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Indagini e considerazioni sull’incidente al depuratore di Mineo

Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Materiale informativo

17/06/2008

Qualche giorno fa l’ennesima tragedia di lavoro a Mineo. I fatti, le vittime, il punto delle indagini e le ipotesi al vaglio degli inquirenti. Formazione e un’adeguata analisi degli infortuni per imparare dagli errori. Un manuale per i soccorritori.

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Torniamo a parlare dell’ennesima tragedia del lavoro, quella avvenuta l’11 giugno al depuratore consortile di Mineo, a 35 km da Catania.
 
In questo depuratore sono morti sei operai intenti alla manutenzione dell’impianto e per cause che sono ancora in via di definitivo accertamento.
 

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Delle sei vittime, quattro erano dipendenti comunali:
- Giuseppe Zaccaria (47 anni), perito industriale e responsabile della sicurezza dell'impianto. In ferie fino a mercoledì era rientrato in servizio per riparare un guasto al depuratore;
- Natale Giovanni Sofia (37 anni), come Zaccaria assunto dal 2001 e, dunque, con diversa esperienza di lavoro che lascia la moglie e due figli;
- Giuseppe Palumbo (57 anni);
- Salvatore Pulici (37 anni), custode dell'impianto con un contratto part-time di 36 ore la settimana.
Le altre due erano impiegati di una ditta specializzata del settore, la Carfi:
- Salvatore Tumino (47 anni);
- Salvatore Smecca di Gela (47enni), assunto da tre giorni (secondo quanto affermato dalla Carfi, in risposta al dubbio che fosse in realtà un lavoratore in nero).
 
 
Per quanto ancora non del tutto chiari, veniamo ai fatti e alla dinamica dell’incidente.
 
Le vittime sono state estratte sotto il fango: trenta centimetri di materiale filtrato dal depuratore.
Inizialmente si pensava fossero caduti accidentalmente nella vasca che stavano pulendo, ma alcune ipotesi sostengono che gli operai potrebbero essere caduti per le esalazioni sprigionate dalla vasca.
 
Sembra che i sei operai stessero compiendo un intervento di pulizia e ripristino di un filtro, o stessero intervenendo per riparare un guasto alla pompa per lo spurgo.
 
Secondo una ricostruzione del comandante dei vigili del fuoco di Catania, Salvatore Spanò, gli operai potrebbero avere rimosso una griglia di protezione scendendo con una scaletta dentro la vasca. Successivamente in quella “camera della morte” la mancanza di ossigeno o la presenza di gas tossici avrebbero fatto il resto.
Malgrado questa prima ricostruzione un recente esame autoptico sembra indicare che la causa diretta della morte sia conseguente più all’ingerimento di liquami letali che non all’inalazione di gas. Riguardo al rapporto tra asfissia meccanica o asfissia da gas si attendono i prossimi esami isto-patologici e tossicologici.
Al vaglio degli inquirenti anche l’ipotesi di un’eventuale guasto alla pompa che avrebbe potuto riversare fango dall’autobotte per l’espurgo.
 
Tornando alla dinamica dei fatti è comunque probabile che, in seguito a questi eventi, uno degli operai si sia sentito male e che la morte degli altri sia dovuta al tentativo di salvarlo.
 
Di fronte a queste ricostruzioni ipotetiche, l’azienda Carfi (a cui appartenevano 2 dei tecnici morti) ha affermato che «per l'esecuzione del servizio di espurgo non era prevista né dalle nostre procedure aziendali, né dalle disposizioni del committente, la presenza di nostro personale all'interno della vasca o comunque lo svolgimento di qualsiasi operazione, anche momentanea, all'interno della vasca stessa».
A complicare ulteriormente le indagini l’affermazione dell'Ufficio tecnico del Comune di Mineo, che ricorda che nella vasca del depuratore non ci sono veri passaggi per entrare, “perché in quel luogo non è prevista la presenza umana. Gli uomini non dovevano essere lì".
 
Comunque, se la causa della morte è riconducibile all’asfissia, le indagini della procura hanno mostrato che i sei operai non indossavano dispositivi di protezione: né maschere, né autorespiratori.
 
Dopo questa lunga, ma necessaria, cronaca degli eventi, qualche considerazione che ci permetterà di riflettere meglio sugli eventi accaduti e sulla possibilità di prevenirli.
 
Intanto dall'ultimo numero della pubblicazione DatiInail si evince che nel settore della raccolta, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti nell’ultimo quinquennio gli infortuni sul lavoro, a fronte anche di una crescita degli addetti, sono aumentati del 24%, arrivando nel 2006 alla cifra non irrilevante di 11.700 casi.
 
Inoltre in luoghi di lavoro pericolosi come una vasca di un depuratore o una cisterna (in riferimento alle recenti vittime in un autocisterna a Molfetta) non è ammissibile lavorare senza adeguati dispositivi di protezione individuale.
 
La procedura per le ispezioni in locali a rischio di esalazioni e/o intossicazioni, presuppone alcune semplici misure salvavita:
 
- idonei DPI (maschera con filtri adeguati o autorespiratore);
- imbragatura con fune di sicurezza che collega l'operatore che si cala ad un altro operatore all'esterno dotato di mezzi di comunicazione di allarme (radio o telefono).
La fune di sicurezza, che può servire a recuperare l’operatore interno in caso di malore, deve essere mantenuta in tensione: l'eventuale strappo significherebbe che l'operatore è caduto.
 
Se poi l’ipotesi dell’aiuto reciproco si verificasse essere la più attendibile è necessario ricordare che la prima regola di un soccorritore impegnato ad aiutare qualcuno è quella di proteggere adeguatamente la propria incolumità.
Questo per evitare, come successo più volte in passato, che al dramma di un infortunio si aggiunga quello di una catena di soccorsi che si trasformano, per la mancata protezione, in infortuni a loro volta.
 
Per un approfondimento sulle procedure di emergenza si veda il manuale “Soccorso sanitario in ambienti confinati” realizzato dal Gecav (Gestione Emergenza Cantieri Alta Velocità e variante di valico) e utilizzato per la formazione dei soccorritori nei cantieri dell'alta velocità sotto l’Appennino tosco-emiliano.
 
In un articolo pubblicato in questo stesso numero di PuntoSicuro continuiamo la riflessione sui fatti di Mineo raccogliendo alcuni commenti dei nostri lettori.
 
Tiziano Menduto


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