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La sicurezza che ci serve oggi: meno documenti e più sostanza

La sicurezza che ci serve oggi: meno documenti e più sostanza

È necessario ridefinire la sicurezza secondo una visione di competitività e di futuro. Riflessioni sulla sicurezza che serve oggi. La valutazione dei rischi, la responsabilità amministrativa e la formazione. Speranze e limiti. Di Alessandro Mazzeranghi.

Viareggio, 9 Ott - La questione della sicurezza e salute sul lavoro è un valore etico primario e quindi deve essere garantito, per effetto della Costituzione, a tutti coloro che prestano la loro opera a fronte di un corrispettivo.
 
Nondimeno in una situazione di  crisi congiunturale gravissima nel settore industriale, fare discorsi teorici porta a poco risultato. Eppure esistono delle chiavi di lettura che salvano la visione etica/umana contemporaneamente a quella di sviluppo industriale.
 
È evidente che dobbiamo inventarci una logica nuova, addirittura un nuovo linguaggio, se vogliamo fare fronte adeguatamente a questa sfida. Sfida, vorremmo essere chiari, difficilissima da vincere!
Le premesse oggettive non sono buone, nel senso ben noto e ormai affermato apertamente sia dalle associazioni imprenditoriali che dalle organizzazioni sindacali, che noi (loro) non siamo più gli unici artefici del nostro destino. Che in questi anni si sia lavorato male, anzi malissimo, è sotto gli occhi di tutti, ma se lavoreremo bene a livello industriale senza una politica adeguata in ambito nazionale e comunitario, ci resterà qualche opportunità di invertire la rotta? Io credo di no.

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Come è cambiato il quadro di riferimento
In un momento di ricchezza, quella che allora veniva chiamata lotta di classe contrapponeva industria e sindacato col fine (non sempre perseguito con il dovuto equilibrio) di una più equa distribuzione della ricchezza. Le battaglie delle Unions, talvolta eccessivamente violente, si basavano comunque su un principio sacrosanto; chi produce, fisicamente col proprio lavoro, ha diritto di essere partecipe dell’arricchimento che lui stesso produce. In una misura adeguata, certo, ma nel rispetto della dignità e della libertà della persona.
 
Quei tempi sono passati anche perché i risultati fondamentali sono stati raggiunti e legiferati, talvolta addirittura con eccesso di zelo.
 
Quindi oggi quale è la aspirazione del lavoratore?
Avere un lavoro che gli consenta di accedere ai propri diritti fondamentali, anche senza quegli eccessi che negli anni passati la ricchezza generalizzata aveva permesso.
Dall’altra l’industriale vuole salvare quel bene, l’azienda, in cui ha investito la vita e il proprio denaro, accedendo anche lui a quei diritti fondamentali che gli sarebbero negati se la sua azienda dovesse fallire.
In entrambi i casi facciamo salvi i casi di disonesti e truffatori.
 
Questa convergenza evidente rischia però che entrambi i soggetti mettano da parte un altro elemento fondamentale di diritto: la salute e la sicurezza sul lavoro.
Gli industriali perché appare un inutile aggravio in un momento di vera e gravissima crisi, i sindacati e i singoli lavoratori perché le loro priorità attuali sono assolutamente diverse.
 
Attenzione, questo non porta a una nuova immoralità, alla volontà di tornare indietro, ma all’arresto di un processo virtuoso di miglioramento che data dall’immediato dopoguerra e si accelera con decisione nell’ultimo decennio.
 
La sicurezza come fattore di sistema industriale
Allora vediamo un attimo come possiamo ridefinire la sicurezza oggi in funzione degli interessi primari dei soggetti sopra citati. La sicurezza ha tanto più valore quanto più una azienda e la compagine dei suoi lavoratori riescono a preservare e fare crescere il patrimonio di competitività e innovatività aziendale. Sacrificare queste caratteristiche per infortuni o malattie professionali, e per la demoralizzazione diffusa che questi eventi, se gravi, si portano dietro, sarebbe come dichiarare la prossima chiusura di quella azienda. Non esiste denaro, poco peraltro, che giustifichi questo percorso, sia che finisca nelle tasche dell’imprenditore, sia che invece finisca in quelle dei lavoratori.
Perdere conoscenza, perdere capacità, perdere slancio, questa è la fine delle aziende. E se tale perdita deriva da questioni di sicurezza e salute, ebbene poco cambia.
 
