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È possibile cambiare la cultura della sicurezza di un’organizzazione?

È possibile cambiare la cultura della sicurezza di un’organizzazione?
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: SGSL, MOG, dlgs 231/01

18/12/2018

Un documento si sofferma sulla cultura organizzativa e della sicurezza. La cultura della sicurezza è suscettibile di cambiamenti? Come affrontare il cambiamento di simboli e valori? Cosa è una cultura informata?

 

La cultura della sicurezza è il “primo ingrediente di un’organizzazione affidabile” ed “esiste un approccio scientifico che fornisce una visione pratica” su come si può valutarla all’interno di un’organizzazione. E la cultura della sicurezza, trattata in questi termini, “può avere un peso rilevante anche ai fini processuali poiché essa costituisce il pilastro di un Modello Organizzativo”.

 

A raccontare e presentare in questi termini la cultura della sicurezza è il documento “La cultura organizzativa e della sicurezza: non solo una volgata comune, ma una componente essenziale nella conduzione dell’impresa” realizzato da Renato D’Avenia (HSE Manager e Consulente Tecnico d’Ufficio presso il Tribunale di Milano).

 

Il documento, già presentato dal nostro giornale, si sofferma sui concetti di cultura organizzativa e della sicurezza e riporta alcuni casi che mostrano come la cultura della sicurezza possa anche “essere causa di eventi tragici”, con riferimento, ad esempio, a quanto avvenuto in una clinica pediatrica di Bristol. Ma la cultura della sicurezza è suscettibile di cambiamenti e evoluzioni? Come si può cambiare la cultura?



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Cambiare la cultura della sicurezza

Il documento sottolinea che cambiare la cultura “è un processo difficile, lento e soggetto a frequenti insuccessi”. E riporta le parole di Edgar Schein (Schein, 1999, pp. 160-161) che indica: ‘Non bisogna mai partire dall'idea di cambiare una cultura, ma sempre dalle questioni che l'organizzazione sta affrontando. È solo nel momento in cui queste questioni di lavoro sono chiare che ci si dovrebbe chiedere se la cultura ne facilita o ostacola la soluzione. Inizialmente bisogna sempre pensare alla cultura come al punto d'origine della propria forza, ciò che resta dei successi del passato. Anche se alcuni elementi della cultura appaiono disfunzionali, è importante ricordare che rappresentano probabilmente solo una piccola parte all'interno di un più vasto insieme di elementi che continua a essere vitale. Se occorre fare dei cambiamenti rispetto al modo in cui sta funzionando l'organizzazione, occorre sforzarsi di costruirli a partire dai punti di forza esistenti nella cultura, anziché tentare di cambiare gli elementi che potrebbero essere deboli’.

 

In definitiva la cultura è difficile da cambiare “perché differenti modi di intenderla implicano differenti strategie per il cambiamento. La prospettiva dell'integrazione, che vede la cultura come un tutto monolitico, sollecita un cambiamento totale e rivoluzionario dell'organizzazione, controllato da coloro che sono in una posizione di leadership. La prospettiva della differenziazione postula, invece, dei cambiamenti che abbiano un impatto sulle sottostrutture locali, e considera improbabili dei mutamenti onnicomprensivi dell'organizzazione. La prospettiva della frammentazione, dal canto suo, sostiene che tutti gli individui sono in costante cambiamento, e vengono a loro volta cambiati dalle culture stesse in cui vivono”. E a meno che non si affrontino insieme tutti e tre i tipi di cambiamento, “il mutamento culturale risulta sempre in qualche misura incompleto”.

Il cambiamento della cultura spesso “ha inizio da piccole cose, da un cambiamento nei simboli o nel comportamento (Weick, 2007)”.

 

Il cambiamento attraverso i simboli

Si segnala che “si può dare inizio al cambiamento culturale attraverso i simboli, gli artefatti” e cambiare un simbolo “significa lavorare all'indietro nel cambiamento culturale. Prima si cambia il simbolo, poi i valori più recenti vengono articolati intorno al simbolo e associati a esso, e infine si allineano le assunzioni con i nuovi simboli e valori”.

 

Renato D’Avenia ricorda alcuni episodi dell’attività di Gordon Bethune, “il CEO molto creativo che ha gestito la riconversione delle Continental Airlines”, un “maestro dei simboli”.

Ad esempio ricorda che, nell’illustrazione di un progetto relativo a gratifiche aziendali, un impiegato si alzò in piedi e disse che non riusciva a comprendere come un addetto alle prenotazioni – differentemente da altri ruoli con maggiori contatti diretti con i voli – sarebbe riuscito ad ottenere “una fetta della torta".

