Sulle responsabilità del datore di lavoro per un infortunio mortale
L’infortunio e la vicenda processuale
La vicenda processuale trae origine da un grave infortunio avvenuto il 7 dicembre 2010 in un cantiere di Manerba del Garda ove doveva essere costruita una villetta unifamiliare.
Ecco come un media locale (Bresciaoggi) descrisse l'evento.
«Muore sul lavoro per il crollo di un muro. Una fine atroce, una tragedia consumata quasi in silenzio in un cantiere edile vista lago. Una operazione che, da muratore e carpentiere esperto, aveva fatto probabilmente decine di volte, un lavoro in se non particolarmente pericoloso come togliere le gabbie realizzate per contenere le fondamenta di una casa.
Invece il muro costruito di fresco ha improvvisamente ceduto e lo ha travolto senza lasciargli scampo. È morto così, ieri mattina alle 10, in un cantiere di Manerba del Garda il 34enne Aldo C.. Nato a Chiari, viveva a Castelcovati con la moglie Elisa, la donna che ieri, qualche ora dopo il dramma, ha raggiunto il cantiere per vegliare il corpo del marito.
Tutto è successo in pochi istanti, senza che ci fosse il tempo per evitare la tragedia. Aldo C., con un altro muratore più giovane, stava lavorando alle fondamenta di una villetta unifamiliare in via Mazzini, in un'area con vista sulla Rocca di Manerba e il lago. Nel disarmare una parete in cemento, questa gli è crollata addosso colpendolo dal torace in giù. Forse la pioggia di questi, che ha reso il terreno sottostante meno compatto del solito, forse una distrazione o una manovra non convenzionale, certo è che il muro di cemento, non appena tolte le assi che lo tenevano assemblato al resto delle fondamenta, ha ceduto di schianto travolgendo l'uomo. Subito è scattato l'allarme: alle 10.08 dall'eliporto dell'Ospedale civile si è alzato in volo l'elicottero con una equipe di rianimazione, mentre in via Mazzini arrivavano i vigili del fuoco e le ambulanze dell'ospedale di Desenzano e dei volontari del Garda, anche perchè una prima segnalazione parlava di due persone rimaste coinvolte nel crollo della parete (oltre alla vittima l'altro muratore 18enne che stava lavorando con lui).
Arrivati in via Mazzini, i soccorritori hanno scoperto che sotto il muro era finito un solo operaio (l'altro si trovava distante e pur sotto choc ha rifiutato il ricovero), ma per lui non c'era più nulla da fare, le lesioni da schiacciamento erano state troppo gravi e Aldo C. era morto sul colpo.
Il cantiere è condotto dalla M. C. di Pralboino, ma i lavori per le fondamenta erano seguiti dalla B. C. di Castelcovati, la ditta per la quale lavorava il 34enne deceduto. Il suo corpo è stato coperto con un lenzuolo e ricomposto accanto al muro crollato. È toccato, poi, alla polizia locale della Valtenesi affiancata dai tecnici dell'Asl ricostruire la dinamica dell'incidente e al dottor Mario Restori, dell'Istituto di medicina legale di Brescia, stabilire le cause del decesso, che verranno approfondite nell'esame necroscopico che sarà disposto, come vuole la prassi, dalla Procura della Repubblica. Intanto davanti al cantiere di via Mazzini sono arrivati i genitori e la moglie di Aldo C., tra lacrime e disperazione hanno potuto solo attendere la fine dei rilievi e farsi spiegare la dinamica dell'incidente. Una fatalità per quello che le statistiche contano come il 15esimo morto sul lavoro nella nostra provincia da gennaio».
In cantiere erano esclusivamente presenti ed operavano gli operai della B.C. s.r.l., Aldo C. e Matteo B., unico testimone dei fatti che così li aveva ricostruiti: nel pomeriggio di venerdì 03/12/2010, il C., con l'aiuto del Matteo B., aveva gettato il calcestruzzo di tre bocche di lupo, due delle quali erano fra loro unite. Il giorno dell'infortunio i due operai dovevano procedere al disarmo delle bocche di lupo, operazione che richiedeva la rimozione dei pannelli di cassero nei quali il calcestruzzo era stato gettato. Poco prima dell'incidente, i due avevano disarmato la bocca di lupo singola, togliendo la casseratura laterale ma lasciando, al di sotto del manufatto, alcuni dei puntelli verticali che la sorreggevano; precisamente, il C. con l'utilizzo di un martello, rimuoveva i pannelli di cassero e li passava al teste, che si trovava al di sopra dello scavo. I due operai avevano poi iniziato a disarmare la bocca di lupo doppia, togliendo i puntelli laterali. Rimanendo all'interno dello scavo e passando al di sotto del manufatto, il C. si era spostato da un lato all'altro della bocca di lupo. Pochi secondi e questa crollava, piegando i puntelli sottostanti, abbattendosi sul C. e schiacciandolo contro il muro della casa in costruzione. Le lesioni riportate ne determinavano la morte immediata.
