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Sulle responsabilità del datore in caso di mancata formazione antincendio

Sulle responsabilità del datore in caso di mancata formazione antincendio
Rolando Dubini

Autore: Rolando Dubini

Categoria: Sentenze commentate

17/03/2025

La Corte di Cassazione si esprime su ustioni causate da una mola e dalla mancata formazione antincendio. I compiti di prevenzione e protezione del Datore di lavoro e l’omessa o carente formazione.


«Il fulcro della questione attiene alla verifica dell’adeguata formazione e informazione del personale circa il rischio incendio, al fine di stabilire se la condotta del lavoratore infortunato sia da considerarsi abnorme o se, invece, risulti conseguenza della carenza di prevenzione e di istruzioni specifiche, imputabile al datore di lavoro.»

 

In queste poche righe la Corte riassume l’oggetto principale del giudizio: stabilire se sia stata rispettata la normativa in materia di sicurezza sul lavoro ( D.Lgs. 81/2008, in particolare) e chiarire se l’infortunio sia dovuto a una mancanza di formazione oppure a un comportamento totalmente imprevedibile del dipendente.

 



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Il fatto

Il 6 giugno 2017, nello stabilimento “XX Srl” un operaio, E.G., mentre tagliava un profilato metallico con una mola angolare, ha generato scintille che hanno colpito un contenitore di solvente posizionato su un ripiano sopra il banco di lavoro, innescando un incendio.

 

E.G., nel tentativo di evitare la propagazione delle fiamme, ha sollevato il contenitore in fiamme per portarlo fuori dal reparto. Il solvente, ormai incandescente, si è riversato sull’operaio, provocandogli “ustioni gravi sul 44% del corpo”.

 

La sentenza descrive così l’episodio:

«Il lavoratore, agendo d’impulso e in assenza di qualsiasi conoscenza sulle corrette procedure di intervento, ha tentato di allontanare il recipiente dal luogo di lavoro, subendo così la colata di solvente incandescente. La natura istintiva e priva di un’adeguata base informativa di tale reazione non può ritenersi inverosimile né del tutto imprevedibile.»

 

Motivi del ricorso

A.A., datore di lavoro e legale rappresentante di “XX Srl”, è stato condannato in primo grado e in appello per lesioni colpose. Nel ricorso in Cassazione ha lamentato quanto segue:

  1. vizio di motivazione sulla sussistenza del nesso di causalità, poiché la Corte di Appello “non abbia spiegato compiutamente quali obblighi formativi sarebbero stati violati e in che modo una formazione più specifica avrebbe potuto evitare l’infortunio”;
  2. condotta “abnorme” del lavoratore. Il ricorrente attribuisce la responsabilità al comportamento del dipendente, definito “irragionevole e non conforme alle normali procedure di sicurezza”, sostenendo che ciò interromperebbe il nesso causale tra eventuali inadempienze aziendali e l’evento lesivo;
  3. nel ricorso si citano precedenti sentenze che escluderebbero la responsabilità del datore di lavoro in caso di condotte “esorbitanti” del dipendente.

 

Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione, in quanto giudice di legittimità, non ha il compito di rivalutare nel merito i fatti accertati dai giudici di primo e secondo grado; la sua funzione principale consiste nel controllare la corretta applicazione della legge e la logica-giuridica della motivazione adottata nei precedenti gradi di giudizio.

 

Nella sentenza n. 4165 del 31 gennaio 2025, la Cassazione ha affermato che le “doglianze sollevate dal ricorrente non appaiono idonee a sollecitare una pronuncia della Corte su un’eventuale violazione o falsa applicazione di legge”. In sostanza i motivi di impugnazione riguardavano prevalentemente questioni di merito, cioè come i fatti fossero stati valutati dal giudice di Appello (ad esempio, la dinamica dell’incendio, la condotta del lavoratore, la valutazione delle prove testimoniali). Inoltre non venivano invece poste questioni nuove o rilevanti sul piano strettamente giuridico (ad esempio, un’interpretazione errata di una norma di legge, un contrasto con la giurisprudenza di legittimità, un vizio di motivazione “manifesto” o “contraddittorio” nella sentenza impugnata).

 

La Cassazione, quindi, non ha riscontrato un vizio di diritto tale da giustificare un intervento correttivo. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, senza che la Corte si addentrasse ulteriormente nella disamina del fatto.

 

Per comprendere questa decisione va descritta la distinzione tra questioni di merito e questioni di legittimità.

 

La Questione di merito riguarda la valutazione dei fatti, delle prove, delle testimonianze, la ricostruzione della dinamica dell’evento e l’attribuzione di responsabilità. Sono aspetti che competono in primo luogo al giudice di primo grado e, in secondo luogo, al giudice di appello.

