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In ospedale si rischia...l’infezione

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Sicurezza delle persone

15/11/2004

Un ricoverato su 10 ne viene colpito. Presentati i risultati di un importante studio sulle infezioni batteriche gravi in ambito comunitario e ospedaliero.

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Polmoniti, setticemie e infezioni associate a catetere venoso: queste le principali infezioni che colpiscono ogni anno in media 10 italiani su cento ricoverati.

La situazione emerge dai risultati del primo "Progetto Nazionale per la sorveglianza delle infezioni batteriche gravi in ambito comunitario e ospedaliero", presentati nei giorni scorsi.
La ricerca, condotta in 50 centri ospedalieri e coordinata dall'Istituto Superiore di Sanità, ha ricostruito una mappa nazionale delle infezioni batteriche gravi contratte in ospedale e nella popolazione generale, per utilizzare più efficacemente i farmaci esistenti e pianificare strategie di ricerca e controllo.

Dall’indagine emerge che in Italia circa 500mila pazienti su 9 milioni e mezzo di ricoverati l'anno sono affetti da un'infezione contratta in ospedale. Vale a dire che una percentuale compresa tra il 5 e il 17% dei pazienti ospedalizzati si ammala ogni anno di un'infezione e il 3% ne muore. Polmoniti, setticemie e infezioni da catetere, le più diffuse. Su 4mila di queste infezioni, più della metà (2.365) sono causate solamente da 3 specie batteriche: Pseudomonas aeruginosa, Staphylococcus aureus ed Escherichia coli, resistenti o refrattarie ad antibiotici di ampio spettro.

“Grazie a questo studio - sottolinea Enrico Garaci, presidente dell'ISS -conosciamo con precisione le cause di queste infezioni e oggi possiamo sapere quali tra i farmaci esistenti sono in grado combattere meglio queste infezioni, di impiegarli in modo più mirato in attesa di nuovi farmaci e vaccini".

"Il 43% dei soggetti da noi studiati sono entrati in ospedale per curare un'infezione batterica grave, ma oltre la metà del campione (57%) l'ha contratta durante il periodo di degenza, mentre era in cura per altre patologie" - spiega Antonio Cassone, Direttore del Dipartimento Malattie Infettive, Parassitarie e Immunomediate dell'ISS -. "Si tratta per lo più di uomini (61% contro il 41% delle donne) che, al momento della diagnosi, hanno un età che va dai 50 ai 70 anni".

Le infezioni risultano distribuite con un'incidenza diversa in tutto il Paese. La distribuzione geografica delle infezioni studiate vede al primo posto il Sud e le isole (con il 48% dei pazienti ammalatisi in ospedale), seguito dal Nord (30%) e dal Centro (22%).

La ricerca ha inoltre individuato due principali ragioni dell'aumentata resistenza agli antibiotici: un uso non mirato degli antibiotici e il fatto che talvolta i pazienti non seguano le indicazioni date dai medici.
"Più del 50% degli antibiotici usati per le infezioni del tratto respiratorio sono impiegati per malattie causate da virus" - dichiara Giuseppe Nicoletti, Ordinario di microbiologia dell'Università di Catania - " e quindi si tratta di un cattivo impiego delle terapie, mentre il 20% del fallimento della terapia è causata da una scarsa adesione agli schemi terapeutici da parte dei pazienti. E così più dell'80% di quest'ultimi sono ormai resistenti a un antibiotico di largo uso e di ampio spettro come l'oxacillina e solo per alcuni ceppi di batteri esiste il corrispondente vaccino. Fondamentale, dunque, sia per evitare l'insorgenza di nuove resistenze che la diminuzione dell'efficacia delle cure antinfettive, rimane l'uso mirato delle terapie antibiotiche, evitandone soprattutto l'abuso".

Il "Progetto Nazionale per la sorveglianza delle infezioni batteriche gravi in ambito comunitario e ospedaliero" è frutto di una collaborazione pubblico-privato, è stato infatti cofinanziato dal Ministero della Salute e da una società farmaceutica (Pzifer Italia).

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