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La Cultura Organizzativa e la Cultura della Sicurezza

La Cultura Organizzativa e la Cultura della Sicurezza
Carmelo G. Catanoso

Autore: Carmelo G. Catanoso

Categoria: Cultura della sicurezza

15/02/2024

La cultura organizzativa impone, orienta e sostiene i comportamenti, le modalità di comunicazione, le regole, i principi ed i valori che hanno un effetto positivo sulla sicurezza sul lavoro.

 

In Italia, quando si verifica un grave infortunio sul lavoro che impatta emozionalmente sulla pubblica opinione, non c’è politico, rappresentante delle Parti Sociali, rappresentante di associazioni, magistrato, funzionario di ente di vigilanza, consulente, ecc., che non citi la mancanza della “Cultura della Sicurezza” come causa principale dell’evento avvenuto ma senza mai fornire una definizione se non quella che rimanda alla conoscenza e all’applicazione delle norme e delle regole vigenti.

 

La definizione più accurata, invece, è quella dove la Cultura della Sicurezza è vista come <<il prodotto dei valori, degli atteggiamenti, della consapevolezza, delle abilità e dei modelli di comportamento individuali e di gruppo che determinano l'impegno nella gestione della salute e della sicurezza integrando tale prodotto nel rapporto tra l’organizzazione aziendale e gli individui che ne fanno parte>>.

Volendo semplificare la possiamo definire anche come <<un insieme di modi di fare e di pensare ampiamente condivisi attori di un'organizzazione al fine di controllare i rischi più significativi associati alla loro attività>>.

 

La cultura di un'organizzazione influenza il sistema aziendale di gestione della sicurezza e, tanto da poter affermare che la "Cultura della Sicurezza" è parte della cultura generale di un'azienda.

 

Nel seguito di questo contributo, si presenterà l’impatto che ha la cultura organizzativa sulla Salute e Sicurezza sul lavoro (SSL) e di come la prima imponga, orienti, sostenga i comportamenti, le modalità di comunicazione, le regole, i principi ed i valori che hanno un effetto positivo sulla SSL.

Abbandonando l’approccio che tende a far attribuire i comportamenti osservati alle peculiarità degli individui interessati, dato che questo approccio, quando si tratta di prevenzione, ha palesemente i suoi limiti, l’obiettivo che ci si pone è quello di comprendere quali sono gli elementi della cultura organizzativa di un’azienda in grado di influenzare   positivamente o negativamente i comportamenti dei vari soggetti nei rispettivi ruoli e funzioni.

 

Giusto per fare chiarezza, va ricordato che “Cultura della Sicurezza” non è sinonimo di “Cultura Organizzativa” proprio perché è quest’ultima e non la prima, quella che permette di raggiungere e mantenere elevati standard di sicurezza.

 

L'importanza attribuita alla SSL dall'organizzazione ha diverse manifestazioni culturali come valori, principi, regole, ecc. ma anche comportamenti, approcci, punti di vista e modi di fare dei vari soggetti dell’azienda nelle differenti posizioni gerarchiche.

 

Queste differenti espressioni possono essere sia divergenti che convergenti.

Esempi che caratterizzano la Cultura della Sicurezza sono:

  • le decisioni manageriali e quelle delle funzioni di supporto (Amministrazione, Personale, Finanza, Commerciale, ecc.) che tengono in debito conto la SSL,
  • la progettazione e la messa a disposizione di attrezzature di lavoro ed impianti sicuri,
  • le procedure e le istruzioni di sicurezza chiare e coerenti,
  • i programmi di addestramento e di formazione continua,
  • la disponibilità e l’uso dei DPI da parte di tutti i soggetti quando l’ambiente di lavoro lo richiede,
  • l’impegno alla vigilanza condivisa durante l’esecuzione delle attività,
  • i rapporti con gli appaltatori ed i fornitori,
  • l’analisi, la risoluzione e la rendicontazione delle problematiche emerse,
  • il riconoscimento positivo dei comportamenti virtuosi e
  • l’applicazione di sanzioni in funzione della gravità delle violazioni riscontrate.