 

La Questione di legittimità riguarda l’applicazione di norme di legge, l’interpretazione di disposizioni giuridiche o l’esistenza di vizi logici nella motivazione della sentenza (ad es. motivazione “illogica” o “contraddittoria”) che siano però rilevanti sotto il profilo giuridico.

 

La Cassazione interviene solo sulle questioni di legittimità, e non riconsidera nel merito fatti e prove già esaminati. Nel caso in esame, la Corte non ha ravvisato veri e propri vizi giuridici, bensì critiche rivolte alle conclusioni dei giudici di merito, di per sé non censurabili in sede di legittimità se la motivazione risulta coerente e logicamente sostenuta.

 

Nella stessa sentenza, peraltro, la Cassazione ha evidenziato un aspetto sostanziale (su cui l’Appello era stato chiaro): “l’omessa o carente formazione antincendio è una violazione sostanziale degli obblighi di prevenzione a carico del datore di lavoro”.

 

Questa puntualizzazione sottolinea che la formazione non può essere semplicemente generica ma deve riguardare i rischi specifici dell’attività svolta.

 

Il lavoratore, trovandosi improvvisamente di fronte a un principio d’incendio, potrebbe reagire in maniera istintiva, senza che ciò costituisca un comportamento “abnorme”.

 

Se manca un addestramento specifico, il lavoratore non sa come intervenire correttamente (ad esempio con l’ uso degli estintori, o seguendo procedure di sicurezza ben definite), finendo per scegliere una soluzione di “buon senso” ma pericolosa (come nel caso di prendere il contenitore in fiamme e correre all’esterno).

 

La nozione di condotta abnorme del lavoratore, cui spesso il datore di lavoro prova ad appellarsi, ricorre solo quando il lavoratore si discosti in modo del tutto imprevedibile e assolutamente estraneo alla normale esecuzione delle sue mansioni.

 

Nel caso di un incendio, la Cassazione ritiene che il tentativo di circoscrivere le fiamme (pur con modalità pericolose) non sia un’azione così bizzarra o imprevedibile da escludere la responsabilità del datore di lavoro.

 

È invece considerato “prevedibile” che un lavoratore, posto di fronte a un’emergenza non gestita con protocolli chiari, reagisca istintivamente.

 

Condanna al pagamento delle spese

Infine, la Cassazione ha confermato la condanna di A.A. alle spese processuali e al versamento di una somma alla Cassa delle Ammende, in ragione dell’inammissibilità del ricorso.

 

In conclusione, il principio ribadito dalla sentenza è che la formazione sulla sicurezza (specie quando si operi con sostanze infiammabili) non può essere trascurata o ritenuta solo un adempimento formale.

 

La Corte esclude che l’operaio abbia agito in modo del tutto estraneo alle sue mansioni: “la reazione, sebbene avventata, si colloca nel novero delle condotte tipiche di chi, in assenza di istruzioni, affronta l’emergenza come può”.     

 

L’inammissibilità è stata dichiarata perché “le censure non introducono questioni di diritto innovative né contestano in modo puntuale l’interpretazione delle norme antinfortunistiche”, limitandosi piuttosto a chiedere una rivalutazione dei fatti, che non è compito della Cassazione.

 

In conclusione, questa sentenza conferma in via definitiva la responsabilità del datore di lavoro per non aver garantito procedure e formazione adeguate, e fa chiarezza sul confine tra la condotta imprudente del dipendente e la mancanza di istruzioni specifiche da parte dell’azienda.

 

 

Rolando Dubini, penalista Foro di Milano, cassazionista

 

 

NB: Per il dettaglio della pronuncia della Corte di Cassazione si rimanda al testo integrale della sentenza inserita in Banca Dati.

 

 

Scarica la sentenza di riferimento:

Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, Sentenza n. 4165 del 31 gennaio 2025 - Ustioni sul luogo di lavoro causate da una mola e mancata formazione antincendio: compiti di prevenzione e protezione del datore di lavoro.

 



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Rispondi Autore: dg - likes: 0
17/03/2025 (09:06:36)
..a "il solvente incandescente" chimici, fisici e qualche ingegnere hanno accusato un malore...
Rispondi Autore: Giovanni Bersani - likes: 0
17/03/2025 (09:20:28)
Articolo interessante, non solo per le consuete analisi delle circostanze così come indicate nelle sentenze, ma anche per i sempre utili "ripassi" di giurisprudenza per chi ha un'istruzione tecnica, in questo caso con le differenze tra merito e legittimità :) Grazie
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
26/03/2025 (09:40:27)
Per solvente incandescente ovviamente la sentenza intende solvente in fiamme

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