che emergono durante la manutenzione.
 
Qualcuno ci potrebbe fare osservare: “via, i manutentori sono tutte persone di buon senso, saranno ben capaci di prendere semplici decisioni inerenti la loro sicurezza; in fondo parliamo della loro sicurezza, non ci tengono mica a finire all’ospedale”.
Non vi sembra di sentirle, queste parole? Ma sono vere solo in minima parte: l’assuefazione, la disabitudine a ragionare, l’abitudine e la sicurezza che emergono anche quando si opera in condizioni non perfette, tutti questi e altri fattori fanno sì che la sicurezza venga presa come una questione marginale, e le regole vengano ritenute quasi un fastidio.
 
Per cui è proprio un cambio di mentalità quello che dobbiamo indurre, e noi che siamo tecnici enfatizziamo il fatto che per potere cambiare modo di operare servono gli strumenti (di indagine e valutazione), strumenti che esistono ma che non sono resi parte del bagaglio culturale di tutti i lavoratori, e dei manutentori in particolar modo, come invece si dovrebbe fare.
 
Quindi i manutentori si devono appropriare di strumenti per operare autonomamente quanto segue: identificare i pericoli, valutare i rischi, trovare adeguate misure di mitigazione. E devono prendere l’abitudine di farne uso. Per averci provato possiamo affermare che il percorso è possibile, anzi presenta meno ostacoli di quanto ci si potrebbe aspettare (gioca favorevolmente l’orgoglio innato del manutentore nel proprio lavoro).
 
Ma esisterà un livello di problema di sicurezza davanti a cui il nostro manutentore, poniamo il turnista, non ha le competenze necessarie per andare avanti. Allora deve fermarsi (brutto colpo per la presunzione!) e chiedere aiuto a qualcuno più esperto.
Qui si apre un dettaglio importante della questione organizzativa di cui abbiamo precedentemente parlato: quale è la catena della responsabilità?
È ben chiaro quale è il punto dove il turnista è tenuto a fermarsi? E se si, ma il suo superiore che deve intervenire è concretamente disponibile (per esempio in reperibilità)?
Domande stupide che in azienda devono avere risposte certe.

 

Un caso particolare: i lavori su guasto in clima di urgenza
Se tutto quanto sopra lo potremmo riferire alle manutenzioni svolte a fronte di situazioni impreviste:
  • manutenzioni programmate in cui si scopre qualcosa che non ci si attendeva
  • manutenzione su chiamata derivante da eventi su cui c’è poca esperienza pregressa
  • altri interventi che sono al limite della manutenzione, come la manutenzione straordinaria
esiste fra tutte le situazioni una particolarmente odiata dai manutentori: manutenzioni su guasto, quando il guasto comporta il fermo di un impianto fondamentale dello stabilimento che deve assolutamente marciare. Peggio ancora se una fermata prolungata danneggia gravemente il prodotto.
Insomma manutenzioni su guasto inserite in un regime di urgenza che rasenta il panico.
 
Una domanda provocatoria: ma tutto questo panico ha davvero ragione di essere? Molto spesso no, ma tant’è, dipende molto da chi è al comando della azienda in quel preciso momento. Normalmente le cose peggiori avvengono di notte quando c’è una certa resistenza a coinvolgere la dirigenza, e quindi si tentano riparazioni dissennate sia tecnicamente che sotto il profilo della sicurezza, senza alcuna forma di valutazione delle conseguenze (sotto tutti i profili).
Il fatto di valutare sempre, prima di agire, deve trasformarsi nel punto di approccio a qualunque situazione non regolamentata. Non sarà necessario molto tempo, talvolta una manciata di secondi, ma così facendo si eviteranno errori assurdi e gravi rischi per le persone.
 
Ma esiste anche un altro passaggio delicato; a che punto chi opera in campo deve ricorrere ad una autorità e a una competenza più alta; questa autorità/competenza è chiaramente identificata? È disponibile?
Quindi l’analisi della organizzazione esistente, l’eventuale correzione e una precisa chiarificazione degli incarichi deve essere anch’essa alla base di un corretto modo di operare.

 

Conclusioni
Se escludiamo le tradizionali leve tecniche per il controllo dei rischi residui a cui fatalmente si espongono i lavoratori, e in misura maggiore i manutentori, ci restano disponibili due leve non facili da utilizzare ma molto molto efficaci se bene impiegate:
  • organizzazione della azienda e definizione dei modi di lavoro
  • crescita del personale.
 
Nel caso della manutenzione il controllo dei rischi passa attraverso un mix dei due fattori che dovrà essere tarato diversamente in funzione della azienda che si prende in considerazione (cambiano i rischi e la loro entità, la organizzazione aziendale esistente, gli strumenti tecnici a disposizione della manutenzione, i modi di lavoro ecc.). Resta il fatto importante che la logica da applicare, secondo chi scrive, è semplice e univoca, per cui può essere adottata in ogni azienda, sebbene a valle di pesanti correttivi.
 
Quello che vogliamo rimarcare è che si tratta di un problema ampio che deve essere affrontato tutto insieme, accettando di affrontarne la complessità; soluzioni a macchia di leopardo possono risolvere un problema ma spesso a scapito della introduzione di nuovi rischi in situazioni “contigue”.
E, aggiungiamo, la questione deve essere affrontata prima considerando l’organizzazione e quello che si può ottenere intervenendo su questa leva, poi verificando se la parte residua di questioni lasciata direttamente dalle persone potrà da queste essere correttamente gestita, naturalmente a valle di un percorso di crescita professionale.


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