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Gli strumenti per la valutazione dello stress

Misurare lo stress in ambito lavorativo è un compito difficile e “stressante”. È necessario usare strumenti di validità internazionale, in una versione nazionale validata e con procedure di somministrazione e valutazione standardizzate.

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Torniamo a parlare, a distanza di qualche giorno, dei problemi psicosociali attraverso i contributi pubblicati nel numero 1/suppl.A (vol. XXX) del Giornale di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, disponibile on line, del Centro Studi Fondazione Maugeri.
Come già visto per il precedente articolo sulla resilienza, questi problemi divengono di giorno in giorno tra i fattori che maggiormente incidono sul benessere psicofisico dei lavoratori in Europa.
 
Questa volta focalizziamo l’attenzione su “Strumenti per la valutazione dei rischi psicosociali sul lavoro”, un contributo di N. Magnavita dell’Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.
 


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In questo contributo si ricorda, innanzitutto, che secondo le normative più recenti il controllo dei rischi professionali deve comprendere anche l’analisi dei rischi psicosociali.
Infatti i problemi di questo tipo “mostrano di fatto significative associazioni, sia con il fenomeno infortunistico, che con diverse patologie correlate al lavoro, di natura organica o psichica”.
Inoltre quello che viene indicato come stress lavorativo nel linguaggio comune “viene spesso impiegato sia per indicare le cause (“lo stress professionale”) che le conseguenze patologiche (“essere stressati”)”.
 
Inoltre tra i “fattori di stress” come cause – più correttamente “fattori di strain”, “agenti cioè capaci di mettere sotto tensione l’individuo” – e lo stress come eventi patologico, intervengono diversi fattori modulanti, fattori che favoriscono o diminuiscono l’insorgere di questi problemi.
Ad esempio numerosi studi “hanno indagato le relazioni tra soddisfazione professionale e stato di salute, confermando l’esistenza di una stretta relazione” e dunque questo tipo di soddisfazione può esplicare “un effetto mediatore dello stress professionale sulla salute”.
 
In questa situazione l’analisi dei rischi psicosociali e, in particolare, la valutazione dello stress non è cosa semplice e come indica l’autore: “si può ben dire che misurare lo stress sia un compito stressante per chi vi si accinge!”.
Infatti “sarà necessario tenere conto sia dei fattori causali che degli effetti finali, il che richiede l’impiego di strumenti di ricerca articolati, mentre le condizioni operative entro cui si svolge l’attività di medicina del lavoro esigono l’impiego di questionari semplici e di rapida esecuzione”.
 
In questa situazione in cui si affrontano problemi molto complessi con strumenti semplici ci si trova di fronte anche al problema che “i questionari per la misurazione delle variabili psicosociali sono standardizzati nella versione originale in inglese o in altre lingue”, ma non in italiano.
Traduzione, ulteriore standardizzazione del materiale di verifica comportano non solo una difficoltà, ma portano alla conseguenza della presenza di “diverse versioni dello stesso questionario, con presumibili ripercussioni sulla confrontabilità dei risultati”.
 
Il contributo del Giornale di Medicina del Lavoro ed Ergonomia vuole dare “una panoramica degli strumenti attualmente in uso per lo studio delle variabili psicosociali nel nostro paese” e per farlo effettua “una revisione degli strumenti più comunemente usati in Italia per la valutazione dei rischi psicosociali in ambito lavorativo”.
 
Strumenti che, in modo molto schematico, sono quattro tipologie diverse:
- “questionari rivolti all’identificazione delle sorgenti di stress da lavoro e alla valutazione dell’organizzazione del lavoro;
- questionari che indagano la percezione individuale dello stress;
- questionari per la valutazione dei fattori moderatori;
- strumenti per la misurazione degli effetti dello stress”.
 
Secondo l’autore tuttavia un’analisi completa dello stress in ambito lavorativo “dovrebbe tenere conto di tutte queste categorie” e sarebbero auspicabili “lo sviluppo di studi multicentrici e la standardizzazione dei metodi di ricerca”: questo lavoro si pone “nella prospettiva di favorire il confronto e lo scambio di esperienze tra le numerose unità di ricerca attive in questa area”.
 
Uno dei consigli indicati, tuttavia, è quello di utilizzare il più possibile “strumenti di validità internazionale, in una versione nazionale validata e con procedure di somministrazione e valutazione standardizzate”.
 
Nelle conclusioni di questo lavoro l’autore ricorda che “il medico del lavoro si trova in una condizione di grande favore per la raccolta sistematica di osservazioni epidemiologiche: la sorveglianza periodica dei lavoratori, con modalità e scadenze da lui stesso determinate ed obbligatorie per legge, lo mette nella condizione di poter ottenere, a costi trascurabili, dati che richiederebbero una complessa ed onerosa organizzazione della ricerca”.
Inoltre tra lui e i lavoratori si stabilisce un rapporto fiduciario: “la percentuale di risposta alle questioni poste dal medico competente sono sempre molto elevate, se confrontate con quelle comunemente raggiungibili dalle indagini epidemiologiche condotte da enti esterni al mondo del lavoro”.
A tutti questi vantaggi, conclude,  “si contrappone però l’isolamento del medico competente in una sola, o al massimo poche realtà produttive”.
 
Strumenti per la valutazione dei rischi psicosociali sul lavoro”, N. Magnavita (formato PDF, 101 kB).
 
Tiziano Menduto


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