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Sulle responsabilità per un infortunio mortale in cantiere

Sulle responsabilità per un infortunio mortale in cantiere
Rolando Dubini

Autore: Rolando Dubini

Categoria: Sentenze commentate

19/02/2025

La Corte di Cassazione si esprime su un infortunio mortale in cantiere: responsabilità del manovratore, del datore di lavoro e del coordinatore per la sicurezza. La sentenza n. 43717 del 29 novembre 2024.


La vicenda oggetto del ricorso che ha dato luogo alla presente sentenza Cassazione Penale, Sezione Quarta, n. 43717 del 29 novembre 2024 si riferisce a un incidente mortale avvenuto durante un’attività di cantiere, in cui un lavoratore è stato schiacciato da un carico precipitato a causa del cedimento improvviso della fune di una gru a torre. La vicenda processuale coinvolge varie parti: il manovratore della gru, il datore di lavoro, il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, la società committente, e i responsabili civili delle imprese coinvolte. La Corte di Cassazione è stata chiamata a esaminare i ricorsi contro una sentenza della Corte d’Appello di Lecce, che aveva parzialmente riformato la decisione del Tribunale di Brindisi.

 



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Fatto

1. Dinamica dell'incidente

Il lavoratore M.M. è deceduto per schiacciamento dopo che il carico sollevato dalla gru a torre è precipitato da diversi metri di altezza. L’incidente è stato causato dal cedimento della fune della gru. Al momento dell'evento, M.M. si trovava a terra per caricare il materiale (prelevato dal furgone) sulle forche di sollevamento della gru.

 

2. Responsabilità accertate

  • F.F.: Manovratore della gru, accusato di negligenza per aver operato senza competenze specifiche, senza adeguata formazione e senza assicurarsi che l’area fosse libera da altri lavoratori.
  • K.K.: Datore di lavoro, ritenuto responsabile per non aver formato e vigilato adeguatamente il personale.
  • G.G.: Coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE), riconosciuto responsabile ai fini civili per omissioni nel Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) e nella gestione delle interferenze lavorative.
  • H.H.: Committente dei lavori, inizialmente assolto in primo di primo grado, ma successivamente oggetto di contestazioni sulla sua posizione di garanzia.
  •  

3. Decisioni dei giudici di merito

La Corte d’Appello di Lecce ha confermato le responsabilità di F.F. (manovratore) e K.K. (datore di lavoro), riconoscendo la responsabilità civile di G.G. (CSE) Il giudice ha escluso la responsabilità di H.H., committente, e delle società coinvolte.

 

4. Motivazioni dei ricorsi

  • F.F.: Contesta la causalità della sua condotta rispetto all’evento, sostenendo che la causa principale dell’incidente fosse il cedimento tecnico della fune.
  • G.G.: Contesta la responsabilità civile, ritenendo che il giudizio di secondo grado si sia basato su un’interpretazione difforme senza adeguata motivazione rafforzata.
  • Parti civili: Contestano l’esclusione di responsabilità di H.H., indicando una mancata vigilanza sul coordinatore e sulla ditta appaltatrice.

 

Diritto

1. Posizione di F.F. (gruista)

La Cassazione rigetta il ricorso di F.F., ritenendo correttamente accertata la sua colpa specifica, coerentemente alla contestazione ascritta all'imputato (art. 20, lett. g), D.Lgs. 9 Aprile 2008 n. 81), per non essersi assicurato della sicurezza dell’area prima di procedere con il sollevamento del carico. La Corte sottolinea che l’obbligo di vigilanza sul corretto uso della gru incombe sul manovratore, anche in presenza di carenze organizzative del datore di lavoro: “il giudice distrettuale ha riconosciuto in capo al manovratore della gru”, al di là delle “gravi carenze nella formazione e nell'addestramento che lo rendevano inidoneo a eseguire il compito al quale era stato assegnato, uno specifico profilo di colpa nella esecuzione delle lavorazioni e cioè di non essersi assicurato che, in fase di caricamento e di sollevamento del materiale edile che la persona offesa aveva agganciato alla fune di caricamento, nell'area adiacente alle lavorazioni non sostassero dipendenti sotto il raggio di azione della macchina in funzione, evitando pertanto <<operazioni o manovre che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori>>”. A tale proposito, in precedenza la Suprema Corte “ha chiarito come l'obbligo di assicurarsi della stabilità del carico incomba sul manovratore della gru il cui giudizio sull'opportunità di effettuare la manovra di sollevamento è del tutto indipendente ed autonomo, potendo e dovendo egli rifiutarsi di procedervi qualora, secondo la sua valutazione non sussistano le condizioni di sicurezza” (Sez. 4, n.41294 del 4/10/2007, Fatibardi, Rv. 237890).

