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Norme e bacchette magiche

 

A fronte di eventi infortunistici che impattano pesantemente sull’opinione pubblica, la reazione istituzionale più frequente è quella di inventarsi nuove disposizioni. Forse non è questa la strada da seguire. Forse, prima di introdurre nuove norme, varrebbe la pena di controllare il funzionamento complessivo del sistema nel suo insieme e di dare attuazione effettiva a quanto già disposto.

 

Profondamente convinta che (purtroppo?) non esistano bacchette di sambuco, sono anche moderatamente convinta che emanare leggi, promettere decreti applicativi e non parlarne più abbia effetti nefasti su diversi terreni. La prima conseguenza è quella di minare la credibilità del sistema stesso. E la credibilità ed esigibilità delle norme è un buon surrogato della bacchetta magica. La seconda conseguenza è quella di deludere e frustrare chi, nei diversi ruoli, al sistema ha creduto e si è adoperato a farlo funzionare e di incentivarlo a non farlo più nel futuro. L’impossibilità di applicare a causa di mancate “istruzioni d’uso” norme che, per il fatto stesso di essere state emesse, sono evidentemente state ritenute necessarie, è la prova che la sicurezza non è gestita in una logica coordinata, ma a campagne emergenziali.

 

Questo modo di procedere dimostra che non esiste una cultura strategica della sicurezza, ma solo una sommatoria di interventi che, invece di acquisire forza attraverso l’interazione reciproca, procedono in ordine sparso.


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Diventa di conseguenza legittima la percezione che non si siano gerarchizzati gli interventi normativi in base alla loro importanza in vista di un progetto unitario. Eppure, solo una visione integrata e sistemica di interventi ha qualche probabilità di produrre effetti. Se l’obiettivo è chiaro, al suo raggiungimento possono contribuire disposizioni differenziate, ma tutte devono avere un percorso lineare e non interrompersi in corso d’opera.

 

Cosa che non sempre avviene. Cito come esempio di questo distorto modus operandi l’iter della legge 215/2021 che ha introdotto l’obbligo di formazione dei datori di lavoro, fino ad allora non prevista dalla normativa in materia di salute e sicurezza se non per coloro che volessero svolgere in prima persona il ruolo di RSPP. 

 

I decreti che avrebbero dovuto già dal giugno 2022 dettare le modalità applicative. non sono a oggi, marzo 2024, ancora disponibili.

 

Un ritardo deprecabile per i motivi generali che ho già citato, ma anche per questioni specifiche di merito: la formazione delle figure apicali può determinare una discontinuità nella percezione complessiva della prevenzione e delle strategie a essa connesse.

 

Soprattutto nelle piccole e medie imprese, nei cantieri e in agricoltura la figura del DL e i suoi atteggiamenti hanno ricadute concrete sull’organizzazione del lavoro, sulle scelte gestionali e sull’impostazione complessiva della cultura d’impresa.

 

Quindi la formazione dei Datori di Lavoro potrebbe essere necessaria.

 

Potrebbe, appunto. Per prima cosa, quindi, occorrerebbero i decreti applicativi che pongano le condizioni perché, essa ci sia.

 

In secondo luogo, occorrerebbe – ed ecco un altro condizionale -, che detta formazione non fosse un mero atto formale, ulteriore carta da aggiungersi a carta, ma servisse ad avviare un processo di consapevolezza del DL e ad avviare processi di rielaborazione e contestualizzazione nello specifico luogo di lavoro. A questo dovrebbero essere finalizzate le disposizioni contenute nei decreti applicativi.

 

Sempre per rimanere sullo specifico  esempio, essi dovrebbero prescrivere che la formazione sia  prevalentemente aspecifica (nei luoghi di lavoro ci sono già figure dedicate) e finalizzata a far cogliere lo stretto collegamento tra gli elementi  di successo aziendale e i principi etici che stanno alla base del rispetto della vita e dell’integrità fisica e psicologica dei propri dipendenti nonché a sensibilizzarli a includere il tema della Responsabilità sociale all'interno della visione strategica dell’' impresa.

 

Le aule di formazione potrebbero essere anche la sede per far cogliere le ricadute in termini di profitto economico e di produttività che comportamenti virtuosi producono e a fornire le prove che a fare sicurezza si risparmia, anzi si guadagna.