 

Un primo tratto essenziale della Cultura della Sicurezza è la comprensione, da parte dell’intera organizzazione, che “rischio zero” non esiste ma che è comunque necessario investire adeguatamente per ridurre al minimo la probabilità di accadimento sia di infortuni sul lavoro che di danni alle strutture aziendali ed all’ambiente esterno.

 

Guardando un qualunque DVR, il rischio si trova definito come la combinazione della probabilità stimata e della gravità potenziale e dove le modalità di approcciare ai rischi varia in funzione della tipologia degli eventi che ne possono derivare.  

 

Risulta essenziale comprendere che, se gli eventi che si verificano hanno una bassa gravità, allora la probabilità di accadimento può essere, in qualche modo, dedotta dalla loro frequenza.

 

Invece, nel caso di eventi gravi come, ad esempio, un infortunio mortale, questo è un accadimento statisticamente “raro” e, pertanto, la sua probabilità di accadimento non può certo essere dedotta dalla sua frequenza.

Nonostante l’esserci dilettati, negli ultimi trent’anni a partire dal D. Lgs. n. 626/1994, a fare le moltiplicazioni PXD o tecniche similari, la probabilità di accadimento di un evento grave risulta molto difficile da stimare.

 

Del resto, se dessimo un’occhiata agli eventi più gravi accaduti negli ultimi 20 anni, cioè a quelli possono causare l’impatto più grave sull’organizzazione, ci accorgeremmo che essi non sono stati altro che il risultato derivante dalla combinazione di fattori causali ben poco probabili.

 


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Un’organizzazione che decide di prevenire questo tipo di eventi deve analizzare la propria situazione, individuare le aree di debolezza e definire ed adottare specifici strumenti.
Nelle tante situazioni osservate, l’approccio è prevalentemente quello di monitorare i soliti indicatori reattivi e cioè gli indici di frequenza, incidenza e gravità.

 

Trattandosi di indicatori reattivi che fanno riferimento a ciò che è accaduto, a parere di chi scrive, si è di fronte ad un approccio palesemente inadeguato per comprendere se l’organizzazione aziendale è in grado di prevenire eventi gravi.

 

Immagino che tutti ricordino Heinrich e Bird ed i loro studi, dove entrambi, pur se a distanza di circa trent’anni l’uno dall’altro, evidenziavano un rapporto proporzionale tra gli eventi di minor gravità e quelli di maggiore gravità.

 

Ancora oggi le due “piramidi” sono ospitate all’interno dei corsi di formazione anche se entrambi gli autori, tutti e due attuari presso compagnie assicurative, avevano trascurato un aspetto molto importante. I due studiosi non avevano tenuto conto che il rapporto proporzionale da loro presentato avrebbe avuto un senso se e solo se i fattori causali che originavano tali eventi e cioè sia gli infortuni minori che gli infortuni gravi, fossero gli stessi.

 

Infatti, anche se concentrandoci sulla base della piramide, riuscissimo a ridurre gli infortuni di minore gravità, non vi è alcuna garanzia che ciò produca una riduzione al vertice della stessa e cioè dove sono allocati (graficamente nella piramide) gli infortuni gravi.

 

Del resto, ci sono organizzazioni che, pur avendo ridotto significativamente l’indice di incidenza degli infortuni non sono riuscite ad ottenere una parallela diminuzione degli infortuni gravi.

 

Pertanto, se volessimo veramente parlare di Cultura della Sicurezza, dovremmo far riferimento alle modalità con cui un’organizzazione con i suoi attori prova a prevenire i rischi di maggiore gravità.

 

Prima di andare a vedere come un’organizzazione fa fronte a tale esigenza, è necessario chiarire alcuni concetti.

Chi scrive, più volte, ha avuto modo di notare, nella sua attività presso varie organizzazioni, come spesso i termini “Cultura della Sicurezza” e “Clima di Sicurezza” vengano considerati come sinonimi l’uno dell’altro.

Questo è un errore piuttosto grave in quanto, i due termini sono profondamente differenti e rimandano a concetti ben diversi.