Le ragioni del crollo erano state ricostruite dai consulenti tecnici in maniera sostanzialmente convergente: il consulente tecnico del pubblico ministero, dopo i sopralluoghi nel cantiere, aveva affermato che erano già stati realizzati dalla B.C. s.r.l.- cui erano state appaltate le opere di carpenteria (quindi, le parti in calcestruzzo armato) - le fondazioni, i muri del piano interrato, situati al di sotto del livello del terreno e due bocche di lupo. Una di queste era ancora puntellata e collegata alla parete perimetrale mentre l'altra era crollata contro lo scavo. Le bocche di lupo erano in calcestruzzo armato ossia in calcestruzzo con all'interno ferri di armatura che servivano ad ancorare le stesse alle pareti perimetrali. Il c.t. aveva verificato che i ferri della bocca di lupo crollata, di lunghezza pari a 64 cm. e diametro di 8 mm., erano quasi interamente inseriti nella bocca di lupo e fuoriuscivano dalla stessa (e, quindi, prima del crollo, penetravano nel muro perimetrale) di soli 4 cm. Il medesimo consulente aveva spiegato che lo scavo presente in cantiere aveva raggiunto la quota di posa delle fondazioni anche in corrispondenza delle bocche di lupo e che, successivamente, non era stato riportato terreno in quel punto: la bocca di lupo era, pertanto, sollevata dal terreno per mezzo di puntelli verticali, alcuni dei quali appoggiati su tavole di legno, altri sul terreno stesso.
Durante le operazioni di rimozione dei puntelli laterali, quando Aldo C. si trovava al di sotto del manufatto, alcuni puntelli verticali avevano ceduto facendo venir meno l'indispensabile appoggio, con conseguente crollo della bocca di lupo. I ferri di collegamento tra i tre setti verticali di questa e la parete perimetrale in calcestruzzo della villetta non erano assolutamente in grado di resistere all'azione tagliante e all'azione flettente della bocca di lupo a sbalzo dalla parete, in assenza di un appoggio inferiore e ciò in quanto i collegamenti non erano stati inseriti nelle pareti perimetrali prima del loro getto, ma erano stati realizzati con bare da 8 mm. di diametro ad aderenza migliorata, inserite a secco nella parete laterale preventivamente forata con un trapano con punta da 8-10 m. per una profondità di circa 100 mm. Le azioni sollecitanti sulle armature di collegamento, causate dal peso elevato della bocca di lupo, avrebbero richiesto un maggior quantitativo di armatura ma, soprattutto, un adeguato ancoraggio della stessa. La modesta differenza tra il diametro del foro (8-10 mm.) e il diametro del ferro (8-9 mm.) non aveva consentito il totale inserimento del ferro di collegamento, che era ancorato per circa 30-40 mm. Inoltre, le armature di collegamento erano state inserite "a secco" nella parete, senza l'ausilio di collanti.
Il consulente dell'accusa aveva affermato che l'inserimento a secco rappresenta una tecnica non adatta all'ancoraggio delle armature di collegamento tra getti separati in quanto l'unica forza resistente all'estrazione si basa sul modestissimo attrito tra la superficie della barra e la superficie di calcestruzzo del foro. La ridotta lunghezza dell'ancoraggio, ben inferiore alla minima richiesta dalla normativa tecnica quando le armature sono inserite prima del getto di calcestruzzo, avrebbe vanificato anche l'uso di armature di collegamento di maggior diametro.
La bocca di lupo era, pertanto, crollata a causa della insufficienza lunghezza di ancoraggio delle armature di collegamento le quali avevano un diametro modestissimo (8 mm.). Il consulente aveva poi precisato che, dai disegni architettonici, risultava che le bocche di lupo dovevano essere appoggiate direttamente sul terreno ad una quota superiore a quella dei muri perimetrali. Tali disegni prevedevano, quindi, uno scavo di circa 3 metri per realizzare le pareti perimetrali e un riempimento parziale di un metro circa fino alla quota di posa delle bocche di lupo e poi l'appoggio delle stesse sul riempimento. In cantiere, invece, era stato effettuato uno scavo sino alla quota di posa delle fondazioni perimetrali anche per l'area sottostante le bocche di lupo e non era stato eseguito il riempimento con terreno in corrispondenza di tali manufatti prima della loro costruzione. Le bocche di lupo erano dunque sostenute da puntelli in acciaio e da una superficie piana di cassero. Inoltre, mentre nel progetto architettonico erano previste tre bocche di lupo, una di lunghezza pari a 2 metri e altre due, vicine tra loro, di metri 2 e 1,70, solo la prima era stata realizzata con le misure indicate nel progetto; le altre due, invece, erano state accorpate in un unico manufatto (quello crollato) con una nervatura centrale.
