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Istituti penitenziari: conoscere e affrontare i rischi psicosociali

Istituti penitenziari: conoscere e affrontare i rischi psicosociali
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Rischio psicosociale e stress

13/06/2018

Un intervento si sofferma sul rischio stress lavoro correlato degli operatori della giustizia negli istituti penitenziari. I risultati delle ricerche, la normativa in materia di stress e le strategie e buone pratiche dopo la valutazione dei rischi.

Istituti penitenziari: conoscere e affrontare i rischi psicosociali

Un intervento si sofferma sul rischio stress lavoro correlato degli operatori della giustizia negli istituti penitenziari. I risultati delle ricerche, la normativa in materia di stress e le strategie e buone pratiche dopo la valutazione dei rischi.

 

Milano, 13 Giu – Nell’ambito dell’organizzazione carceraria sono molti gli operatori che operano: dai direttori e i loro collaboratori al personale amministrativo, dagli educatori, psicologi e assistenti sociali al personale della polizia penitenziaria. E se tutti questi lavoratori sono esposti a vari fattori di rischio, uno dei rischi più rilevanti è quello di natura psicologico, relativo allo stress lavoro correlato e ad altri rischi psicosociali.


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Per cercare di far conoscere, di prevenire o ridurre tali tipologie di rischio negli istituti penitenziari si è tenuto il 16 maggio 2018 a Milano, organizzato dal “ Centro per la Cultura della Prevenzione nei luoghi di lavoro e di vita”, il seminario “Rischio stress lavoro correlato degli operatori della giustizia negli istituti penitenziari”.

 

Le ricerche sullo stress negli istituti penitenziari

Nell’intervento “Lo stress secondo il decreto 81/08. Può la prevenzione aiutare a mitigare o ridurre il disagio dei lavoratori?”, a cura di Elio Gullone (operatore presso A.T.S. città di Milano, dottore in tecniche della prevenzione di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), si prova ad indentificare i problemi e il disagio e a offrire qualche strategia per affrontarli.

 

In particolare per capire come vive chi lavora in carcere sono riportati i risultati di alcune ricerche condotte in questi anni, ad esempio con riferimento ad uno studio, pubblicato nel 2011 sul “Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia”, e intitolato “Fattori di stress e benessere organizzativo negli operatori di polizia penitenziaria” (Gabriele Prati, Sara Boldrin).

 

Si tratta di una ricerca che si è svolta tramite un questionario proposto ad un campione di operatori di Polizia Penitenziaria italiani in quattro istituti penitenziari del Piemonte.

 

Nella ricerca si indica che il burnout e il benessere psicologico “non sono legati all’ età e al genere, né all’anzianità lavorativa e né al contatto con i detenuti (non come tempo ma come tipo di relazione); ma a:

  • situazioni emotivamente pesanti, eventi critici;
  • richiami ingiusti da parte dei superiori;
  • scarso sostegno da parte dei superiori;
  • conflitto casa-lavoro;
  • lavoro in orario straordinario;
  • esposizione a offese;
  • minacce e gesti di autolesionismo da parte di detenuti”.

Inoltre si indica che:

  • la Depersonalizzazione è associata alla presenza di personale sufficiente per gli impegni richiesti e all’esposizione a minacce da parte di detenuti;
  • la Realizzazione personale è associata al sovraccarico di lavoro e al rischio di essere aggrediti fisicamente sul lavoro;
  • il Benessere psicologico è associato allo scarso sostegno da parte dei superiori, al conflitto casa-lavoro e all’esposizione a minacce e gesti di autolesionismo da parte di detenuti;
  • il Benessere organizzativo dell’operatore di polizia è legato alle condizioni di lavoro ma anche agli eventi critici di servizio”.

 

Riprendiamo dallo studio una tabella:

 

Stress e burnout degli operatori di polizia penitenziaria

 

Si fa riferimento poi ad una seconda ricerca, dal titolo “Prison Personnel: burnout, stress reactions and intent to quit” (Ilaria Satti, Piergiorgio Argentero) - pubblicata nel 2015 sulla rivista “Mediterranean Journal of Social Sciences” – che “indagava lo stress sul lavoro, il burn-out, i sintomi psicosomatici, l’insoddisfazione professionale e l’intenzione di dimettersi del personale in un carcere pubblico italiano”.

 

Nella ricerca i partecipanti “non hanno mostrato né burn-out significativo né lamentele psicosomatiche. In pratica la ricerca ha studiato i meccanismi attraverso i quali le variabili relative al lavoro possono influenzare il benessere dei lavoratori”. Inoltre ha voluto contribuire alla comprensione del “legame tra caratteristiche organizzative e benessere individuale”.

La ricerca ha confermato che “con il crescere dell’anzianità di servizio cresce anche il livello di esaurimento. Altra fonte di disagio viene dalle relazioni stressanti sul lavoro, soprattutto con i detenuti. Le relazioni stressanti con colleghi e supervisori sono l'unico fattore predittivo significativo dei sintomi psicosomatici che inducono allo stress. L’esaurimento emotivo e l’insoddisfazione non sono sufficienti a indurre i lavoratori ad abbandonare il posto di lavoro”.