 

La Cassazione sottolinea che “i giudici di merito, sulla base delle risultanze istruttorie, hanno evidenziato come la persona offesa avesse provveduto ad agganciare il carico alla fune della gru e che il macchinista, prima di procedere all'operazione di sollevamento, avrebbe dovuto sincerarsi che il lavoratore autonomo si fosse spostato dal raggio di azione della gru, e comunque non si fosse trattenuto nei pressi del furgone dal quale aveva prelevato il materiale edile da sollevare, evenienza questa che non può ritenersi né eccezionale, né imprevedibile e, pertanto, inidonea a determinare una interruzione del rapporto di causalità materiale ma, semmai, come affermato dai giudici di merito, a fare emergere un profilo di colpa concorrente in capo alla persona offesa nella verificazione dell'infortunio”.

 

E dunque “i profili di colpa in capo al F.F. sono stati pertanto delineati con motivazione logica e priva di contraddizioni ed è stata altresì correttamente rappresentata la ricorrenza della causalità della colpa tra l'inosservanza alla regola cautelare richiamata in contestazione e l'evento dannoso che ne costituì la concretizzazione del rischio, anche in presenza di ulteriori antecedenti causali, quali i pure accertati difetti di installazione, manutenzione e montaggio della gru, ovvero di formazione e di addestramento del personale addetto alla manovra, circostanza quest'ultima che lega, in termini di cooperazione colposa, la azione del datore di lavoro, K.K. a quella del lavoratore, odierno ricorrente, il quale, sulla base della stessa disposizione prevenzionistica contestata (art .20, lett. g), cit.), avrebbe dovuto omettere di eseguire operazioni e manovre che non erano di sua competenza, in quanto privo di qualsiasi specifica formazione nella movimentazione della gru e, in pratica, alla sua prima esperienza lavorativa in tale mansione. Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la disciplina della cooperazione colposa esercita una funzione estensiva dell'incriminazione rispetto all'ambito segnato dal concorso di cause colpose indipendenti, coinvolgendo anche condotte atipiche, agevolatrici, incomplete, di semplice partecipazione, che per assumere concludente significato hanno bisogno di coniugarsi con altre condotte (Sez. 4, Sentenza n. 16978 del 12/02/2013), precisando che non è necessaria la consapevolezza della natura colposa dell'altrui condotta (Sez. 4, n. 49735 del 13/11/2014), essendo invece sufficiente la mera conoscenza dell'altrui partecipazione, intesa come consapevolezza del fatto che altri sono investiti in una determinata attività, con conseguente interazione rilevante anche sul piano cautelare, di talché ciascuno è tenuto a rapportare prudentemente la propria condotta a quella altrui (Sez. 4, Sentenza n. 15324 del 04/02/2016)”.

 

2. Posizione di G.G. (CSE)

La Cassazione accoglie il ricorso di G.G. per vizi di motivazione nella sentenza di appello. Si evidenzia che il giudice di secondo grado ha omesso di fornire una motivazione rafforzata per giustificare il ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado. La Corte richiama il principio secondo cui la responsabilità civile deve essere accertata mediante una valutazione logica e controfattuale adeguata.

 

Il giudice di primo grado aveva assolto il G.G., coordinatore per la sicurezza degli interventi in fase di esecuzione, “sul presupposto che i deficit organizzativi, pure riscontrati nella predisposizione del piano di sicurezza e coordinamento, erano stati riconosciuti eziologicamente irrilevanti alla luce degli elementi istruttori e tecnici acquisiti e dell'assorbente rilievo causale riconosciuto alla condotta del datore di lavoro, K.K., nella predisposizione del macchinario e nella formazione del personale adibito all'impiego dell'attrezzatura e alla imprudente condotta di lavoro attribuita al manovratore della gru”.

 

2.1. Principio generale applicato dalla Corte di Appello

La Corte di Appello ha fatto riferimento ai principi giuridici riguardanti il rapporto di causalità per determinare la responsabilità dell'imputato quando il giudizio è esclusivamente focalizzato sugli effetti civili. In particolare, la Corte ha applicato i criteri espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 182/2021 (caso "Gatti") relativi alla valutazione delle conseguenze civili in ipotesi di estinzione del reato per cause sopravvenute (ad esempio prescrizione o amnistia). Tali principi sono stati estesi alla fattispecie di impugnazione civile regolata dall'art. 576 c.p.p., pur non essendo in discussione un'estinzione del reato ma una pronuncia assolutoria.