Il Tribunale di Brescia ha definito, come segue, posizione di garanzia, obblighi e responsabilità dei diversi imputati.
Coordinatore per la sicurezza durante l’esecuzione, assolto
Nel processo avanti il Tribunale Penale di Brescia (Sentenza 1277 del 26.3.2015 inedita) era stato incriminato anche il Coordinatore di Cantiere, difeso dallo scrivente avv. Rolando Dubini, del Foro di Milano, e dalla Collega Licia Colombo, del Foro di Varese,
- per non aver verificato, mediante opportune azioni di coordinamento e controllo. le effettive ed inidonee modalità di realizzazione delle bocche di lupo messe in atto dall'impresa M.C. e B.C. srl. Nell'aver altresì omesso di adeguare il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) alla nuova condizione operativa che prevedeva la realizzazione di tali manufatti dopo il completamento delle pareti perimetrali dell'interrato, non sospendendo i lavori al fine di inserire nell'ambito del suddetto PSC le misure di prevenzione e protezione relative alla fase di realizzazione-ancoraggio-disarmo delle bocche di lupo (art. 92 comma 1 lettere a e b T.U. 81/2008).
Ma l’organo di vigilanza della ASL non aveva contestato mai tale violazione al coordinatore, perché l'upg aveva testualmente dichiarato in udienza “di avere difficoltà a distinguere i ruoli”.
La tesi della difesa, che è stata accolta dal giudicante, è che nulla essendo stato contestato all’imputato con verbale di prescrizione ai sensi e agli effetti del dlgs 758/1994, non poteva contestarsi il concorso proprio nell’omicidio colposo del lavoratore così tragicamente deceduto.
Il D.Lgs. n. 81/2008 regola dettagliatamente gli obblighi del CSE, e questi sono i due commi addebitati al CSE:
Articolo 92 - Obblighi del coordinatore per l’esecuzione dei lavori
1. Durante la realizzazione dell’opera, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori:
a) verifica, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100 ove previsto e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro;
b) verifica l'idoneità del piano operativo di sicurezza, da considerare come piano complementare di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento di cui all'articolo 100, assicurandone la coerenza con quest'ultimo, ove previsto, adegua il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 100 ove previsto, e il fascicolo di cui all'articolo 91, comma 1, lettera b), in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, verifica che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza.
Il Tribunale ha accolto gli argomenti di questa difesa:
Sulla scorta degli artt. 91 e 92 T.U. 81/2008, che fissano i doveri che incombono sul coordinatore, va rilevato che compito di tale figura è quello di redigere il piano di sicurezza e di coordinamento ed il fascicolo delle informazioni per la prevenzione e protezione dai rischi di cui all'art. 91, comma 1, lettera b); coordinare e controllare l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza redatto dal datore di lavoro dell'impresa esecutrice; organizzare la cooperazione ed il coordinamento delle attività all'intemo del cantiere; segnalare al committente o al responsabile dei lavori le inosservanze delle disposizioni di legge riferite ai datori di lavoro o ai lavoratori autonomi.
Il coordinatore per la progettazione e l'esecuzione ha, pertanto, come chiarito da condivisibile giurisprudenza della Suprema Corte, una funzione di generale alta vigilanza, che non si confonde con quella operativa demandata al datore di lavoro ed alle figure che da esso ricevono poteri e doveri (dirigente e proposto). Tanto che il coordinatore assolve le proprie funzioni in modo formalizzato, con contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi delle irregolarità riscontrate per ciò che riguarda la violazione dei loro doveri tipici (previsti dagli artt. 94,95, 96 e 97) e di quelli afferenti all'inosservanza del piano di sicurezza e di coordinamento e mediante segnalazione al committente delle irregolarità riscontrate. Solo nel caso di imminente e grave pericolo direttamente riscontrato è consentita al coordinatore la immediata sospensione dei lavori (art. 92, comma 1, lett.f). Il coordinatore in fase di esecuzione ha, pertanto, un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale, stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative. Non si esige, quindi, dal coordinatore un controllo continuativo che si sovrapponga o si sostituisca a quello del datore di lavoro o del suo preposto (Cfr. Cass.sez. IV, 28 maggio/13 settembre 2013, n.37738).