Allora la visione della sicurezza cambia, diventa visione di competitività e di futuro.
Non è più il rispetto di regole europee spesso farraginose, e comunque scritte da chi in fabbrica ha vissuto poco o nulla. Enunciare splendidi principi serve davvero a poco se la società è matura, come la nostra, per andare ad applicare la sostanza.
 
La sicurezza che ci serve oggi
Le leggi sono sempre di più e aiutano sempre meno; spesso confondono, altre volte portano la nostra attenzione su fattori marginali facendoci perdere di vista la sostanza.
 
Dobbiamo dare un taglio netto e tornare agli enunciati fondamentali: il lavoro NON deve assolutamente portare a rovinare (cambiare radicalmente) la vita di una persona, o addirittura a farla morire. Questo è il principio! Il resto sono chiacchiere, carte spesso inutili, tempo spesso sprecato quando potrebbe essere utilizzato, ancora su sicurezza e salute, per raggiungere risultati ben più concreti.
 
La innovazione principale introdotta dal D.Lgs. 626/94, dalle direttive di prodotto (direttiva macchine 98/37/CE) e dalle successive loro modificazioni è stata la valutazione dei rischi. Un problema di sicurezza è importante tanto più è elevato il rischio, il rischio concreto, quello che si potrebbe manifestare in azienda.
Il resto sono solo conseguenze legislative (p. es. i titoli del D.Lgs. 81/2008 a partire dal II in poi) che talvolta sono anche poco coerenti col principio di valutazione dei rischi.
 
Qualcuno obietterà: ma senza quelle disposizioni legislative non si sarebbe fatto nulla del tutto. Vero, ma quel tempo è passato e i nostri legislatori europei operano come se si ragionasse ancora come negli anni ’50. Diamoci una svegliata, semplifichiamo e puliamo.
 
Cosa vorremmo oggi
Il Datore di Lavoro, per la sua posizione nella società di soggetto che trae il massimo utile dal successo della stessa, è il garante della sicurezza di tutti i suoi collaboratori. I lavoratori, per parte loro, devono collaborare al loro meglio, e sarebbe ben assurdo il contrario, a garantire la propria e la altrui salute e sicurezza.
 
Ma per fare questo, oltre ai due principi elementari sopra espressi, serve poco; deciso chi deve fare e quali sono gli obiettivi, si andrà poi a giudicare il suo operato. Oggi appesantiamo gli adempimenti puntuali delle aziende e togliamo risorse agli enti di controllo! Che senso ha?
 
La comunità aziendale tutta ha il dovere di lavorare bene; tutti devono impegnarsi su salute e sicurezza secondo il proprio ruolo. Poi si giudicherà dai risultati! Finiamola con la carta inutile.
 
Uno spiraglio di luce
L’estensione della responsabilità amministrativa ex D.Lgs. 231/2001 ai reati in materia di sicurezza e salute sul lavoro ha aperto unasperanza; una disposizione di applicazione volontaria che dice però alla azienda, come ente, che se sbaglierà cercando il proprio interesse o vantaggio, sarà punita.
 
A mio avviso bellissima impostazione, ma con due limiti: pene troppo alte che scoraggiano i giudici dalla loro applicazione, e ancora troppa carta da produrre per fare vedere che l’azienda si è impegnata. Basta: meno registrazioni e più sostanza! Altrimenti, se vogliamo fare tutto sulla carta, ma allora a cosa serve la magistratura, a fare da notaio?
 