Infatti, tra Cultura della Sicurezza e Clima della Sicurezza c’è la stessa differenza che sussiste tra la parte immersa e la parte emersa di un iceberg. La parte sommersa non è visibile mentre lo è la parte emersa. La parte sommersa (Cultura della Sicurezza), oltre a non essere visibile, varia poco e molto lentamente. La parte emersa (Clima della Sicurezza), varia più rapidamente in funzione delle circostanze ma è sempre e comunque influenzata dalla parte sommersa.

In concreto, possiamo dire che la Cultura della Sicurezza di un’organizzazione stabilisce quale è il range all’interno del quale avviene la variazione del Clima della Sicurezza.

 

Ci sono organizzazioni dove un grave evento, apparentemente non collegato alla SSL, come una crisi finanziaria o di mercato, influenzerà negativamente il Clima della Sicurezza. In altre organizzazioni, invece, una radicata Cultura della Sicurezza, nonostante ci siano gli stessi problemi, riuscirà a contenerne gli effetti mantenendo alta la soglia di attenzione riguardo la SSL.

Possiamo, quindi, affermare che la Cultura della Sicurezza non è altro che un effetto della Cultura Organizzativa ed è stata costruita dal management aziendale e dal personale operativo gradualmente attraverso le decisioni prese e le azioni attuate in tutte le situazioni in cui era in gioco la SSL, insieme ad altri fattori.

Quest'ultimi, ovviamente, influenzano l'organizzazione perché essa non vive dentro una sfera di cristallo che la tiene al riparo dagli innumerevoli fattori esterni che possono impattare sui processi al suo interno.

 

Oggi, guardando nel nostro italico orticello, possiamo dire che nelle organizzazioni esistono almeno quattro tipi di Cultura della Sicurezza:

1) "è questione di sfiga";

2) "fai da te";

3) "da scrivania";

4) "integrata".

La prima tipologia è quel tipo di cultura in cui gli appartenenti all’organizzazione sono convinti che sul “problema SSL” non ci sia praticamente nulla da fare e gli infortuni avvengano per una “questione di sfiga”.

 

La seconda tipologia è quella del “fai da te” che nasce nei casi in cui il management aziendale non attribuisce importanza alla SSL e i lavoratori sviluppano autonomamente delle pratiche di autotutela tramandandole dai lavoratori più esperti a quelli meno esperti.

 

La terza tipologia è quella che possiamo definire “da scrivania”, dove i vari attori dell’organizzazione assumono, in funzione de loro ruolo, le relative responsabilità, costruiscono aree di competenze specifiche, prevedono investimenti specifici e implementano un sistema di gestione sicurezza formale dove sono individuati ruoli e responsabilità riguardo la SSL. Se a prima vista ciò può sembrare positivo, non bisogna dimenticare che le sue “regole”, definite e imposte dall’alto, possono scontrarsi con le pratiche di autotutela sviluppate dai lavoratori nelle varie mansioni.

 

La quarta tipologia di cultura è quella “integrata”; essa mira a raggiungere elevati standard di sicurezza ed è frutto della convinzione che all’interno dell’organizzazione sia necessario combinare in modo efficace le varie competenze presenti, diffondere e valutare le informazioni, passare dall’essere responsabili a sentirsi responsabili ciascuno nell’ambito delle proprie attribuzioni e considerare la SSL come un fattore importante in tutti i processi decisionali, ai vari livelli, all’interno dell’organizzazione.

 

Gli addetti ai lavori sanno che ciascuna organizzazione, al fine di prevedere situazioni e comportamenti pericolosi, riduce l’esposizione ai rischi del personale, definisce procedure ed istruzioni operative, predispone sistemi di protezione collettiva ed individuale, ecc. seguendo, più o meno, la gerarchia razionalizzata delle misure generali di tutela definite all’art. 15 del D. Lgs. n. 81/2008.

In questo caso si costruisce una forma di SSL basata sulle “regole” che mira a prevedere ciò che non può essere pianificato a priori.

In realtà, anche se questa forma di previsione è di alto livello qualitativo, si possono verificare situazioni che non erano state pianificate in quanto ciò che era stato immaginato non è quello che avviene in realtà.