Delimitato il ruolo del coordinatore[in conformità agli obblighi che gli competono a norma di legge], è da escludersi che al Coordinatore possa essere addebitato di non aver adeguato il Piano di Sicurezza e coordinamento alla nuova condizione operativa, atteso che il progetto architettonico prevedeva bocche di lupo appoggiate sul terreno e non risulta che il Coordinatore CSE (il quale lo ha escluso) fosse stato informato in merito all'intenzione di realizzare le opere con differenti modalità; o di aver omesso di verificare le effettive modalità di realizzazione delle bocche di lupo da parte dell'impresa esecutrice, non essendo tenuto, per quanto sopra esposto, ad una costante presenza e vigilanza in cantiere e non potendo, pertanto, essergli rimproverata la sua assenza dal luogo di lavoro nel giorno del getto delle bocche di lupo; o di non aver disposto la sospensione dei lavori, atteso che il brevissimo lasso temporale intercorso tra getto delle bocche di lupo e disarmo non gli consentì di riscontrare direttamente la sussistenza del grave pericolo che avrebbe imposto la sospensione.
Va esclusa, nel caso di specie, la responsabilità del CSE, non essendo possibile addebitare inadempienze al coordinatore per la progettazione e l'esecuzione dei lavori, in nesso causale con l’infortunio, derivanti dall’omessa verifica, da parte del responsabile dei lavori, dei compiti tecnici affidati al coordinatore stesso.
Direttore dei lavori e responsabile dei lavori, assolto
[Per quanto attiene] la veste di direttore dei lavori nominato dal committente, va notato che tale qualifica, non contemplata nel T.U. 81/2008, non comporta automaticamente la responsabilità per la sicurezza sul lavoro, ben potendo l’incarico di direttore limitarsi alla sorveglianza tecnica attinente alla esecuzione del progetto secondo gli accordi contrattuali intervenuti tra le parti.
Il ... responsabile dei lavori, soggetto definito dall’art.89, comma 1, lettera c) T.U. 81/2008 [è] ... colui che “può essere incaricato dal committente per svolgere i compiti ad esso attribuiti dal presente decreto”. Trattasi degli obblighi elencati dall’art.90, che richiedono conoscenze tecniche elevate, sicché è previsto che il responsabile dei lavori si avvalga della cooperazione di soggetti qualificati in possesso dei requisiti di cui all’art.98 T.U., vale a dire del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione dei lavori. Secondo il disposto di cui all’art.93, comma 2, la designazione di tali coordinatori può esonerare da responsabilità il committente o il responsabile dei lavori, tranne per quanto riguarda la verifica della redazione del piano di sicurezza e coordinamento e della predisposizione del fascicolo di cui all’art.91, comma 1, lettera b) e per quanto attiene alla vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento delle attività di coordinamento e controllo indicate dall’art.92.
Il responsabile dei lavori designato dal committente, pertanto, ha un ruolo di alta vigilanza sull’attività del cantiere che può essere delegato ai coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori con i suddetti limiti.
Il responsabile dei lavori, in caso di designazione dei coordinatori per la sicurezza, non ha, pertanto, l’onere di verificare personalmente, con azioni ispettive, la situazione del cantiere, svolgendo un’attività di controllo delle lavorazioni in corso, ma ha il limitato ruolo di verificare l’adempimento, da parte dei tecnici nominati, dei compiti di generale e formalizzato controllo delle lavorazioni (cfr. sentenza della Suprema Corte sopra citata n.37738/2013).
L'art.96, comma 1, lettera g) T.U. 81/2008 dispone che i datori di lavoro delle imprese affidatane e delle imprese esecutrici redigono il piano operativo di sicurezza di cui all'art.89, comma 1, lettera h). Appare, tuttavia, evidente come i suddetti datori di lavoro siano tenuti alla valutazione dei rischi ed alla elaborazione del relativo documento, con l'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione ed i contenuti riportati nell'allegato XV, ciascuno in relazione a lavori ed opere di pertinenza della propria ditta, dovendosi escludere che per i medesimi lavori ed opere debbano essere redatti due distinti documenti sovrapponibili da parte della impresa affidataria e dell'impresa esecutrice.