Bethune tirò su la manica della giacca, “si tolse l'orologio dal polso e mostrandolo chiese all'impiegato: ‘Di quale parte di questo orologio pensa che non abbiamo bisogno?’. L'impiegato non seppe rispondere e si sedette; il valore del lavoro di gruppo era stato reso perfettamente palpabile. L'immagine dell'orologio riusciva a dire del lavoro di gruppo di più, e in maniera più vivida, di quanto avrebbe fatto una targa laminata con sopra incise le parole ‘lavoro di gruppo’ con caratteri maiuscoli”. L’artefatto dell'orologio ha “suggerito il valore del cooperare e rendere le persone più ricettive riguardo l’assunzione che sono le comunità a far funzionare le cose”. 

 

Il cambiamento mediante l'azione sui valori

Un’altra importante svolta verso il cambiamento culturale è “l'adozione del principio secondo cui gli individui possono agire a modo loro, purché all'interno dei nuovi valori. Se le persone compiono alcune azioni in maniera pubblica, irrevocabile e volontaria, tendono a vedersi (e gli altri tendono a vederle) come responsabili di tali azioni. E nel momento in cui si sentono responsabili per un'azione, percepiscono una certa pressione a trovare delle motivazioni plausibili del perché hanno scelto di realizzarla, anche se al momento non sono consapevoli di tali motivazioni”.

Anche in questo caso il documento, che vi invitiamo a leggere integralmente, anche con riferimento all’indicazione puntuale delle fonti utilizzate, riporta alcuni esempi indicativi.

 

L’importanza del contenuto e la cultura informata

Si segnala che il contenuto “riguarda quei particolari dettagli che vengono condivisi in modo debole: approcci, priorità, assunzioni, aspettative, valori e pratiche specifiche che legano le persone. Per esempio, quando si dice che la cultura è ‘il modo in cui facciamo le cose da queste parti’, quali ‘cose’ si ha in mente esattamente? Quali sono i confini di ‘queste parti’, e cosa viene considerato, invece, come collocato ‘al di fuori’ dell'organizzazione”?

 

Per entrare nel merito dei contenuti l’autore utilizza la nozione di "cultura informata".

 

Si segnala che una cultura informata “fornisce una buona illustrazione di cosa sia una cultura pienamente consapevole”. Una cultura informata costituisce anche una pietra miliare della ‘ cultura della sicurezza’ e “rappresenta una cornice analitica importante che dà ordine a eventi caotici”, ad esempio come quelli descritti nel documento e relativi al famoso caso del Royal Infirmary di Bristol.

 

Una cultura informata è dunque ‘quella in cui coloro che gestiscono e fanno funzionare il sistema hanno una conoscenza aggiornata dei fattori umani, tecnici, organizzativi e ambientali che determinano la sicurezza del sistema complessivo’ (Reason).

In particolare James Reason “insiste molto sugli eventi e le entità che penetrano e fanno breccia nelle difese di un'organizzazione (le condizioni latenti) e presta dunque particolare attenzione a cercare di comprendere se una cultura della sicurezza crea e sostiene la precauzione ragionata. Reason sostiene che il modo migliore di mantenere queste condizioni di cautela sia quello di raccogliere e disseminare informazioni riguardo a incidenti, mancati incidenti e segnali condizioni di funzionamento del sistema. Il problema è che una franca segnalazione di errori richiede fiducia nell’organizzazione e attendibilità”

 

Reason sostiene che “ci vogliono quattro subculture per garantire una cultura informata. Assunzioni, valori e artefatti devono allinearsi in modo coerente rispetto a:

  1. la cultura della segnalazione: cosa va segnalato quando si fanno errori o si verificano mancati incidenti;
  2. la cultura dell'imparzialità: in che modo viene attribuita la colpa nel momento in cui qualcosa va storto;
  3. la cultura della flessibilità: in che misura ci si adatta a un incremento radicale e improvviso della pressione, del ritmo e dell'intensità;
  4. la cultura dell'apprendimento: come si possono tradurre adeguatamente le lezioni che si sono apprese in nuove configurazioni relative ad assunzioni, cornici e azioni.

 

Queste quattro subculture – continua il documento – “sono tutte necessarie per garantire l'informazione e la sicurezza delle attività”. E al Royal Infirmary di Bristol, come raccontato nel dettaglio da D’Avenia, “si verificarono problemi relativamente a tutte e quattro” mostrando come “una cultura meno informata finisce col generare una minore cautela e un maggior numero di incidenti mortali”.

 

In definitiva, indica D’Avenia, “cambiare la cultura significa modificare le pratiche, gli artefatti, i valori e le assunzioni, in genere confrontandosi in quest'ordine con queste quattro dimensioni, partendo dal presupposto che le persone, agendo, fanno proprie le nuove convinzioni e i nuovi valori”. E “il cambiamento in direzione di una maggiore mindfulness spesso implica uno spostamento verso una cultura più informata, che si fonda sulla segnalazione, sull'imparzialità, sulla flessibilità e sull'apprendimento”.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

La cultura organizzativa e della sicurezza: non solo una volgata comune, ma una componente essenziale nella conduzione dell’impresa”, a cura di Renato D’Avenia - HSE Manager e Consulente Tecnico d’Ufficio presso il Tribunale di Milano (formato PDF, 437 kB). 



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