E questa potrebbe essere l’argomentazione vincente anche nei casi di minor sensibilità alle motivazioni etiche.

In questo quadro potrebbe essere fatta cogliere anche la stretta correlazione tra clima organizzativo, benessere interno e produttività.


Agire su motivazioni diverse può servire a creare un più diffuso sentire comune e a innescare quel principio di persuasione definito “riprova sociale” in base al quale le persone tendono ad allinearsi ai comportamenti più diffusi.

 

Anche solo a proposito dell’esempio presentato ho dovuto inanellare tutta una serie di condizionali.

Forse vale la pena di cominciare a coniugare all’indicativo tutte le azioni già prescritte dalle norme e porre le condizioni per una loro effettiva attuazione.

 

Renata Borgato

 




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Rispondi Autore: ILENIA - likes: 0
19/04/2024 (09:00:07)
UN'ANALISI PERFETTA DELLA SITUAZIONE ATTUALE E DELLE MISURE CHE LO STATO ATTUA SENZA CHE ESSE SIANO DAVVERO FUNZIONALI ALLA PREVENZIONE PROTEZIONE DAI RISCHI SUL LAVORO. COMPLIMENTI PROFFESSORESSA.
Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0
19/04/2024 (11:03:41)
Ottimo contributo.
Sull'argomento consiglio anche la lettura dell'articolo "La Formazione alla Sicurezza degli Accordi Stato Regioni è servita a qualcosa?" su Puntosicuro del 04/10/2023.
Rispondi Autore: Fausto Pane - likes: 0
19/04/2024 (11:41:48)
Già, la carta; a riguarda una noterella a margine ed una chiara polemica per tutti i soggetti coinvolti nella sicurezza.
Un messaggio chiaro a chi crede di far la sicurezza con la carta: care stazioni appaltanti, smettetela di richiedere chili e chili, risme e risme di carta al fine di verificare l’idoneità TECNICO PROFESSIONALE (non FORMALE, mannaggia…) delle imprese che lavoreranno per voi. Smettetela. Utilizzate CHECK list scaricate da internet per verificare se chi lavorerà per voi sia idoneo o meno. Verificate che abbia le CARTE a posto e, per proprietà transitiva, sostenete pertanto che sia a posto la gestione della sicurezza. Ma vi rende conto dell’assurdità: CARTA A POSTO ergo SICUREZZA A POSTO. Una pazzia!
E i risultati di questo approccio si vedono, sulle pagine di cronaca spicciola dei giornali locali e, ahimè, talvolta anche su quelli nazionali: le morti bianche, mannaggia…
Quello che consiglio soprattutto ai coordinatori per la sicurezza, voraci cartofagi in un settore dove la legge richiede tre documenti per ottemperare alla valutazione Tecnico Professionale dell’impresa (TRE!): alzate le vostre augustee terga dalle sedie dotate di 5 razze e rotelle della vostra scrivania alta 75-80 centimetri ed andate in cantiere a vedere se i cavi di sollevamento dei moduli prefabbricati abbiano i ganci dotati di blocco. Certo, voi non siete tenuti alla sorveglianza, ma un gancio senza blocco non è né TECNICO, né PROFESSIONALE. Vedete voi.
A riguardo ho vinto qualche battaglia, ma la guerra è persa. Se la bilancia non segna i chili giusti di carta, l’impresa mia cliente non entra in cantiere. Chi ti proibisce ti entrare in cantiere non sa nemmeno cosa ci andrai a fare, però se non gli fornisci l’UNILAV (documento non previsto da alcuna norma, come altri ed altri), sei TECNICAMENTE e PROFESSIONALMENTE inidoneo: CHECK-LIST canta!
Coordinatori diventati TUTTI improvvisamente (ma mica poi tanto…) ispettori ASL, Carabinieri, Tecnici ARPA, Funzionari dell'Ispettorato del Lavoro, a contestare violazioni di cui rispondono esclusivamente il Datore di Lavoro, il Dirigente ed il Preposto, NON LORO. E il gancio rimane senza blocco, mannaggia….
E sul lavoro ci si ammazza, ma con le carte a posto e l’UNILAV in regola.
Un saluto a tutti.

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