Né è emerso in dibattimento, atteso che nessuno dei testi escussi e dei coimputati l’ha dichiarato, che il Responsabile dei lavori designato dal Committente avesse acconsentito alla realizzazione delle bocche di lupo con il metodo, difforme dal progetto, sopra descritto, o che ne fosse stato messo al corrente o che avesse autorizzato il loro disarmo.
Datore di lavoro dell’impresa affidataria, assolto
La costruzione delle bocche di lupo, nel caso in esame, era stata subappaltata alla società appaltatrice, non era onere della impresa affidataria indicare nel proprio POS le misure di prevenzione e protezione relative ai lavori affidati in via esclusiva alla subappaltatrice.
Ma anche a voler prescindere dalla suddetta impostazione, non vi è alcun elemento dal quale possa desumersi che il datore di lavoro della società affidataria fosse stato preventivamente informato o avesse avuto notizia del fatto che le bocche di lupo sarebbero state realizzate dalla ditta esecutrice dei lavori con modalità difformi rispetto al progetto, né che avesse accettato o tollerato la costruzione di tali manufatti a sbalzo. Non può, quindi, ascriversi all’imputato di non aver indicato nel POS misure di prevenzione e protezione relative alle fasi di realizzazione, installazione e disarmo di manufatti sopraelevati rispetto al terreno, trattandosi di opere non preventivate e non indicate nel progetto ed eseguite disattendendo i disegni tecnici, per quanto consta, a sua insaputa.
Preposto impresa affidataria, assolto
Passando alla posizione del preposto dell’impresa Affidataria, questi in dibattimento ha dichiarato che, dipendente della società affidataria, con inquadramento di operaio tecnico di II livello, le sue mansioni consistevano nel seguire i cantieri per conto dell’affidataria e di occuparsi delle pratiche di tale azienda. Ha, quindi, riferito che all’epoca del fatto gestiva, per conto della propria datrice di lavoro, oltre al cantiere dell’infortunio, altri cinque cantieri non con funzioni di preposto, ma di direttore tecnico, occupandosi di seguire i dipendenti della affidataria dal punto di vista burocratico e contabile e della fornitura dei materiali.
Detto preposto ha, quindi, sostenuto che era al corrente dell'esistenza di un disegno tecnico nel quale le bocche di lupo erano appoggiate al terreno e che nessuno, né l’infortunato, né altri, l'avevano informato del fatto che sarebbero state realizzate a sbalzo. Ha altresì affermato che egli, nei cantieri in cui lavoravano operai dell’affidataria, si occupava anche della sicurezza di tali dipendenti, coordinandosi con le altre figure, ma che non aveva analoghi compiti nel cantiere dell’infortunio, Difatti non risulta che l'imputato, nel suddetto cantiere, di fatto si occupasse di questioni inerenti la sicurezza dei dipendenti della ditta subappaltatrice.
Nel piano operativo di sicurezza della ditta affidataria è allegato un atto con il datore di lavoro che nominava preposto del cantiere l’imputato. Tuttavia tale nomina non risulta sottoscritta né dal datore di lavoro né dall’imputato per accettazione. Non può dirsi, quindi, che all’imputato fosse stato formalmente attribuito l'incarico di sovraintendere alla attività lavorativa dei dipendenti della ditta affidataria.
Lo stesso datore di lavoro dell’imputato supposto preposto ha riferito che questi aveva l'incarico di “gestire la commessa” e, quindi, di ordinare i materiali necessari e seguire l'andamento dei lavori al fine di verificare, in nome e per conto dell’impresa affidataria, che le opere venissero realizzate come da contratto ed in conformità al progetto.
Il datore di lavoro dell’imputato ha, altresì, confermato che il supposto preposto non aveva un obbligo di presenza quotidiana nel cantiere luogo dell’infortunio mortale e che i suoi accessi sul cantiere erano legati a richieste provenienti dalla ditta esecutrice dei lavori, o del direttore e responsabile dei lavori, quando ciò si rendeva necessario per il prosieguo dei lavori.
Va, quindi, rilevato che non risulta che l’imputato, prima della realizzazione delle bocche di lupo, fosse stato interpellato, in merito, dal datore di lavoro o dagli operai della ditta esecutrice o da altri, né che fosse stato informato del fatto che nel pomeriggio del 3 dicembre 2010 si sarebbe proceduto alla costruzione delle bocche di lupo.
Non può, quindi, addebitarsi all'imputato di non aver verificato l'inidoneità del sistema di ancoraggio delle bocche di lupo e delle puntellature verticali sottostanti i manufatti, della cui realizzazione non era al corrente.