In questa situazione, la SSL dipenderà dalle capacità degli operatori coinvolti e dalle modalità che, individualmente e/o collettivamente, essi metteranno in atto, passando quindi dalla “sicurezza basata sulle regole” alla sicurezza “gestita”.

 

Sia ben chiaro che la sicurezza basata sulle regole e la sicurezza gestita possono tranquillamente convivere.

Infatti, la sicurezza gestita può far proprie le regole formali e decidere se metterle in atto così come sono o adattarle modellandole in funzione del particolare contesto. Essa è anche basata sull’esperienza che definisce delle specifiche regole derivanti dalle esperienze vissute dai singoli individui e fatte proprie all’interno del gruppo di lavoro.

Pertanto, dobbiamo sempre pensare che l’equilibrio tra la sicurezza basata sulle regole e sicurezza gestita è fortemente influenzata sia dalla frequenza e dalla prevedibilità degli eventi che dalla possibilità o meno di controllarli.

 

Va anche detto che in organizzazioni simili, la Cultura della Sicurezza può variare significativamente in funzione della effettiva percezione della sicurezza basata sulle regole e della sicurezza gestita.

A chi scrive è capitato di avere a che fare con organizzazioni dove:

  • si era assolutamente convinti che fosse possibile prevedere ed anticipare situazioni e comportamenti in grado di alterare il livello atteso di SSL mediante il totale rispetto delle regole e si considerava la sicurezza gestita come l’output di una mancata previsione e
  • si era pienamente consci che non tutto era prevedibile e, di conseguenza, l’apporto delle competenze dei singoli e del gruppo erano indispensabili per gestire, al loro verificarsi, le specifiche situazioni in grado di alterare negativamente il livello della SSL.

 

Appare, dunque, evidente che la cultura organizzativa di un’azienda può attribuire più o meno peso alle due tipologie di conoscenza che influenzano la SSL che, come detto prima, sono:

  • le competenze degli specialisti che hanno definito le regole e
  • le competenze (conoscenze + capacità) acquisite dal personale con l’esperienza.

 

Ovviamente, l’organizzazione può riconoscere l’importanza del rispetto delle regole oppure dei comportamenti proattivi adottati dai lavoratori e dal personale direttivo per garantire la SSL al proprio interno.

Già in passato chi scrive aveva evidenziato le differenze che sussistono nelle organizzazioni quando si trovano a dover gestire attività in situazioni bene diverse da quelle che avevano previsto e sulle quali si erano preparate.

Nell’articolo pubblicato su Puntosicuro il 04/02/2021 si affermava che, quando le organizzazioni basano la loro politica sulla sicurezza su una formalizzazione spinta delle regole, si troveranno in difficoltà nell’affrontare situazioni nuove o impreviste (Leggi l’articolo: Sistema prevenzionale e resilienza di un’organizzazione).

 

Questo perché vale sempre il principio dove si ribadisce che le organizzazioni che basano il proprio sistema prevenzionale sulla formalizzazione delle risposte a situazioni prevedibili, quasi sempre non sono in grado di dare risposte efficaci quando si manifestano situazioni impreviste.

Quindi il vero obiettivo dovrebbe essere quello di avere un’azienda con un sistema prevenzionale in grado di rispondere alle situazioni impreviste in quanto le competenze del personale, il funzionamento dei gruppi (formali e informali) e la qualità dell’organizzazione favoriscono:

  • il mantenimento di un alto livello di attenzione alla SSL del sistema durante l’esecuzione delle attività;
  • l’individuazione di tutti i segnali che rimandano a potenziali malfunzionamenti del sistema SSL;
  • la collaborazione tra tutti gli attori coinvolti.

 

In concreto, quindi, stiamo parlando della capacità di un’organizzazione di “anticipare, cogliere precocemente e rispondere adeguatamente alle variazioni del funzionamento del sistema in rapporto alle condizioni di riferimento per minimizzare gli effetti conseguenti sulla sua stabilità dinamica”.

Nell’ambito degli studi dei sistemi organizzativi, questa è la definizione di Resilienza.

