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Dai lettori: modelli organizzativi per la sicurezza sul lavoro

Autore: Alessandro Mazzeranghi

Categoria: SGSL, MOG, dlgs 231/01

24/04/2009

Modelli organizzativi per la sicurezza sul lavoro ai sensi del D.Lgs. 231/2001 e del D.Lgs. 81/2008: la gestione del miglioramento. A cura di Alessandro Mazzeranghi.

Dai lettori: modelli organizzativi per la sicurezza sul lavoro

Modelli organizzativi per la sicurezza sul lavoro ai sensi del D.Lgs. 231/2001 e del D.Lgs. 81/2008: la gestione del miglioramento. A cura di Alessandro Mazzeranghi.

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Leggendo con attenzione l’articolo 30 del D.Lgs. 81/2008 si osserva, al secondo comma, come si faccia riferimento alla necessità di avere idonee registrazioni per dimostrare che gli aspetti più critici per la sicurezza in azienda sono correttamente gestiti.
Parallelamente agli articoli 28 e 29, ove si parla di valutazione dei rischi, si conclude che la medesima non è completa se non viene accompagnata da un piano di misure di miglioramento che deve, essendo un piano, definire azioni, risorse, responsabilità e tempi di attuazione per ogni azione di miglioramento che sia stata definita.
Terzo elemento di cui tenere conto: è vero che dalla valutazione dei rischi deriva, inevitabilmente, la definizione di azioni di miglioramento, ma è quella l’unica fonte? Ovviamente no: molte azioni vengono definite sulla base di evidenze emerse dal campo, senza necessariamente transitare tramite il formalismo della valutazione dei rischi. Questo fatto non può trovare la piena approvazione, per lo meno sotto un profilo formale, ma risponde a un criterio di praticità e di tempestività. Tanto che, in una azienda che investe seriamente sulla sicurezza, lo possiamo considerare un dato di fatto.
Quindi quello che emerge dal concetto di modello organizzativo ai sensi del D.Lgs. 231/2001, così come illustrato dal citato articolo 30, è la necessità di tracciare tutto ciò che si mette in opera a favore della sicurezza, qualunque ne sia la origine.

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Partiamo dalla valutazione dei rischi, facendo un minimo di autocritica; se prendiamo una valutazione dei rischi redatta qualche anno orsono ci troviamo davanti, probabilmente, una sorta di tabella dove, a fronte dei rischi rilevati, si definiscono le misure. Ovviamente le misure vengono definite in cascata rispetto ai rischi quindi, per esempio, la necessità di formare gli addetti alla manutenzione elettrica secondo quanto previsto dalla CEI 11/27 si ripeterà, come misura, tutte le volte che si considera un rischio inerente la attività in oggetto. In pratica la stessa misura veniva ripetuta più volte, rendendo poi piuttosto difficile riutilizzare il documento di valutazione dei rischi come strumento per gestire le azioni di miglioramento. Molti, compreso chi scrive, facevano una operazione di sintesi a valle, indicando, per così dire a memoria, le principali azioni da attuare nel corso di un determinato periodo (per esempio un anno); già meglio, ma si perdeva regolarmente la relazione con la valutazione dei rischi. Per la verità il piano nella maggior parte dei casi era decisamente più generico della valutazione, col rischio di portare a trascurare qualche azione di dettaglio.
 
Veniamo poi alle azioni non direttamente connesse alla valutazione, ma derivanti da osservazioni sul campo effettuate quasi quotidianamente dai vari soggetti coinvolti nel miglioramento della sicurezza (Direzione, SPP, dirigenti e preposti). Quelle spesso non venivano registrate, ma semplicemente messe in atto nel minor tempo possibile (sempre col rischio di dimenticare qualcosa).
Quindi a livello di sistema procedevamo con diverse falle: mancata correlazione fra documenti, rischio di dimenticare alcune azioni programmate (ma non scritte) e costante difficoltà a documentare il flusso logico che aveva portato a determinate scelte. In una parola risultava difficile dimostrare a terzi il reale impegno della azienda in materia di sicurezza.
L’articolo 30 ha proprio il merito, fra le altre cose, di riportare la nostra attenzione sulla necessità di avere un approccio più organico e sistematico alla sicurezza. E, sia detto per inciso, chi scrive, come molti autorevoli commentatori, non ritiene che la applicazione dell’articolo 30 si debba intendere limitato alle aziende che intendono usufruire della esimente prevista dal D.Lgs. 231/2001; molto più realisticamente deve essere considerato come linea di indirizzo per tute le aziende che vogliano operare seriamente nell’ambito della sicurezza sul lavoro.
 