Datore di lavoro dell’impresa esecutrice e dell’infortunato, condannato
Con riguardo alla posizione del datore di lavoro del deceduto ed amministratore unico della società esecutrice, impresa in subappalto alla società appaltatrice a seguito di contratto di sub-appalto del 2010 il quale, rendendo spontanee dichiarazioni, ha replicato alle affermazioni dei consulenti tecnici limitandosi ad affermare che a volte, nei cantieri, i getti di calcestruzzo sono eseguiti anche quando piove, e che, comunque, il giorno in cui era accaduto l'incidente, non pioveva, vanno preliminarmente ripercorse le dichiarazioni rese dai dipendenti della ditta appaltatrice inerenti le capacità lavorative del deceduto e l'organizzazione delia ditta esecutrice con riguardo all'andamento dei lavori nei cantieri.
Il teste carpentiere e capocantiere presso l’impresa esecutrice dagli anni 2005/2006, ha dichiarato di aver conosciuto l’infortunato per avere con lui lavorato, qualche giorno, su un cantiere gestito dallo stesso infortunato, e di aver potuto constatare che era operaio esperto.
Il teste ha poi riferito che per prassi consolidata esistente anche all’epoca del fatto i capocantieri della ditta esecutrice tutte le sere, al rientro dal lavoro, si recano nel capannone della ditta, descrivono per iscritto i lavori eseguiti durante la giornata, illustrano al datore di lavoro, che è presente, ciò che è stato fatto nonché i lavori che saranno realizzati nei giorni seguenti, e, inoltre, ricevono dal datore di lavoro spiegazioni e consigli sia in tali occasioni che durante l'esecuzione delle opere, contattandolo per telefono. Il teste ha, quindi, riferito che i capocantieri non possono assumere iniziative autonome senza consultarsi preliminarmente col datore di lavoro ed ha aggiunto che anche l’infortunato, al rientro dal lavoro, come tutti, si incontrava con il proprio datore di lavoro nel capannone della ditta esecutrice.
Anche il capocantiere alle dipendenze del datore di lavoro della ditta esecutrice, dopo aver riferito che il C. era carpentiere esperto, ha reso dichiarazioni analoghe a quelle del teste carpentiere con riguardo agli incontri serali quotidiani fra i capocantieri e il datore di lavoro dell’impresa esecutrice ed alle telefonate diurne finalizzati a chiarire, con il datore di lavoro stesso, le modalità con le quali procedere nei lavori, “perchè non possiamo decidere noi”.
A sua volta altro teste dipendente della ditta esecutrice, dopo aver riferito che l’infortunato era carpentiere esperto, con il quale egli aveva lavorato per tre o quattro mesi in un cantiere in cui aveva il ruolo di capocantiere, ha affermato di sapere che al rientro dal lavoro, tutte le sere, l’infortunato si incontrava con il suo datore di lavoro (impresa esecutrice) nel magazzino della ditta.
Alla stregua di tali risultanze, non essendovi alcun elemento dal quale potersi inferire che l’infortunato si sia discostato dalla consuetudine di incontrare ogni sera il proprio datore di lavoro ai fini della programmazione del lavoro ed allo scopo di riferirgli le opere eseguite e le modalità operative adottate nonché di consultarlo telefonicamente durante il giorno, deve ritenersi che ciò sia avvenuto anche per i lavori eseguiti nel luogo dell’incidente mortale e che, pertanto, il datore di lavoro dell’impresa esecutrice fosse al corrente del fatto che 4 giorni prima dell’infortunio sarebbero state realizzate le bocche di lupo, e, in seguito, che i manufatti erano stati costruiti con le modalità sopra descritte, difformi da quelle progettate, e che il giorno dell’infortunio l’infortunato avrebbe proceduto al disarmo.
Il datore di lavoro avrebbe dovuto, pertanto, disporre e pretendere che le bocche di lupo fossero costruite in conformità al progetto impartendo specifiche disposizioni in merito, vietare differenti modalità operative, ordinare e verificare la predisposizione di idoneo terrapieno e, a costruzione avvenuta, la correttezza o meno della esecuzione dei manufatti, prima che gli operai eseguissero il disarmo.
Appare, altresì, implausibile, alla luce delle dichiarazioni dei testi concernenti la professionalità dell’infortunato e l’esistenza della suddetta prassi aziendale, che non ammetteva l’assunzione di iniziative senza interpellare il datore di lavoro, che il lavoratore, pur avendo ricevuto ordini ed istruzioni specifici che gli imponevano la realizzazione dei manufatti come da progetto, li abbia, senza ragione alcuna, disattesi, decidendo autonomamente di discostarsene.
