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Quali sono le ricadute dei modelli di organizzazione e gestione?

Quali sono le ricadute dei modelli di organizzazione e gestione?
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: SGSL, MOG, dlgs 231/01

24/01/2024

Un contributo si sofferma sui modelli di organizzazione e gestione a vent’anni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 231/2001. Focus sulle ricadute dell’adozione dei modelli organizzativi sulla responsabilità datoriale.

Urbino, 24 Gen – I modelli di organizzazione e di gestione correlati al Decreto legislativo n. 231/2001 recante "Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300" hanno l'obiettivo, come ricordato in molti nostri articoli, di “realizzare un completo sistema di controllo ed organizzazione interno che, con riferimento all'art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008, ha efficacia esimente della responsabilità amministrativa” (“ Decreto 231: come costruire un modello organizzativo?”).

 

E sicuramente la possibilità di adottare modelli di organizzazione e gestione ex art. 30 del d.lgs. n. 81/20081, “ha rappresentato una delle novità più significative, tanto nel diritto penale quanto nel diritto del lavoro”. Il modello “oltre a rappresentare uno strumento di tutela dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro”, offre la possibilità, come indicato in premessa, “di veder riconosciuta l’efficacia esimente dalla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”.

Infatti “con la legge n. 123/2007 è stato inserito nel catalogo dei reati presupposto l’art. 25 septies che, come noto, ha ampliato la responsabilità dell’ente ai delitti di omicidio colposo (art. 589 c.p.)5 e di lesioni personali colpose gravi o gravissime (art. 590, comma 3) commessi in violazione delle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.

 

Tuttavia, “l’impianto normativo in questione ha sollevato non poche criticità sotto il profilo della efficacia. Se infatti, da un punto di vista quantitativo, i dati forniti dalle associazioni di categoria rivelano un’implementazione numerica abbastanza elevata dei modelli organizzativi, specie nelle imprese di dimensioni maggiori, meno entusiasmanti paiono i risultati, da un punto di vista qualitativo, che ci pervengono dalla giurisprudenza penale”. Viene di fatto “registrata una scarsa qualità dell’impatto organizzativo e prevenzionistico del protocollo ex d.lgs. n. 231/2001 e art. 30 del d.lgs. n. 81/2008, che si traduce in una scarsa o totale mancata applicazione del modello di organizzazione e gestione, con evidenti riflessi sotto il profilo della responsabilità”.

 

A parlare in questi termini dell’importanza e, al tempo stesso, delle criticità dell’impianto normativo connesso ai modelli organizzativi è un intervento di Maria Giovannone (ricercatrice in Diritto del lavoro e Docente di Diritto del Mercato del Lavoro, Global Economy and Labour Rights ed European Social Law presso l’Università degli Studi Roma Tre, Dipartimento di Economia) in un contributo pubblicato sul numero 1/2022 di “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista online dell'Osservatorio Olympus dell' Università degli Studi di Urbino. Un contributo che riproduce, con integrazioni e aggiornamenti, una relazione presentata al webinar su “Responsabilità degli enti e sicurezza sul lavoro” (21 gennaio 2022).

 

Partendo dall’intervento e convinti dell’importanza del miglioramento quantitativo e qualitativo dei modelli organizzativi, ci soffermiamo in particolare sulle ricadute dell’adozione di modelli organizzativi (MOG).

 

Nell’articolo affrontiamo i seguenti argomenti:


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Decreto Legislativo 231 del 2001 - Modelli organizzativi - 1 ora
Corso online di approfondimento della formazione per la prevenzione dei reati previsti dal D.Lgs. 231/2001

 

I modelli organizzativi e la ricaduta sulle responsabilità datoriali

Nell’intervento “Modelli organizzativi e sicurezza sui luoghi di lavoro alla prova del Covid-19 e a vent’anni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 231/2001” Maria Giovannone, riguardo alle ricadute dei MOG si sofferma innanzitutto sulla responsabilità datoriale.