 

2.2. Distinzione tra fattispecie

Nonostante le analogie, vi sono differenze sostanziali tra le situazioni considerate:

  • Nel caso sottoposto alla Corte di Appello, l’imputato G.G. era stato assolto sia agli effetti penali sia civili in primo grado.
  • Per ribaltare questa assoluzione, anche solo ai fini civili, era necessario applicare un criterio rigoroso, basato su una rivalutazione dettagliata dei fatti e delle prove, per dimostrare che le omissioni imputate a G.G. avessero un'incidenza causale prevalente ("più probabile che non") rispetto all'evento.

 

2.3. Obbligo di motivazione rafforzata

La Corte di Cassazione sottolinea che, in caso di riforma di una sentenza assolutoria, soprattutto in appello, è obbligatoria una motivazione rafforzata. Questa implica:

  • Una chiara rivalutazione dei fatti e delle prove rispetto al giudizio di primo grado.
  • Una spiegazione dettagliata delle ragioni per cui la prova acquisita assume una valenza dimostrativa diversa.
  • Una ricostruzione logica e giuridica superiore per giungere alla condanna, anche solo agli effetti civili.

Inoltre la Corte richiama sentenze precedenti che stabiliscono che:

  • La riforma di una sentenza assolutoria richiede una motivazione che superi ogni ragionevole dubbio, soprattutto quando non vi sono elementi nuovi (Cass., Sez. 6, n. 51898/2019; Sez. 4, n. 42868/2019).
  • In mancanza di nuovi elementi, una diversa valutazione del materiale probatorio rispetto al primo grado deve essere più convincente e coerente per giustificare il ribaltamento della decisione.

 

2.4. Valutazione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione rileva che la Corte di Appello non ha rispettato questi principi:

  • Non ha fornito una motivazione adeguata per giustificare il ribaltamento della pronuncia assolutoria.
  • Si è limitata a sostituire il criterio di causalità logica (richiesto in ambito penale) con quello probabilistico ("più probabile che non") senza una rivalutazione completa del compendio probatorio.
  • Ha omesso di confrontarsi con le argomentazioni del primo grado, mancando di chiarire in modo preciso e articolato la rilevanza causale delle omissioni imputate a G.G.

 

2.4.1. Difetti nel procedimento del giudice di appello

Il giudice di appello, secondo la Cassazione, ha agito in modo illegittimo poiché:

  • Non ha introdotto elementi nuovi o diversi rispetto a quanto emerso in primo grado.
  • Si è limitato a modificare il criterio di giudizio sulla causalità, passando dalla "probabilità logica" al criterio del "più probabile che non," senza approfondire o rivalutare i fatti.
  • Ha ignorato i profili causali già esclusi dal giudice di primo grado e non ha fornito motivazioni aggiuntive per giustificare il ribaltamento della sentenza.

 

2.4.2. Posizione del giudice di primo grado

Il primo giudice aveva sottolineato che:

  • Il coordinatore per la sicurezza (G.G.) ha una posizione di garanzia limitata agli obblighi previsti dall’art. 92 del D. Lgs. 81/2008, e la sua presenza non deve essere continua o giornaliera.
  • La responsabilità per l’infortunio era da attribuire principalmente alla violazione delle norme sull’uso della gru da parte del datore di lavoro (K.K.) e alla condotta negligente del manovratore (F.F.).
  • Le omissioni attribuite a G.G. non avevano un’incidenza causale specifica o rilevante nella determinazione dell’evento.

 

2.4.3. Errori nella motivazione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello ha:

  • Applicato un criterio probabilistico ("più probabile che non") senza chiarire come le carenze del Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) abbiano concorso causalmente all’evento.
  • Ignorato le argomentazioni del primo grado, basandosi su supposizioni relative all’assenza di cronoprogrammi e alle interferenze lavorative.
  • Fallito nel fornire una motivazione coerente per ribaltare l’assoluzione di G.G., mancando di un’analisi dettagliata del compendio probatorio e dei fatti rilevanti.

 

La Corte di Cassazione annulla la sentenza d’appello nei confronti di G.G. per gli effetti civili, rinviando il caso al giudice civile competente in grado di appello per un nuovo esame. Tale giudizio dovrà rispettare l’obbligo di motivazione completa e coerente, valutando nuovamente i fatti e le prove, rispettando l’obbligo di motivazione rafforzata e per aver basato il proprio giudizio civile su presunzioni prive di un’adeguata dimostrazione logico-giuridica.