Di talché deve ritenersi o che il datore di lavoro dell’ impresa esecutrice avesse ordinato al lavoratore infortunato di realizzare le bocche di lupo a sbalzo, o che non avesse fornito al dipendente precise disposizioni in merito, in entrambi i casi astenendosi poi dal controllare le modalità di esecuzione delle opere ed in tal modo consentendo che i manufatti fossero realizzati con ancoraggi inadeguati, puntellatura verticale inidonea ed insufficiente, anche tenuto conto delle infiltrazioni di acqua nel terreno; tanto in violazione: dell’art.141 T.U. 81/2008, secondo cui “durante la costruzione o il consolidamento ... di opere sporgenti dai muri, devono essere adottate precauzioni per impedirne la caduta, ponendo armature provvisorie atte a sostenerle fino a che la stabilità dell'opera sia completamente assicurata”; dell’art.143, tale per cui prima della posa delle armature di sostegno delle opere contemplate dall’art.142 (che riguarda anche le opere sporgenti dal muro) “è fatto obbligo di assicurarsi della resistenza del terreno o delle strutture sulle quali esse debbono poggiare, in modo da prevenire cedimenti delle armature stesse o delle strutture sottostanti, con particolare riguardo a possibili degradazioni per presenza d'acqua dell’art. 144, comma 2, che impone la opportuna distribuzione del carico gravante al piede dei puntelli di sostegno.
Ma anche diversamente opinando, e cioè anche a voler ritenere che il datore di lavoro dell’impresa esecutrice avesse impartito precise disposizioni in linea con il progetto, va in ogni caso addebitato all’imputato di aver omesso, a costruzione avvenuta, di vagliare la bontà o meno dell’operato del C. e di non avere, conseguentemente, impedito l'esecuzione del disarmo.
In definitiva, anche in tal caso, qualora il datore di lavoro dell’ impresa esecutrice si fosse attenuto alla consuetudine che egli stesso aveva instaurato presso la propria azienda (corretta in quanto espressione dei poteri/ doveri datoriali di direzione e controllo), di confronto quotidiano con i propri capocantieri, volto all’acquisizione di informazioni relative alle opere giornalmente realizzate ed alla programmazione dei lavori da eseguirsi nei giorni seguenti e finalizzato ad impartire ai dipendenti direttive e spiegazioni ed a consigliarli, e, quindi, anche a correggere eventuali errori dagli stessi compiuti, l’incidente non si sarebbe verificato. Il datore di lavoro dell’impresa esecutrice, infatti, avrebbe dovuto assicurarsi che i lavori fossero stati eseguiti correttamente e, quindi, dopo la realizzazione dei manufatti, aveva il dovere di pretendere delucidazioni, controllare che il lavoratore infortunato si fosse attenuto agli ordini ricevuti e, una volta appresa, nell'interlocuzione con il proprio capocantiere e/o mediante ispezione, che i manufatti erano stati costruiti a sbalzo, procedere alla verifica della loro stabilità; attività che gli avrebbe consentito di constatare le difformità dal progetto e la precarietà delle bocche di lupo, poiché sostenute da puntelli che poggiavano direttamente su terreno cedevole ed ancorate a secco al muro perimetrale, nonché di accertare, interpellando il lavoratore infortunato in merito, l’inidoneità degli ancoraggi. Di conseguenza avrebbe dovuto porvi rimedio, eventualmente ordinando la creazione di terrapieno a sostegno dei manufatti e, soprattutto, vietarne il disarmo.
Va, quindi, quantomeno addebitato all’imputato datore di lavoro dell’impresa esecutrice un difetto del dovere di vigilanza e controllo del proprio dipendente causalmente in nesso con l’infortunio, atteso che, qualora esercitato, avrebbe scongiurato l’evento.
Non può affermarsi che anche il datore di lavoro dell’impresa esecutrice, come i coimputati, non avesse la possibilità di intervenire in ragione del breve tempo intercorso fra costruzione dei manufatti e disarmo, proprio perché mediante la suddetta prassi era in grado di acquisire notizie quotidiane sull'andamento dei lavori e considerato che, in ogni caso, aveva l’onere di acquisirle dal proprio capocantiere o autonomamente: sul datore di lavoro, quale garante della incolumità fisica dei prestatori di lavoro, incombono, infatti stringenti doveri di direzione, controllo e vigilanza dei dipendenti, da esercitarsi assiduamente, pressantemente e con particolare scrupolo.