 

In realtà, possiamo dire che sussiste una contraddizione tra una Cultura Organizzativa che:

  • ha come obiettivo quello di prevedere tutte le situazioni che potrebbero concretizzarsi, in modo da fornire una risposta efficace ai fini della tutela della SSL oppure
  • favorisce e supporta una risposta adeguata ad una situazione inaspettata.

 

Pertanto, oggi, il vero obiettivo è comprendere come e in che misura si possano armonizzare, in un’organizzazione, un elevato livello di resilienza ed un altrettanto elevato livello di sicurezza in situazioni note.

 

Oltre tre decenni fa, quando chi scrive aveva cominciato ad occuparsi professionalmente di SSL, questa era considerata materia “bi-disciplinare” e basata su:

  • aspetti tecnici, con il focus centrato sulla sicurezza tecnologica;
  • aspetti formali, con il focus centrato sulle regole e sulle procedure.

Successivamente, si era arrivati a prendere coscienza dell’importanza dei fattori umani ed organizzativi quali elementi essenziali affinché le attività lavorative si potessero svolgere in modo efficiente e sufficientemente sicuro.

 

A questo punto dobbiamo domandarci quale sia la posizione occupata dalla Cultura della Sicurezza rispetto queste tre distinte aree.

 

Si può affermare, senza timore di essere smentiti, che la Cultura della Sicurezza di una organizzazione influisce sulle decisioni che sono prese in queste tre distinte aree.

Ad esempio, la parte degli investimenti destinati alla SSL (progettazione, manutenzione, ecc.) forniscono un quadro dell’impatto della Cultura della Sicurezza nell’area tecnica.

Allo stesso modo, facendo riferimento, agli attuali sistemi di gestione, questi possono essere sviluppati per far fronte a richieste esterne oppure una precisa scelta aziendale per poter fornire una risposta efficace anche nel caso in cui si verifichino situazioni pericolose, individuando, con il coinvolgimento di tutti gli attori, le misure più adeguate a contenerne gli effetti.

 

Le modalità con cui l’organizzazione percepisce le prestazioni del personale e i fattori che le possono peggiorare o migliorare, fornisce l’immagine di quale sia la Cultura Organizzativa nell’area dei fattori umani ed organizzativi.

In questo caso, i possibili scenari sono due.

Nel primo, l’individuo è percepito come la fonte di rischio con i suoi errori e violazioni.

Nel secondo, tenendo conto che l’individuo e i gruppi di individui sono da considerare elemento fallibile ab origine, si interviene con processi addestrativi e formativi atti ad aumentare la loro affidabilità e la capacità di far fronte a situazioni non prevedibili.

 

Gli aspetti tecnici, formali ed i fattori umani e organizzativi, fermo restando il fatto che, a priori, non sussistano criticità nelle tre aree citate, devono costituire il focus di interventi specifici senza che ciò necessiti di far riferimento in modo sistematico alla “Cultura della Sicurezza”.

 

A questo punto, credo si sia riusciti a dimostrare che la Cultura della Sicurezza riflette la Cultura Organizzativa di un’azienda in quanto subisce le stesse influenze interne ed esterne.

 

All’inizio di questo contributo si è detto di come il termine “Cultura della Sicurezza” sia utilizzato praticamente da tutti gli attori che gravitano intorno al “pianeta sicurezza”.

Il problema è che parlandone tutti (politici, sindacalisti delle Parti Sociali, magistrati, enti di vigilanza, associazioni varie, consulenti, HSE Mgr, RSPP, ecc.), c’è il rischio di una eccessiva semplificazione che va ad influenzare la capacità di intervenire concretamente.

Del resto, è anche innegabile che esistano differenze di vedute riguardo la Cultura della Sicurezza.

 

Ad esempio, una corrente di pensiero considera la Cultura della Sicurezza come qualcosa di isolato e totalmente avulso dalla Cultura Organizzativa. A parere di chi scrive, ciò vuol dire dimenticarsi che un’organizzazione si deve tutelare anche da eventi diversi dagli infortuni sul lavoro. È l’importanza che ogni individuo dell’organizzazione, nello svolgere le proprie mansioni, attribuisce alla SSL che costituisce l’indicatore principale della sussistenza di una Cultura della Sicurezza visto che la prima si trova a dover competere con le altre priorità presenti all’interno dei processi aziendali.