 

3. Posizione di H.H. (Committente)

Il ricorso delle parti civili viene accolto in relazione alla posizione del committente H.H. La Cassazione rileva che i giudici di merito non hanno adeguatamente considerato gli obblighi di vigilanza e verifica imposti al committente dall’art. 90 del D.Lgs. 81/2008. Si evidenzia che il controllo sulle capacità tecnico-organizzative dell’appaltatore non può limitarsi a verifiche formali: “Il giudice di primo grado, nell'esaminare la posizione del committente H.H., cui erano rivolte una pluralità di contestazioni specifiche riconducibili agli artt. 93, commi 1 e 2 in relazione agli artt. 90, 91, 92 e 99 D.Lgs. 81/2008, nelle quali venivano indicate una serie di condotte omissive nella scelta del coordinatore dei lavori e della impresa appaltatrice, nonché nel mancato svolgimento di un'attività di supplenza e di coordinamento a fronte delle carenze organizzative evidenziate dalla stessa impresa appaltatrice, tollerate dal coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, si è limitato a escludere profili di colpa generica in capo al H.H. (Committente), in relazione alla scelta della impresa appaltatrice, ditta K.K., "la quale aveva senz'altro i requisiti necessari, quanto a competenze, mezzi e uomini, per portare avanti i lavori commissionati" (sentenza Tribunale di Brindisi pag. 24). La Corte di appello di Lecce, a fronte dei motivi di impugnazione proposti dalla difesa delle parti civili, come richiamati in corsivo nella premessa del ricorso per cassazione (da pag. 2 a pag. 15) ha poi statuito che, in relazione "alla più sfumata posizione di garanzia rivestita dal H.H., titolare dell'impresa committente, va esclusa la sua civile corresponsabilità perché non gli si possono muovere censure nella scelta della ditta appaltatrice (ditta K.K.) e della figura del G.G. quale coordinatore per la sicurezza e la salute in fase di progettazione e di esecuzione dei lavori". In sostanza il giudice di appello si è del tutto sottratto al sindacato dei temi di accusa evidenziati nel capo di imputazione, come riproposti nei motivi di appello e, anche con riferimento all'unico tema affrontato, quello della eventuale responsabilità del committente nella preliminare attività di selezione dell'impresa appaltatrice (di cui allo specifico onere contemplato dall'art. 90, comma 9 lett. a), D.Lgs. n. 81/2008), si muove in termini assertivi e del tutto distonici rispetto ai principi enunciati dalla giurisprudenza del S.C. al riguardo”.

 

Per questo motivo la Cassazione sottolinea che “l'affermazione della responsabilità del committente presuppone la verifica, in concreto, dell'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo (Sez. 4, n. 5946 del 18/12/2019, dep. 2020, Frusciante, ; Sez. 4, n. 27296 del 02/12/2016, Vettor, ; Sez. 4, n. 44131 del 15/07/2015, Heqimi, ; Sez. 4, n. 3563 del 18/1/2012, Marangio; Sez. 4, n. 37840 del 01/07/2009, Vecchi). Né può ritenersi che l'obbligo di verifica di cui all'art. 90, lett. a), D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, possa risolversi nel solo controllo dell'iscrizione dell'appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo (Sez. 4, n. 28728 del 22/09/2020, Oliveri). Per non incorrere nella violazione di legge denunciata, i giudici di merito quindi, avrebbero dovuto stabilire se il committente, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa prescelta, la sua capacità organizzativa, tenuto conto della pericolosità dei lavori affidati e delle attrezzature impiegate le quali, nella specie, sulla base degli elementi acquisiti, erano prive di documenti tecnici essenziali e sprovvisti di autorizzazione alla installazione, assicurandosi dell'effettiva disponibilità, da parte dell'appaltatore, dei necessari dispositivi di sicurezza. Avrebbe dovuto, inoltre, verificare la presenza o meno di situazioni di manifesto pericolo, pure percepibili direttamente dal committente-proprietario (presente in cantiere), e quindi tali da non poter essere ignorate (in questa prospettiva, cfr., anche Sez. 4, n. 23171 del 9/02/2016, Russo, non mass.) in ossequio alla disposizione di cui all'art. 93, commi 1 e 2 D.Lgs. n. 81/2008, che riconoscono al committente oneri di coordinamento e di intervento integrativi e complementari, pure in presenza di un responsabile dei lavori, ovvero del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione in presenza di rischi interferenziali”.