Tornando al tema: dobbiamo concludere che esiste una concreta necessità di definire strumenti per la gestione del miglioramento della sicurezza in azienda. Quindi: quali strumenti?
 
Chiaramente qui non vogliamo parlare di SW, ma di elementi necessari per una corretta registrazione, che potrà avvenire con diversi livelli di automazione. Limitiamoci a pensare di costruire una tabella dove ogni riga rappresenta una azione di miglioramento della sicurezza (in senso lato).
 
Prima di tutto si devono chiaramente definire quali sono le azioni da registrare; riteniamo che gli interventi di manutenzione direttamente legate alla sicurezza, cioè di ripristino di condizioni di sicurezza di macchine e impianti che hanno subito qualche forma di deterioramento, non rientrino fra le azioni da registrare in questa sede. Sono invece da registrare tutte le azioni che comportano una concreta modifica alle condizioni di sicurezza: i miglioramenti ma anche le modifiche attuate per ragioni di opportunità. Un esempio delle seconde: per migliorare la operabilità di un impianto decido di modificare una protezione; la modifica mantiene il livello di sicurezza esistente (non migliora né peggiora) ma è comunque necessario tenere traccia di questo fatto per dare evidenza che una valutazione è comunque stata effettuata.
 
Evidentemente per ogni azione dovrà esistere, a monte, un problema rilevato, che dovrà essere descritto con un discreto livello di dettaglio. Nel realizzare tale descrizione bisognerebbe tenere conto che il documento potrebbe essere letto da terzi (è parte integrante della valutazione dei rischi, quindi può essere legittimamente verificato dagli organismi di controllo), per cui sarebbe opportuno evitare espressioni gergali tipiche della azienda.
Altrettanto importante appare la registrazione della fonte della osservazione: molte cose emergeranno in sede di valutazione dei rischi (e quindi si richiamerà la parte di valutazione da cui emerge la osservazione), altre emergeranno da osservazioni dei lavoratori, riunioni interne, audit interni, audit di enti terzi o di clienti, sopralluoghi di enti di controllo ecc.
Sino a qui la parte di cosa fare e perché. Poi c’è la programmazione delle azioni, quindi la identificazione di quali risorse sono necessarie e rese disponibili dalla azienda, la identificazione di un responsabile della attuazione della azione di miglioramento definita, e infine la definizione di una scadenza temporale che sia ragionevolmente attuabile. Naturalmente la scadenza temporale sarà stabilita sulla base della complessità della azione, ma anche tenendo conto della entità del rischio a cui si vuole porre rimedio.
 
Infine la chiusura di una azione: evidentemente è necessario registrare il completamento di una azione, preferibilmente indicando anche la relativa data. Sarebbe anche significativo, almeno secondo la filosofia dei sistemi di gestione, dare qualche forma di evidenza oggettiva. Dove le azioni sono di tipo documentale (stesura o aggiornamenti di una istruzione operativa, di una parte della valutazione dei rischi ecc.) o formativo è facile documentare tramite evidenze che le azioni previste sono state attuate; se invece gli interventi sono hardware la questione cambia radicalmente. Pensiamo che l’azione sia l’aggiunta di un riparo per un organo mobile di una macchina; ottimisticamente potremmo dire: una volta che lo ho aggiunto, se qualcuno vuole verificare che la azione sia stata realizzata come stabilito può andare a vedere sulla macchina. Ma se siamo pessimisti possiamo aggiungere: non potrebbe accadere che la protezione installata sia successivamente rimossa? Se quindi dovesse accadere un infortunio fosse riconducibile proprio alla assenza della protezione (appunto perché rimossa senza la autorizzazione della azienda) come potremmo dimostrare che era stata montata? Chi scrive a questo punto si scoraggia; si potrebbero pensare tante cose (fotografie, collaudo da parte degli RLS) ma l’impressione è che si vada davvero a ingessare la attività aziendale con una serie di sovrastrutture utili ma anche impegnative.
 
Insomma, i requisiti dell’articolo 30 sono un mondo da esplorare con attenzione, per trovare giusti compromessi che garantiscano l’efficacia del modello senza andare a discapito della snellezza della organizzazione aziendale.
 
Alessandro Mazzeranghi


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