Però è una speranza, un nuovo modo di vedere le cose, speriamo che invece che affossato come vorrebbe qualcuno (e mi duole dirlo, anche fra gli industriali), tutto ciò venga migliorato e ne vengano mitigati gli eccessi.
 
Ma non basta, ci vuole ancora altro, un amico carissimo parla di cambiamento di mentalità! E lo intende esteso a tutti, dagli imprenditori ai lavoratori. Io condivido a pieno ma dico anche che è davvero dura con i tempi ristretti che abbiamo davanti per tirarci fuori dal pantano di questa crisi.
 
La prossima puntata
E quindi dovremo parlare necessariamente di formazione (VERA formazione) e coinvolgimento di tutto il personale per dare questa svolta a mio avviso indispensabile per la crescita del valore delle nostre aziende.
 
Ne parleremo presto su queste pagine.
 
 
Alessandro Mazzeranghi
 
 

Creative Commons License Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
 

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Rispondi Autore: pietro montesissa - likes: 0
09/10/2013 (02:10:59)
condivido pienaente quanto espresso dal Sig.Mazzeranghi avevano il DPR 547 e il303
non ci bastava per fare la valutazione dei rischi e la formazione?
Rispondi Autore: francesco casati - likes: 0
09/10/2013 (07:40:59)
Sarebbe bello se questo articolo fosse sottoscritto da upg che si nutrono di carta!
Rispondi Autore: Gianni Bonizzi - likes: 0
09/10/2013 (08:23:06)
Serviva e serve più coscienza/cultura per la
sicurezza, oggi in particolare con la crisi
non si bada a nulla o si aprofitta. In passa
to,ma tutt'ora esistente(nonostante la crisi)
non sono esistite regole di mercato che han
favorito una concorrenza sleale e una corsa al profitto infischiandosene della sicurezza. Credo che la piaga stia nel per
sonalismo,nell'egoismo e nel menefreghis-
mo. Salvo cambiamenti radicali ( ? ) tutto
è e sarà difficile,leggi o non leggi.
Rispondi Autore: nicola albertini - likes: 0
09/10/2013 (08:51:09)
il popolo francese nel 1789 in piena rivoluzione, dicevano"plus ca change et plus est la mème chose"
piu si introducono nuove applicazioni obbligatorie per cambiare, più il cambiamento non ci sarà.
Rispondi Autore: Alfredo Guerra - likes: 0
09/10/2013 (09:35:16)
Sono pienamente d'accordo. Sono RSPP interno di un'azienda manufatturiera e gran parte della mia giornata la passo a riempire carte solo per dimostrare che si lavora per la sicurezza. Intanto non mi rimane molto tempo per sviluppare piani di lavoro che portino a sostanziali miglioramenti degli standard di sicurezza.
Si arriva ad un certo punto che si riesce a malapena a gestire il quotidiano.
Gestione delle ditte esterne (DUVRI, CCIA, Permessi di lavoro, e quant'altro), gestione dei prodotti chimici, gestione della sorveglianza sanitaria, etc. etc. etc.)
Rispondi Autore: Palmambrogio Guanziroli - likes: 0
09/10/2013 (09:36:32)
Non dimentichiamoci che non molto tempo fa l'allora ministro dell'economia disse "robe come la 626 (che già da tempo era stata assorbita ed abrogata...)sono un lusso che non ci possiamo permettere".
E "robe come la 231" ce le potremo permettere?? Non con la mentalità attuale.
Rispondi Autore: Luca - likes: 0
09/10/2013 (10:02:40)
una soluzione: uscire dalla logica che la sicurezza sia solo approccio tecnico (da una parte) e legislativo/burocratico (dall'altra), ad appannaggio principale di ingegneri (da una parte) e di avvocati (dall'altra), affidata a consulenti che non hanno mai avuto nella loro vita una esperienza in una azienda e non conoscono minimamente le dinamiche di questo mondo o appena usciti dal percorso di studio universitario e digiuni completamente del "mondo reale"....non riuscendo quindi a trovare quei punti di unione pragmatici e di valore aggiunto necessari ad aziende e personale.
Rispondi Autore: Vito Signorello - likes: 0
09/10/2013 (10:27:45)
Troppa carta, è vero! Ma il tutto si basa sul fatto che ormai al centro di tutte le nostre azioni non c'è più l'uomo ma il denaro. Lo diceva anche l'autore parlando di imprenditori che cercano il loro guadagno e di lavoratori che, in tempo di crisi, cercano di sopravvivere a qualsiasi costo (anche rinunciando alla loro sicurezza).
Dovremmo cambiare tutti mentalità e dai principi fondamentali, ben esposti dall'autore, capire che se tutti si lavora insieme, imprenditori e lavoratori, si ha solo da guadagnarci tutti, in denaro e in sicurezza.