Lo studio suggerisce che “molte delle relazioni tra fattori di stress, burnout, sintomi psicosomatici, insoddisfazione sul lavoro e intenzione di smettere sono abbastanza forti. La sfida futura potrebbe essere non solo quella di confermare la loro esistenza, ma anche di approfondire le dinamiche sottostanti”.

 

La normativa in materia di benessere e stress

La relazione si sofferma poi sulla normativa vigente, ad esempio con riferimento alla Direttiva della Presidenza del Consiglio, Dipartimento della funzione pubblica, del 24 marzo 2004 recante “Misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle pubbliche amministrazioni”.

 

Nella direttiva si indica che il Dipartimento della funzione pubblica ‘intende sostenere la capacità delle amministrazioni pubbliche di attivarsi, oltre che per raggiungere obiettivi di efficacia e di produttività, anche per realizzare e mantenere il benessere fisico e psicologico delle persone, attraverso la costruzione di ambienti e relazioni di lavoro che contribuiscano al miglioramento della qualità della vita dei lavoratori e delle prestazioni’. Infatti il Dipartimento ritiene che, ‘per lo sviluppo e l'efficienza delle amministrazioni, le condizioni emotive dell'ambiente in cui si lavora, la sussistenza di un clima organizzativo che stimoli la creatività e l'apprendimento, l'ergonomia - oltre che la sicurezza - degli ambienti di lavoro, costituiscano elementi di fondamentale importanza ai fini dello sviluppo e dell'efficienza delle amministrazioni pubbliche’.

 

Il relatore riporta poi indicazioni tratte dall’Accordo europeo sullo stress sul lavoro (8 ottobre 2004), recepito in Italia il 09 giugno 2008 da un Accordo Interconfederale, e dal Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, decreto che indica che il datore di lavoro – in questo caso il direttore dell’istituto penitenziario - valuta lo stress lavoro correlato (SLC) ai sensi dell’Accordo Europeo sullo stress sul lavoro e le indicazioni della Commissione Consultiva sullo SLC.

 

Cosa fare dopo la valutazione

Tuttavia una volta che lo stress lavoro correlato è valutato, cosa va fatto?

 

La relazione indica che in forma partecipata e condivisa:

  • “si realizza un programma delle misure di miglioramento dello SLC, si stabilisce un tempo entro cui realizzarli e un responsabile di riferimento che ne controlla l’esecuzione;
  • si individuano delle procedure che aiutano ad attuare le misure di miglioramento;
  • si rivaluta dopo un anno se le condizioni siano migliorate o no, e in tal caso si predispongono delle integrazioni;
  • si progettano delle buone pratiche da realizzare localmente e per problemi limitati e specifici”.

 

In particolare le buone pratiche “sono soluzioni efficaci per affrontare i rischi per la sicurezza e la salute all’interno del carcere”. E devono consistere in “fasi e metodi da adottare sia nel luogo di lavoro o all’interno dell’organizzazione, favorendo:

  • la prevenzione dei rischi,
  • l’essere efficace ed eticamente sostenibile,
  • l’essere conforme alla legislazione vigente”.

Si indica poi che la specifica normativa penitenziaria rende “non automaticamente trasferibili le buone pratiche adottate nei vari contesti lavorativi e spinge a contemplare l’effettiva partecipazione di tutte le parti coinvolte”.

 

E “potrebbero considerarsi buone pratiche:

  • gli orientamenti e le linee guida delle autorità di vigilanza, ispezione o controllo (il servizio V.I.S.A.G.);
  • gli esempi di studi di caso (concreto e reale) per prevenire i rischi sui luoghi di lavoro;
  • le informazioni sui prodotti (ad esempio: sulle bombolette di gas o sui materassi affidati ai detenuti, sui supporti ed attrezzature per effettuare ispezioni corporali...);
  • le liste di controllo (per esempio, per le attività ricorrenti sui luoghi di lavoro che si prestano più di altre ad essere realizzate con superficialità)”.

 

La relazione, che vi invitiamo a leggere integralmente, conclude sottolineando che per il rischio stress lavoro correlato “è necessaria la partecipazione e la condivisione di tutti i soggetti della sicurezza, ma anche dei lavoratori e dei loro rappresentanti, con un comportamento collaborativo e mai recriminativo, poiché la salute e la sicurezza non possono essere temi di contrattazione o di contrapposizione delle parti”.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

“ Lo stress secondo il decreto 81/08. Può la prevenzione aiutare a mitigare o ridurre il disagio dei lavoratori?”, a cura di Elio Gullone (operatore presso A.T.S. città di Milano, dottore in tecniche della prevenzione di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), intervento al seminario “Rischio stress lavoro correlato degli operatori della giustizia negli istituti penitenziari” (formato PDF, 1.21 MB).



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Rispondi Autore: giulio regosa immagine like - likes: 0
13/06/2018 (11:39:52)
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