 

Si indica che non vi è dubbio che il cosiddetto “modello 231” si presenti come “strumento funzionale per integrare a monte la prevenzione nei processi aziendali e garantire a valle la prescritta efficacia esimente a fronte di una adozione ed efficace attuazione dello stesso; tanto più se tali circostanze siano comprovate dalla previa condivisione del modello da parte delle rappresentanze dei lavoratori”. Infatti questa verifica collettiva sarebbe un “elemento imprescindibile per la idoneità del modello adottato, una vera e propria sede di verifica ante delictum della idoneità del modello, di valore tanto imprescindibile quanto quello esercitato post delictum in sede giudiziaria”.

E in effetti – continua l’intervento - il modello organizzativo non solo permette “l’attivazione dei protocolli di prevenzione dei reati contemplati dall’art. 25-septies del d.lgs. n. 231/2001, ma soprattutto consente di instaurare quel costante flusso informativo tra l’OdV, il management e gli altri attori della sicurezza aziendale, funzionale a minimizzare i rischi nuovi e multifattoriali nell’ambiente di lavoro: una prassi di cui, a ben guardare, si può avvantaggiare non solo e immediatamente, in caso di evento lesivo per inosservanza delle norme antinfortunistiche, l’ente collettivo (diretto destinatario delle disposizioni in materia), ma mediatamente lo stesso datore di lavoro (ovvero i suoi ausiliari) nella eventuale costruzione in sede ispettiva o processuale del quadro probatorio a sostegno dell’esatto adempimento dell’obbligo di massima sicurezza tecnologicamente possibile”.

 

Rimandando alla lettura dell’intervento, che si ferma sulla contingenza Covid-19 e al temuto “rischio di sovraesposizione dell’ente alla responsabilità amministrativa in caso di contagio dei lavoratori”, si segnala che “la disciplina del d.lgs. n. 231/2001 ha tentato di rispondere alla più difficile praticabilità di regole cautelari specifiche adeguate ad ogni settore, processo organizzativo e forma sociale, disponendo regole modali che traccino un perimetro più chiaro e definito entro il quale l’ente è chiamato a creare la propria regola cautelare”.

In questo senso i modelli organizzativi si inscrivono “nella più ampia questione sul rapporto tra organizzazione e diritto penale del lavoro, a seguito del rilievo assunto dall’organizzazione nella compagine della responsabilità del datore di lavoro”. E l’introiezione della “colpa di organizzazione” in materia prevenzionistica ha inteso “valorizzare l’organizzazione del lavoro – e il suo continuo controllo e aggiornamento” – come strumento metodologico “per un efficace adempimento del debito di sicurezza”.

 

L’adozione dei modelli organizzativi e il d.lgs. 81/2008

Si ricorda poi che, come chiarito dal comma 3, art. 30, del d.lgs. n. 81/2008, “il modello deve prevedere l’articolazione delle funzioni ‘che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate dal modello’. L’azienda deve, quindi, essere in possesso di una organizzazione per tenere sotto controllo tutti i diversi aspetti critici per la sicurezza, ovvero per prevenire i possibili infortuni/reati”.

E questo comporta la “presenza di diverse criticità”.

 

Infatti per avere una organizzazione adeguata, “l’azienda deve stabilire e rendere noto, in primo luogo, chi fa cosa in materia di sicurezza e con quali mezzi. Devono essere definiti compiti e responsabilità di tutti i membri della organizzazione perché ogni componente della organizzazione ha la possibilità concreta di commettere azioni od omissioni che potrebbero arrecare danno a se stesso o ad altri lavoratori”.

 

Inoltre il comma 1 dell’art. 30 ha contemplato una serie di “processi-chiave” che “devono essere tenuti sotto controllo. Il modello deve infatti essere non solo ‘adottato’ ma anche ‘efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi’, ad esempio:

  • al rispetto degli standard tecnico strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
  • alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;
  • alle attività di sorveglianza sanitaria;
  • alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;
  • alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge”.

 

E per ognuno di questi processi – continua l’intervento – “deve essere effettuata una mappatura per poi stabilire una regolamentazione che consenta di attuare il processo senza errori o omissioni”.

Al di là dell’elenco che rappresenta “un punto di partenza per progettare e adattare ai diversi contesti produttivi il modello”, si ricorda che il comma 2 dell’articolo 30 richiede “che, per le attività svolte siano fornite delle evidenze oggettive e prevede che il modello organizzativo e gestionale di cui al comma 1 debba predeterminare idonei sistemi di registrazione della avvenuta effettuazione delle attività di cui al comma 1”.

