Sulla responsabilità per una macchina priva dei requisiti di sicurezza
È un’altra sentenza questa da inserire fra quelle sulla sicurezza delle macchine perché riguarda l’infortunio di un lavoratore accaduto in una azienda tessile rimasto mortalmente intrappolato, inizialmente con una mano e poi con il resto del corpo, in un macchinario fra un rullo e il tessuto in fase di avvolgimento.
La colpa addebitata al datore di lavoro dell’azienda era consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in nesso di causa con l'infortunio per averne determinato l'accadimento. La macchina presso la quale era avvenuto l’infortunio non era risultata dotata di sistemi di protezione atti ad eliminare i rischi meccanici di trascinamento e di intrappolamento dovuti agli elementi in movimento e era risultata non rispondente ai requisiti e alle disposizioni legislative nazionali di recepimento delle direttive comunitarie. La Cassazione nel decidere sul ricorso presentato dall’imputata ha richiamato un principio più volte citato in altre precedenti sentenze riguardanti la individuazione della responsabilità nel caso che l’infortunio sul lavoro fosse risultato legato alla mancata sicurezza delle macchine.
La eventuale responsabilità del costruttore di un macchinario, ha precisato in merito la suprema Corte, nel caso in cui l'evento dannoso sia stato provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione dello stesso, non esclude comunque la responsabilità del datore di lavoro che lo utilizza, gravando infatti su di esso l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori. A detta regola, ha aggiunto la suprema Corte, può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un suo vizio di progettazione o di costruzione sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza.
Il fatto, le sentenze di condanna e il ricorso per cassazione
Il GIP del Tribunale, all'esito del giudizio abbreviato, ha condannato il Presidente del C.d.A. di una società alla pena di un anno di reclusione poiché ritenuta responsabile del delitto di cui agli artt. 589, commi 1 e 2, e 40, comma 2, c.p., per avere cagionato per colpa, quale datore di lavoro, il decesso di un lavoratore dipendente con la qualifica di operaio tessitore rimasto infortunato presso una macchina tessitrice della propria azienda. Il lavoratore, al momento dell'infortunio si trovava in particolare in corrispondenza di un gruppo della macchina, costituito essenzialmente da cilindri rotanti aventi la funzione di favorire lo scorrimento di un tessuto in lavorazione allorquando è rimasto intrappolato, inizialmente con una mano, poi con il resto del corpo, fra un cilindro e il tessuto che si stava avvolgendo sullo stesso.
La colpa dell'imputata sarebbe consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in nesso di causa con l'infortunio in quanto ne avevano determinato l'accadimento. In particolare alla stessa era stata contestata l’inosservanza degli artt. 71 comma 1 e 87 comma 2, lettera c) del D. Lgs. 81/08 in quanto avrebbe messo a disposizione dei lavoratori attrezzature non conformi ai requisiti di cui all'art. 70, inidonee ai fini della salute e sicurezza e non adeguate al lavoro da svolgere, e non utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie. Più nel dettaglio, la macchina presso la quale era avvenuto l'infortunio non sarebbe stata dotata di sistemi di protezione atti ad eliminare i rischi meccanici (nello specifico i rischi di trascinamento ed intrappolamento) dovuti agli elementi mobili della macchina (rulli) ed al materiale di processo in corso di avvolgimento, oltre alla inosservanza degli artt. 28, comma 2, lettera a) in quanto non avrebbe provveduto a redigere una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori durante l'attività lavorativa, dell’artt. 28, comma 2, lettere b) e c), in quanto il Documento di Valutazione dei Rischi prodotto non conteneva l'indicazione delle misure di prevenzione e protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati e, conseguentemente, il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza e ancora inosservanza degli artt. 37 comma 1, in quanto non avrebbe assicurato che ciascun lavoratore, ivi compreso l’infortunato, ricevesse una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza.