 

La Suprema Corte ricorda che “sul punto la giurisprudenza di legittimità è pacifica nel riconoscere la responsabilità del committente, quale titolare ex lege di una autonoma posizione di garanzia, idonea a fondare la sua responsabilità, sia per la scelta dell'impresa - essendo tenuto agli obblighi di verifica imposti dall'art. 90, comma nove, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008 - sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (Sez. 4, 9.2.2016, Russo e altro; 10.1.2018, Bozzi,) poiché l'obbligo di verifica di cui all'art. 90 cit. non può risolversi nel solo controllo dell'iscrizione dell'appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo (Sez. 4, n.28728 del 22/09/2020, Olivieri Gianfranco,)”.

 

In tal senso la Cassazione è perentoria nell'affermare la necessità di una verifica dell'idoneità tecnico-professionale non limitata al solo aspetto documentale“in materia di responsabilità colposa, il committente di lavori dati in appalto deve adeguare la sua condotta a due fondamentali regole di diligenza e prudenza: a) scegliere l'appaltatore e più in genere il soggetto al quale affidare l'incarico, accertando che la persona, alla quale si rivolge, sia non soltanto munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge [formali], ma anche della capacità tecnica e professionale [sostanziale], proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa (...)” [Cassazione Penale, Sez. 4, 19 aprile 2010, n. 15081].

 

A conferma di quanto sopra esposto soccorre anche il Ministero del lavoro in una risposta ad un quesito ha chiarito quanto segue:

Quali sono le modalità di valutazione della idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in caso di contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione?

La disciplina giuridica relativa alla valutazione della idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi risulta rinvenibile all’art. 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 81/2008, anche noto come “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro e, per il solo settore dei cantieri temporanei e mobili di cui al Titolo IV del citato “testo unico”, all’art. 97, comma 2, il quale opera uno specifico rinvio all’allegato XVII [e art. 90 c. 9 D.Lgs. n. 81/2008].

Ferma restando la disciplina per ultimo citata, va al riguardo rimarcato come la valutazione di cui all’art.26, comma 1, lettera a), è al momento effettuata attraverso la acquisizione del certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato della impresa o del lavoratore autonomo e mediante autocertificazione dei requisiti di idoneità tecnico professionale ai sensi dell’art. 47 del DPR 445/2000 secondo quanto previsto dall’art.26, comma 1, lettera a), d.lgs. n. 81/2008. Ciò fino a quando non verrà emanato il D.P.R. previsto dal combinato disposto degli articoli 6, comma 8, lettera g) e 27 del “testo unico”, il cui scopo principale è, appunto, individuare settori e criteri per la qualificazione delle imprese, in modo che, tra l’altro, sia possibile “misurare” – per mezzo di strumenti legati al riscontro del rispetto delle regole in materia di salute e sicurezza da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi – la idoneità tecnico professionale delle imprese o dei lavoratori autonomi.

 

Infine, si coglie l’occasione per rimarcare come l’obbligo per il datore di lavoro di valutare l’idoneità allo svolgimento dell’attività commissionata all’impresa appaltatrice, corrisponde comunque al principio generale in forza del quale ogni datore di lavoro è tenuto ad adottare ogni misura idonea a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei propri lavoratori (art. 2087 c.c.), tra le quali – ovviamente – rientra la scelta di imprese e lavoratori in grado di svolgere “in sicurezza” attività nei luoghi di lavoro di pertinenza del committente.

Pertanto, per quanto non sia possibile indicare in maniera puntuale e specifica le modalità di tale verifica da parte del soggetto obbligato, ciò che si richiede al datore di lavoro, che affidi lavori in appalto a imprese o lavoratori autonomi, è di operare una verifica non solo formale, ma seria e sostanziale, non realizzata solo in un’ottica economica, in ordine al possesso delle capacità professionali e della esperienza di coloro che sono chiamati ad operare nella azienda, nella unità produttiva o nel ciclo produttivo della medesima”.

 

Per tutti questi motivi la Corte di Cassazione:

  1. Rigetta il ricorso di F.F. (gruista), confermando la sua responsabilità penale.
  2. Annulla la sentenza nei confronti di G.G. (CSE) e H.H. (Committente) limitatamente agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per un nuovo giudizio.
  3. Condanna F.F. (gruista) al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese delle parti civili.

 

 

Rolando Dubini, penalista Foro di Milano, cassazionista

 

 

NB: Per il dettaglio della pronuncia della Corte di Cassazione si rimanda al testo integrale della sentenza inserita in Banca Dati.

 

 

Scarica la sentenza di riferimento:

Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, Sentenza n. 43717 del 29 novembre 2024 - Lavoratore schiacciato dal carico precipitato a causa di un improvviso cedimento della fune della gru a torre.

 



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