Sarebbe giusto di parlare di una società che opera insieme per la sua crescita, che lavora insieme per essere tutti sempre migliori di giorno in giorno e non di una società competitiva in cui qualcuno (pochi) vincono e tutti gli altri perdono e rimangono indietro.
Rispondi Autore: Gabriele Brion - likes: 0
09/10/2013 (11:12:31)
Dato che si parla di andare al concreto allora faccio degli esempi in concreto di quello che accade.
Il primo caso riguarda l'applicazione della 231 in cui un'azienda ha fatto montagne di carte e poi si scopre che manca completamente un ramo dell'attività.
Secondo caso: filiale italiana di un'azienda con sede in Svizzera. La sede Svizzera scrive a quella italiana facendogli capire che se non aumentano la produttività riportano la produzione in sede. Perchè la produttività non c'è? Perché manca la flessibilità necessaria. Perché non c'è la flessibilità? Perché i lavoratori hanno coinvolto i sindacati (o sono stati istigati dai sindacati?) per presentare una montagna di documentazioni al Medico Competente in modo da ottenere prescrizioni e limitazioni sul giudizio di idoneità al punto che l'azienda si è paralizzata e adesso il MC e l'azienda devono andare caso per caso a verificare se qualcuno ha prodotto documentazione non veritiera ad opera di qualche medico compiacente facendo fare delle verifiche anche ricorrendo a specialisti esterni o alla Clinica del Lavoro.
Terzo caso: misurazione di agenti chimici all'interno di un'azienda per verificare l'esposizione dei lavoratori. L'azienda incarica un professionista per svolgere le misure il quale stabilisce un programma di campionamento ragionevole sulla base di una giornata riservandosi di approfondire in caso di riscontro di concentrazioni in qualche modo significative, ma il consulente dell'azienda stessa contesta perché vuole che sia applicata una norma UNI che prevede i campionamenti su 3 giornate. A questo punto viene da chiedersi come fa un'azienda di piccole dimensioni che già fatica a fare un monitoraggio ambientale, ad accollarsi 3 giornate di misura per avere dati conformi ad una determinata norma. Il buon senso dov'è? Una volta che si è scelta una giornata invernale nella quale la normale attività è garantita perché andare oltre prima di aver visto i risultati? Perché applicare una norma UNI che prevede 3 giornate di misura (cosa peraltro non vera perché ci sono delle condizioni da valutare previamente) quando ce n'è un'altra che prevede una misura per turno e per mansione? Ancora, perché applicare una norma UNI anche alle piccole aziende? Non basta il D.Lgs.81/08?
E poi, è giusto che il D.Lgs.81/08 rimandi continuamente a norme che sono a pagamento quando invece la sicurezza dovrebbe essere un bene comune? Non si può pensare di sostenere gli enti di normazione in altro modo? Ci sono mille casi come questi anche sulla formazione. E anche qui si apre una questione: se gli impianti e le attrezzature non sono a norma, secondo Voi ha senso puntare sulla formazione? Vogliamo andare al sodo oppure no?
Cordiali saluti.
Buon lavoro.
Rispondi Autore: Alfredo Guerra - likes: 0
09/10/2013 (12:02:48)
Sono d'accordo con Gabriele. Non è corretto rimandare a norme a pagamento per implementare la sicurezza in un'azienda. E' una tassa occulta. Ultimo caso quello della segnaletica, c'è voluta una circolare (n. 30 del 16/7/2013) per chiarire che la segnaletica inserita negli allegati dell'81/08 è ancora valida!!!
Ma come possiamo andare avanti e aumentare produttività e sicurezza con questa confusione legislativa?
Decreti che rimandano ad altri decreti attuativi che ancora non sono stati emessi e che ormai hanno superato di gran lunga i termini.
In mancanza dei decreti attuativi ci si arrangia come si può, ma non è un comportamento corretto. Le Commissioni che ci sono a fare? Le paghiamo per vedersi 1 volta a settimana a parlarsi addosso?
Basta, mi sto innervosendo.
Rispondi Autore: Alfredo Guerra - likes: 0
09/10/2013 (12:33:42)
Sono d'accordo con Gabriele. Non è corretto rimandare a norme a pagamento per implementare la sicurezza in un'azienda. E' una tassa occulta. Ultimo caso quello della segnaletica, c'è voluta una circolare (n. 30 del 16/7/2013) per chiarire che la segnaletica inserita negli allegati dell'81/08 è ancora valida!!!