Ecco perché per capire quali sono i fattori che contribuiscono a veicolare la Cultura della Sicurezza è fondamentale esaminare la cultura aziendale in modo da comprendere come i vari attori affrontano l’ampia gamma di rischi che incombono su una organizzazione.

Un altro approccio è quello che si concentra sugli aspetti psicologici dove l’obiettivo è quello di identificare gli atteggiamenti degli individui (favorevoli o meno) in riferimento alla SSL fino ad arrivare a definire una “cultura individuale della sicurezza”. Anche in questo caso non si è d’accordo in quanto quando parliamo di Cultura della Sicurezza il riferimento ha senso solo se facciamo riferimento al gruppo e non al singolo individuo visto anche che essa non consiste solo di principi e valori ma anche di pratiche condivise tra i componenti del gruppo.

 

Proseguendo con i diversi approcci, va citato anche quello dove la Cultura della Sicurezza è proposta come una variabile da gestire in modo semplice in quanto si pensa che prendendo una decisione e attuando azioni adeguate ne derivi un cambiamento rapido, omogeneo e mantenuto nel tempo. Anche in questo caso non si può essere d’accordo in quanto se da una parte è vero che alcuni attori possono modificare alcune variabili che incidono sulla Cultura della Sicurezza, dall’altra va detto che ciò necessita di molto tempo e numerose interazioni e non va neanche dimenticato che questi processi di cambiamento sono difficilmente controllabili ed il risultato è tutt’altro che prevedibile.

 

Un altro approccio è quello semplicistico dove si pensa che la Cultura della Sicurezza sia “problema di tutti” e tutti, pertanto, abbiano interesse a evitare l’accadimento di gravi infortuni.

 

C’è anche l’approccio che mira ad importare le modalità di gestione della sicurezza e la creazione della relativa cultura dai settori più evoluti; in questo caso ci si dimentica che non si possono adottare modelli costruiti per settori estremamente particolari e adattarli, alla meglio, ad un’altra realtà. Ciò che andrebbe fatto, invece, è una fotografia dell’attuale situazione dell’organizzazione tenendo conto dei requisiti e dei vincoli con cui essa deve convivere in modo da definire un processo di sviluppo basato sulle sue effettive necessità.

 

Infine, un altro approccio è quello che considera la Cultura della Sicurezza come la condivisione di modi di fare e di pensare all'interno dell’organizzazione. Però, anche in questo caso, va chiarito che, è praticamente impossibile che si realizzi una completa condivisione di modi di fare e di pensare all’interno di un’organizzazione da parte di tutti gli individui che in essa operano.

Pertanto, se volessimo analizzare una Cultura della Sicurezza dovremmo valutare non solo i modi di fare e di pensare prevalenti ma anche e soprattutto quelli che non lo sono.

 

In un prossimo contributo ci occuperemo di come analizzare la Cultura della Sicurezza all’interno delle organizzazioni proponendo una specifica metodologia.

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione




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Rispondi Autore: Riccardo Borghetto - likes: 0
15/02/2024 (08:38:51)
Ottimo contributo Carmelo.
Rispondi Autore: Rocco Vitale - likes: 0
15/02/2024 (18:50:22)
condivido e bravo
Rispondi Autore: Sergio Vianello - likes: 0
18/02/2024 (19:17:41)
Come CROIL Consulta Regionale Ordine degli Ingegneri Lombardia, stiamo facendo un convegno in tutte le provincie lombarde così intitolato : "la cultura della sicurezza" dove sta emergendo che la sicurezza "deve partire dai banchi di scuola" e comunque investendo su competenza qualificazione.
Rispondi Autore: Fulvio Beneggi - likes: 0
25/02/2024 (20:40:54)
Gent.le Ing.Sergio Vianello,
indichi, per cortesia,dove e quando la CROIL state organizzando i convegni.

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