Obblighi, evidentemente, non assolti nel caso di specie, in cui non vi fu alcun accertamento da parte del datore di lavoro dell’impresa esecutrice in ordine ai lavori che il lavoratore infortunato aveva realizzato ed alla possibilità o meno di procedere, in sicurezza, alla rimozione di puntellature e casseri.
Neppure può farsi leva, ai fini della esclusione della responsabilità penale del prevenuto, sulla condotta imprudente del lavoratore, che passò al di sotto del manufatto al fine di portarsi da un lato all’altro dello stesso quando avrebbe potuto evitarlo utilizzando scale a pioli collocate ai lati della bocca di lupo per uscire dalla fossa e rientrarvi senza transitare in zona pericolosa , atteso che le norme di prevenzione mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia. Né il comportamento del lavoratore può reputarsi abnorme e, quindi, imprevedibile, essendosi egli limitato a compiere manovre funzionali allo svolgimento della propria attività lavorativa.
Va, pertanto, affermata la penale responsabilità del datore di lavoro dell’ impresa esecutrice, pacificamente legale rappresentate della stessa e datore di lavoro dell’infortunato, in ordine al reato a lui ascritto.
Venendo al trattamento sanzionatorio, non sussistono ragioni per concedere all’imputato attenuanti generiche, in mancanza di elementi positivi valutabili in suo favore e non potendo per legge valorizzarsi il solo dato della incensuratezza.
E’, invece, concedibile l’attenuante di cui all’art.62 n.6 c.p., in ragione dell’intervenuto integrale risarcimento del danno in favore della moglie della vittima (in misura pari ad € 310.000,00) e in favore dell’INAIL (nella misura di € 160.000,00), come da quietanze in atti.
La responsabilità esclusiva del datore di lavoro dell’impresa esecutrice è stata in seguito confermata in via definitiva dalla suprema corte con sentenza Cassazione Penale, Sez. 4, 20 marzo 2019, n. 12390 nella quale sono stati affermati i seguenti principi di diritto:
“La eventuale imprudenza del lavoratore non elide il nesso di causalità allorché l'incidente si verifichi a causa del lavoro svolto e per l'inadeguatezza delle misure di prevenzione. È evidente, infatti, che la prospettazione di una causa di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente del lavoratore, non rileva allorché chi la invoca versa in re illicita, per non avere negligentemente impedito l'evento lesivo, che è conseguito, nella specie, dall'avere la vittima operato in condizioni di rischio note all'azienda e non eliminate da chi rivestiva la posizione di garanzia. Chi è responsabile della sicurezza del lavoro deve avere sensibilità tale da rendersi interprete, in via di prevedibilità, del comportamento altrui. È il cosiddetto "doppio aspetto della colpa", secondo cui si risponde sia per colpa diretta sia per colpa indiretta, una volta che l'incidente dipende dal comportamento dell'agente, che invoca a sua discriminante la responsabilità altrui. È da osservare, peraltro, che la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalle sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze alle istruzioni o prassi raccomandate, purché connesse allo svolgimento dell'attività lavorativa. È stato condivisibilmente affermato in giurisprudenza che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondursi anche alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento.
In tema di infortuni sul lavoro, sussiste la responsabilità, dell'imprenditore o datore di lavoro, qualora quest'ultimo, pur avendo nominato un preposto, non abbia riservato a se soltanto funzioni amministrative, ma abbia continuato ad ingerirsi nella esecuzione dell'opera (Sez. 4, Sentenza n. 2699 del 05/12/1983 - dep. 22/03/1984 - Albano, Rv. 163316).
In giurisprudenza è ammessa la motivazione implicita, nel senso che il giudice di merito, per giustificare la decisione, non deve prendere in esame tutte le tematiche prospettate e le argomentazioni formulate dalle parti ma solo quelle ritenute essenziali per la formazione del suo convincimento, dovendosi considerare implicitamente disattese, alla stregua della struttura argomentativa della sentenza, le prospettazioni di parte non menzionate. In sede di legittimità, pertanto, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione formulata con il gravame allorché la stessa debba considerarsi disattesa sulla base della motivazione della sentenza, complessivamente considerata. Non è dunque necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere il vizio, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca implicitamente alla reiezione della deduzione difensiva.
Sicché ove il provvedimento indichi, con adeguatezza e logicità, quali circostanze ed emergenze processuali si siano rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice sì da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del vizio di preterizione (Sez. 2, sent. n. 29434 del 19/05/2004, Candiano e altri, Rv. 229220)”.
Rolando Dubini, avvocato in Milano
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