Ma come possiamo andare avanti e aumentare produttività e sicurezza con questa confusione legislativa?
Decreti che rimandano ad altri decreti attuativi che ancora non sono stati emessi e che ormai hanno superato di gran lunga i termini.
In mancanza dei decreti attuativi ci si arrangia come si può, ma non è un comportamento corretto. Le Commissioni che ci sono a fare? Le paghiamo per vedersi 1 volta a settimana a parlarsi addosso?
Basta, mi sto innervosendo.
Rispondi Autore: Alfredo Guerra - likes: 0
09/10/2013 (15:12:40)
Sono d'accordo con Gabriele. Non è corretto rimandare a norme a pagamento per implementare la sicurezza in un'azienda. E' una tassa occulta. Ultimo caso quello della segnaletica, c'è voluta una circolare (n. 30 del 16/7/2013) per chiarire che la segnaletica inserita negli allegati dell'81/08 è ancora valida!!!
Ma come possiamo andare avanti e aumentare produttività e sicurezza con questa confusione legislativa?
Decreti che rimandano ad altri decreti attuativi che ancora non sono stati emessi e che ormai hanno superato di gran lunga i termini.
In mancanza dei decreti attuativi ci si arrangia come si può, ma non è un comportamento corretto. Le Commissioni che ci sono a fare? Le paghiamo per vedersi 1 volta a settimana a parlarsi addosso?
Basta, mi sto innervosendo.
Rispondi Autore: pietro ferrari - likes: 0
09/10/2013 (18:21:08)
Difficile non scorgere la vena di sconforto (già manifesta in non pochi di noi) che attraversa l'articolo. E che solo potrebbe venir superata da una pratica -non solo legislativa e regolamentare- di semplificazione e "pulitura". La qual cosa aiuterebbe non poco,tra l'altro, in questa lunga congiuntura di crisi.
Il problema tuttavia è che il legislatore non mostra ancora di avere un obbiettivo strategico d'insieme. Per cui le cd. semplificazioni tendono a diventare concrescenze e scorie in un quadro normativo che non riesce a stabilizzarsi su parametri chiari, efficaci ed accettabili di percorribilità.
Osservatori buonamente attenti, avranno notato il progressivo svilimento delle attribuzioni della Commissione consultiva permanente. Ciò, se da un lato può attribuirsi all'azione prepotente, paralizzante di lobby, dall'altro mostra come il legislatore -anche nel suo braccio ministeriale- non riesca a trovare il bandolo della matassa.
La stessa speranzosa considerazione del modello di organizzazione e di gestione atto a "garantire" l'esimente della responsabilità amministrativa delle imprese, viene posta dall'autore dell'articolo sotto le forche caudine di due condizioni difficilmente superabili: l'entità delle pene e la strutturazione documentativa/attuativa necessaria.
Siamo chiari: è un problema che si riverbera sulle medie e piccole imprese, non certo su quelle di grandi dimensioni.
Ricordo, in conclusione, che era compito attribuito alla Commissione consultiva permanente quello di elaborare procedure semplificate per la adozione e l'efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese.(art. 30, comma 5-bis, D.Lgs. 81/08)
..mala tempora currunt.
cordialmente
Rispondi Autore: Massimo Zucchiatti - likes: 0
09/10/2013 (23:04:34)
...io lo avevo scritto qui tante volte ! Troppe carte . Guardate questa pagina...migliaia di parole per dire che si scrive troppo...comunque ovvio sono d'accordo con tutti voi....passo e chiudo
Rispondi Autore: Filippo Baldacci - likes: 0
10/10/2013 (09:12:45)
Montagne di carte assurde...fogli, foglietti e fogliettini per qualsiasi cosa...bisogna essere "tuttologi" per qualsiasi ramo, dall'ambiente, alla sicurezza, alla qualità..e tutto per portare a casa un minimo di stipendio che permetta non di vivere nel lusso..ma sopravvivere..che è ben diverso!!! Ma basta con tutte queste cose, la sicurezza sul lavoro è ben diversa..concreta, fatti e non mera burocrazia ( che attenzione non va abolita ma semplicemente snellita )!!! Ma tanto finchè chi siede sulle poltrone dorate non sveste i panni del burocarate e indossa quelli dell'operaio che ogni giorno si fa 8/10 ore in fabbrica per un decimo dello stipendio mensile di un deputato..non si andrà mai da nessuna parte ( lo so, è un discorso qualuquistico..mi sia perdonato lo sfogo.. )