Inoltre il comma 4 dispone che ‘il modello organizzativo debba altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sulla attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Il riesame e l’eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati, quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell’organizzazione e nell’attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico’.

 

Dunque una chiara “mappatura” di “compiti e di responsabilità dei soggetti preposti alla gestione della sicurezza in azienda, correlata ai processi stabiliti dal modello, può costituire un elemento utile per individuare obiettivamente lo specifico debitore di sicurezza che non abbia adempiuto ai propri compiti”.

 

Si indica poi che queste considerazioni non sono estranee all’impianto normativo del D.Lgs, 81/2008 che, ad esempio, ha valorizzato il “virtuosismo organizzativo” del datore di lavoro anche attraverso il comma 3, dell’art. 16 che “statuisce la presunzione di adempimento dell’obbligo di vigilanza nel caso in cui il datore di lavoro adotti e attui efficacemente un modello di organizzazione e gestione ex art. 30, comma 4, del d.lgs. n. 81/2008”.

 

Infine si ricorda che ai fini di una responsabilizzazione del datore di lavoro in merito alle scelte organizzative e gestionali “non è mancato poi il richiamo all’art. 2086 c.c.” il cui comma 2 è stato introdotto dall’art. 375 del d.lgs. n. 14/2019.

Il nuovo comma 2, art. 2086 c.c., dispone “il duplice dovere datoriale di ‘istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale’ e di ‘attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale’”.

 

Segnaliamo poi che, a proposito di ricadute, Maria Giovannone si sofferma anche sui modelli di organizzazione visti attraverso il più ampio processo di valorizzazione della Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI).   

 

Rimandiamo, in conclusione, alla lettura integrale dell’intervento che analizza i principali nodi interpretativi affrontati da dottrina e giurisprudenza a più di vent’anni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 231/2001 e a quindici dalla sua estensione alla materia prevenzionistica. E che indica, come indicato nell’abstract dell’intervento, come il “ modello 231” potrebbe svolgere un ruolo ulteriore rispetto a quello cui è chiamato tradizionalmente, quindi non solo prevenire la responsabilità collettiva dell’ente rispetto ai reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose, ma favorire la stessa limitazione della responsabilità personale del datore di lavoro e dei suoi ausiliari, mediante la migliore identificazione dell’obbligazione prevenzionistica che dal modello stesso immediatamente e mediatamente deriva.

 

In particolare – come indicato nell’abstract del saggio – l’autore ricorda l’orientamento della giurisprudenza che, in relazione al rischio di rapina nelle banche, afferma che il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre le misure necessarie a prevenire tale rischio. E l’autore si interroga sulla natura del rischio di aggressioni nelle strutture sanitarie sottolineando come, a differenza del rischio di rapina nelle banche, si tratti spesso di un rischio endogeno che può essere causato da disfunzioni dell’organizzazione del servizio.

 

Infine, rilevando la necessità di un’attenta valutazione di tale rischio e dell’adozione di adeguate misure di prevenzione e di protezione per i lavoratori, l’autore propone di valorizzare a tal fine, come vedremo più avanti, il ricorso ai della sicurezza sul lavoro.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Università di Urbino Carlo Bo, Osservatorio Olympus, Diritto della sicurezza sul lavoro, “Modelli organizzativi e sicurezza sui luoghi di lavoro alla prova del Covid-19 e a vent’anni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 231/2001”, a cura di Maria Giovannone (ricercatrice in Diritto del lavoro e Docente di Diritto del Mercato del Lavoro, Global Economy and Labour Rights ed European Social Law presso l’Università degli Studi Roma Tre, Dipartimento di Economia), Diritto della Sicurezza sul Lavoro (DSL) n. 1/2022.

 



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Rispondi Autore: FMR - likes: 0
14/02/2024 (15:53:13)
l'adozione del modello è solamente un enorme favore fatto alle aziende che si occupano di certificazione e consulenza.
complimenti al legislatore, invece di dettare leggi chiare e soprattutto applicabili dalle PMI, maggioranza del Paese, rincorrono l'unicorno della IPOCRISA FORMALE.

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