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Rischio rapina: la tutela del lavoratore danneggiato

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Valutazione dei rischi

26/06/2013

Due sentenze di segno opposto: la sentenza 8 aprile 2013 n. 8486 ha confermato la condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni subiti dal dipendente, mentre la sentenza 11 aprile 2013 n. 8855 ha confermato la domanda risarcitoria.

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata su due casi assai simili, di due lavoratori (l’uno addetto ad un ufficio postale, l’altro alla filiale di una banca)  vittime di rapina, con conseguenti pregiudizi non patrimoniali di tipo biologico e morale.
 
Le due sentenze emesse, entrambe coerenti con il dettato normativo, sono di segno opposto: la sentenza 8 aprile 2013 n. 8486 ha confermato la sentenza di merito di condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni subiti dal dipendente, mentre la sentenza 11 aprile 2013 n. 8855 ha confermato la sentenza di rigetto della domanda risarcitoria.
 
Il principio da cui muovono le due pronunce citate è quello per cui la responsabilità del datore di lavoro (ai sensi dell’art. 2087 c.c.), se è vero che non può essere dilatata fino a comprendere ogni ipotesi di danno verificatosi a carico dei dipendenti a seguito di eventi criminosi, giacché altrimenti diverrebbe una sorta di responsabilità oggettiva e come tale non prevista dal nostro ordinamento, deve essere affermata ogni qualvolta sia accertata la violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale, ovvero suggeriti dalle conoscenze sperimentali e tecniche del momento.

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Il Giudice di legittimità ha così specificato che gli obblighi fissati dall’art. 2087 c.c. a carico dell'imprenditore in tema di tutela delle condizioni di lavoro, non si riferiscono soltanto alle attrezzature, ai macchinari e ai servizi che il datore di lavoro fornisce o deve fornire, ma si estendono anche all'ambiente di lavoro, in relazione al quale le misure e le cautele da adottarsi devono prevenire sia i rischi insiti in quell'ambiente sia i rischi derivanti dall'azione di fattori ad esso esterni e inerenti al luogo in cui tale ambiente si trova.
 
Pertanto spetta allo stesso imprenditore valutare se l’attività della sua azienda presenti rischi extra-lavorativi di fronte al cui prevedibile verificarsi insorga il suo obbligo di prevenzione.
 
Proprio alla stregua dei dati di esperienza, il suddetto obbligo prevenzionistico ha un contenuto non teorizzabile a priori, ma ben individuabile nella realtà alla luce delle tecniche di sicurezza comunemente adottate.
 
Posti tali principi di ordine generale, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria da parte del lavoratore vittima di rapina nel luogo di svolgimento della prestazione occorre dunque necessariamente accertare: 1) se l’attività svolta sia connotata o meno da profili di rischio prevedibili; 2) se il datore abbia in concreto omesso di adottare misure di prevenzione adeguate rispetto ai rischi riscontrati.
 
Sapendo che sia un ufficio postale sia la filiale di una banca - essendo luoghi in cui tipicamente si trovano in giacenza notevoli quantità di contanti - sono sempre potenzialmente esposti al rischio di rapine, ciò che ha determinato l’accoglimento della domanda del primo lavoratore ed il rigetto di quella del secondo è l’accertamento - che c’è stato solo nel primo caso - operato secondo i criteri della responsabilità contrattuale e, quindi, con onere probatorio a carico del datore di lavoro, di effettive omissioni rispetto all’adozione di adeguate misure di sicurezza.
 
Il dipendente dell’ufficio postale aveva allegato nel proprio ricorso il malfunzionamento del sistema di allarme, la mancata installazione di vetrate antisfondamento ed antiproiettile, di doppie porte con apertura alternata e comando di blocco automatico, di impianti di videoregistrazione, e l’assenza di vigilanza a mezzo guardie giurate.
 
L’impiegato della banca, invece, già in passato vittima di altre rapine, aveva addotto quale unico inadempimento del proprio datore di lavoro il suo stesso collocamento presso una filiale che diceva essere notoriamente esposta al rischio, in quanto già teatro di altri episodi simili.
 
Nel primo caso, posto che l’inadempimento eccepito dal lavoratore, astrattamente idoneo a fondare la responsabilità datoriale, non è stato smentito dal convenuto, sono ricorsi tutti i presupposti per una pronuncia di condanna.
 
Nel caso dell’impiegato di banca, invece, l’allegazione relativa alla violazione delle prescrizioni di cui all’art. 2087 c.c., basata solo sul rilievo dell’adibizione del lavoratore presso una sede lavorativa notoriamente esposta al rischio di rapine, ha impedito di ascrivere al datore di lavoro l’evento dannoso verificatosi come fatto colposo, dato che la prospettazione sottesa alla domanda si risolveva nel rischio oggettivamente intrinseco all'esercizio dell'attività bancaria.
 
Se dunque l’elemento della colpa del datore di lavoro è imprescindibile per una condanna risarcitoria a carico dello stesso, discorso diverso deve essere fatto per la tutela indennitaria apprestata dall’INAIL.
 
Le regole generali che governano la materia sono quelle indicate dall’art. 2 del Testo Unico INAIL (D.P.R. n. 1124/1965) in base al quale stabilisce che “l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro”.
 
La causa violenta è costituita da qualsiasi dinamismo che agisce con un’azione rapida (tale cioè da operare con una modalità concentrata nel tempo), esterna all’organismo (la causa non deve essere un elemento insito nell’organismo del lavoratore), di tale entità da vincere la resistenza del corpo umano.
 
Per “occasione di lavoro” devono intendersi tutte le condizioni, comprese quelle ambientali, in cui l'attività produttiva si svolge, e nelle quali è immanente il rischio di danno per il lavoratore, sia che il danno provenga dallo stesso apparato produttivo sia che dipenda da fatti e situazioni proprie del lavoratore o esterne (come, ad esempio, il fatto di un terzo), e così qualsiasi situazione ricollegabile allo svolgimento dell'attività lavorativa in modo diretto o indiretto. La tutela assicurativa diviene dunque operativa al ricorrere di queste sole circostanze.
 
Di conseguenza, e tornando al tema specifico di cui si tratta, i danni che il lavoratore dovesse riportare ad esempio per un’aggressione fisica perpetrata dai rapinatori, dovranno certamente dar luogo all’erogazione di un indennizzo in capitale ovvero in forma di rendita a seconda dell’entità dei postumi, a prescindere da qualsiasi considerazione circa un’eventuale colpa del datore di lavoro.
 
 
 
 
 
 
Avv. Mauro Dalla Chiesa (Legale Patronato ANMIL)
 
 
 
Fonte: ANMIL.
 
 
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Rispondi Autore: Saverio Scorza - likes: 0
21/02/2019 (17:35:17)
Luglio 2018 in un supermercato ho subito una rapina, con uno sparo k mi ha sfiorato l'orecchio...con un danno permanente..avevo un contratto estivo..Mi chiedo se posso chiedere il risarcimento o fare causa all'azienda
Rispondi Autore: Carmen Porta - likes: 0
04/07/2019 (22:31:35)
Certamente sì se riesce a dimostrare che mancavano misure di sicurezza. In tal caso vi è colpa del datore di lavoro

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