Filippo
Rispondi Autore: Sergio Misuri - likes: 0
10/10/2013 (19:23:16)
E'statistica consolidata che oltre il 95% degli infortuni sul lavoro è correlabile al comportamento umano, a sua volta spesso riconducibile ad un inconscio processo di "desensibilizzazione" progressiva nei confronti dei pericoli.
Dopo aver fatto i necessari e doverosi investimenti sull'Hardware (attrezzature, mezzi, impianti, DPI, ecc.) e sul Software (Procedure, DVR, POS, Formazione e Informazione obbligatoria, ecc.), bisognerà ora dedicare maggiore risorse (idee e investimenti) nell'aspetto cruciale finora trascurato il fattore "Humanware".
Se si riesce ad eliminare la carta da tutte le registrazioni, mantenendo la rigorosa e certificata identificazione di "cosa" è stato fatto e controllato, "chi" ha controllato e supervisionato, "quando", "dove" e "con quali risultati" potremo liberare molte risorse, in termini di tempo, da dedicare all'Humanware.
Ad esempio potrebbe non essere impensabile fare continui e mirati interventi di sensibilizzazione e allerta sui rischi specifici legati alla singola operazione in procinto di essere svolta e dei relativi pericoli incombenti.
La Dupont chiama questo intervento "prenditi 2 minuti per la tua sicurezza".
La tecnologia mi ha permesso di registrare tutte le operazioni su un palmare Android, con la stessa facilità con cui vengono registrate in farmacia le operazioni di consegna dei medicinali.
Mi scuso perla lunghezza del testo
Rispondi Autore: Tedone Massimo - likes: 0
14/10/2013 (10:44:13)
Finalmente qualcuno dice espressamente che l'enorme quantità di documenti, il più delle volte "astratti" che dicono tanto e non dicono nulla perchè non fanno alcuna chiarezza e lasciano ad altri l'incombenza di scegliere cosa è meglio fare e adottare. E' vero, Dott. Mazzeranghi, sarebbe ora che i vari SPP/ASP facessero meglio il loro lavoro senza scaricare responsabilità sul Datore di lavoro e/o i preposti.

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