La Corte di Appello, adita dall'imputato, ha confermata la sentenza di primo grado e contro la stessa l’imputata ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, adducendo varie motivazioni. Il ricorrente ha innanzitutto sostenuto che l'art. 1 dell'all. 1 alla direttiva macchine 2006/42/CE prevede che sia il fabbricante obbligato a garantire una valutazione dei rischi per stabilire i requisiti di sicurezza e di tutela della salute che concernono le macchine, le quali devono essere progettate e costruite tenendo conto dei risultati della valutazione dei rischi. La ricorrente ha affermato, altresì, che il modello di macchina in questione era in commercio da oltre vent'anni e se il problema individuato come fonte di responsabilità fosse stato tanto evidente sarebbe emerso e sarebbe stato segnalato da almeno uno delle centinaia di acquirenti, direttamente al fabbricante consentendo a quest'ultimo di intervenire per rimediare, segnalando il problema ai precedenti acquirenti. Gli stessi tecnici della ASL che avevano certamente visionato la macchina in precedenti occasioni, tra l’altro, non avevano segnalato nulla né in trenta anni di uso si era mai verificato alcun infortunio. Nell’infortunio inoltre era stato utilizzato un passaggio non correttamente per cui lo stesso era da attribuire a un comportamento anomalo, non previsto né prevedibile del lavoratore.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato dalla Corte di Cassazione la quale, in merito alla responsabilità del costruttore, ha rammentato che la sua eventuale responsabilità, nel caso in cui l'evento dannoso sia stato provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude comunque la responsabilità del datore di lavoro che utilizza il macchinario stesso, gravando su di esso l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzarlo e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori. A detta regola può farsi eccezione, ha aggiunto la suprema Corte, nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza e a proposto ha citato numerose precedenti sentenze fra cui la n. 16941 del 20 aprile 2010 della IV Sezione penale, pubblicata e commentata dallo scrivente sul quotidiano del 27/9/2010.
Quanto alla disposizione cautelare violata, ha ricordato la Sez. IV, l'art. 71 D. Lgs. 81/2008, fa obbligo al datore di lavoro o al suo delegato alla sicurezza di verificare la sicurezza delle macchine introdotte nella propria azienda e di rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti alla sua utilizzazione, a meno che questa non presenti un vizio occulto. Nel caso in esame, è risultato pacifico che la macchina era sprovvista di dispositivi di protezione idonei. L'assunto. inoltre, secondo cui la macchina aveva funzionato senza cagionare problemi per oltre vent'anni ha ricordato la Sez. IV, non ha esonerato da responsabilità la ricorrente, atteso che l'utilizzazione di un macchinario non conforme alle disposizioni a tutela della sicurezza, ancorché protratta nel tempo senza incidenti e anche qualora sia risultata esente da censure in occasione di precedenti ispezioni, non esime comunque da responsabilità il datore di lavoro o il soggetto cui è demandata nell'ambito dell'impresa la cura della prevenzione degli infortuni sul lavoro e ha citato a proposito come precedente la sentenza n. 4513 del 03/02/2016 della IV sezione penale, pubblicata e commentata dallo scrivente sul quotidiano del 29/3/2016.
La Corte del merito quindi, secondo la Sez. IV, aveva fatto buon uso dei principi surriportati, affermando che grava sul datore di lavoro il dovere di “controllare e verificare con la massima attenzione, che l'apparecchiatura non possa cagionare danni fisici di alcun tipo, agli addetti a quella macchina”. Nel caso in esame il macchinario era altamente pericoloso, per l'espressa grave violazione delle norme di cui al D. Lgs. n. 81/2008, pericolosità rilevabile 'ictu oculi' e non prevista neppure nel DUVRI. Non era risultato vero, infatti ha osservato la Sez. IV, quanto sostenuto dalla difesa e cioè che per avvicinarsi al grosso rullo sul quale si andava ad arrotolare la stoffa il lavoratore dovesse assumere una posizione innaturale, o ci fosse un passaggio di soltanto 50 centimetri in quanto in realtà, come era perfettamente emerso dall’esame delle fotografie allegate alla sentenza, vi era uno spazio tale da permettere il passaggio di qualsiasi persona oltre ad essere di pronta intuizione che nella quotidianità, i lavoratori, invece di girare attorno all'intera linea di produzione, avrebbero spesso e volentieri dimezzato il percorso passando attraverso quel varco. Era evidente quindi la presenza di un gravissimo pericolo per cui la zona andava attentamente segregata, con paratie eventualmente mobili e la cui apertura doveva bloccare immediatamente la macchina. Proprio per evitare questo tipo di incidente, ha quindi evidenziato la suprema Corte, “erano previsti dalla direttiva UNI EN ISO 00000-1 specifici dispositivi, che però su tale macchina non erano stati montati” o “erano stati montati in modo assolutamente errato”.
La Corte di Cassazione ha dichiarato in definitiva inammissibile il ricorso e ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 3000 euro in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che ha liquidate in 4000 euro oltre accessori di legge.
Gerardo Porreca
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Rispondi Autore: Paolo Pignat - likes: 0 | 03/05/2021 (09:32:50) |
Per quanto possa condividere (in parte) i contenuti della sentenza, noto come sempre il "pressapochismo" e la scarsa competenza tecnica che traspare dalla lettura del dispositivo. Un esempio per tutti: “erano previsti dalla direttiva UNI EN ISO 00000-1 specifici dispositivi, che però su tale macchina non erano stati montati”. Non esiste una Direttiva UNI EN ISO 00000-1 (al limite la norma tecnica" e non esiste comunque una norma UNI EN ISO 00000-1! Che credibilità può avere una sentenza con errori tecnici grossolani come questo? Lascio a voi |