Sulla responsabilità per l’utilizzo di una scala non conforme
L’utilizzo di una scala a pioli non conforme alle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro è la motivazione per cui con questa sentenza è stata individuata la responsabilità di un datore di lavoro e del un preposto di una azienda, il primo per l’averla messa a disposizione dei lavoratori e il secondo per non avere controllato che il lavoratore infortunato, caduto mentre effettuava una lavorazione in quota, l’avesse utilizzata.
E’ stata questa l’occasione per la Corte di Cassazione per ribadire il principio più volte dalla stessa affermato in base al quale il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore infortunato presenti i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute. Non è stato, infatti, considerato abnorme nel caso in esame il comportamento del lavoratore che si è limitato ad utilizzare una scala non conforme alle disposizioni di legge in materia di sicurezza sul lavoro messa comunque a sua disposizione per potere effettuare una lavorazione in quota. A ciò deve aggiungersi, ha ancora precisato la suprema Corte, che anche una condotta imprudente o negligente del lavoratore in presenza di evidenti carenze di misure di sicurezza poste a carico del datore di lavoro non può mai avere alcuna efficacia esimente in favore dei destinatari degli obblighi di sicurezza, compreso la figura del preposto che nel caso della sentenza in esame è stata coinvolta nel procedimento penale, né può interrompere il nesso causale fra la loro condotta e l’evento infortunistico che ne è derivato.
La posizione di apprendista del lavoratore infortunato inoltre, ha fatto osservare la suprema Corte, avrebbe dovuto indurre a maggior ragione il datore di lavoro ad essere particolarmente attento e zelante nel mettere a disposizione delle attrezzature idonee ad eseguire il lavoro in tutta sicurezza e nel rendere edotto lo stesso dei relativi rischi.
Il fatto e l’iter giudiziario
La Corte di Appello ha confermata la responsabilità del datore di lavoro e del preposto di un’azienda per il reato di lesioni colpose derivate dalla violazione della normativa in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro in danno di un dipendente dell’azienda stessa. In parziale riforma della sentenza del Tribunale la Corte territoriale ha concesse al preposto le circostanze attenuanti generiche in rapporto di prevalenza rispetto alle aggravanti contestate e ha rideterminata la pena allo stesso inflitta in quella di un mese e dieci giorni di reclusione mentre ha confermata la pena inflitta al datore di lavoro, determinata in due mesi di reclusione dal giudice di primo grado, e ha condannato entrambi gli imputati al pagamento delle spese di costituzione in giudizio della parte civile, liquidate in euro 1200,00, nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio.
Agli imputati era stato contestato di avere cagionato, nelle rispettive qualità di datore di lavoro e di preposto dell'azienda sopra indicata, delle lesioni personali gravi a un lavoratore che era precipitava da una scala, da un'altezza di circa due metri, mentre era intento a smontare delle plafoniere sotto il soffitto di un padiglione. Erano stati configurati a carico dei ricorrenti, profili di colpa generica, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché, di colpa specifica, consistita nella violazione degli artt. 71, comma 4, lett. a), punto 2, 113 comma 5 e 7. e 19, comma 1 lett. a), del D. Lgs. n. 81/2008. In particolare, era stato addebitato al datore di lavoro di avere disposto o comunque consentito al dipendente di effettuare la operazione di rimozione delle plafoniere, mediante utilizzo di una scala a pioli metallica, priva degli originari dispositivi antiscivolo (che erano stati sostituiti con sacchetti di plastica arrotolati), in condizioni tali quindi da non garantire il suo livello di sicurezza e stabilità originari ed in assenza di un altro lavoratore che trattenesse la scala al piede. Al preposto, invece, era stata addebitata una omessa vigilanza sull'operato del lavoratore e di non avere impedito l'uso della scala, inidonea ad assicurare i livelli di sicurezza e stabilità richiesti ai fini della tutela della salute e della sicurezza del dipendente.
Il ricorso in cassazione e le motivazioni
Gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione a mezzo dei propri difensori. Il datore di lavoro ha osservato nel ricorso che la scala non era nella disponibilità dei dipendenti e che non vi era la prova, agli atti, che la stessa fosse di proprietà della ditta. Gli elementi raccolti all'esito della istruttoria, infatti, avevano fatto emergere che i dipendenti avevano nella loro disponibilità un trabattello, il quale, per potere essere utilizzato, doveva essere montato. Il lavoratore, secondo la testimonianza offerta da un altro operaio presente sul posto, è salito sulla scala dopo che l’altro operaio si era allontanato per recuperare il trabattello e montarlo. Tra loro, non era intercorso alcun accordo circa il fatto che uno sarebbe salito sulla scala e l'altro l'avrebbe trattenuta alla base.
Sarebbe stata erronea quindi, secondo il ricorrente, la lettura degli atti offerta dai giudici essendo stato l'infortunio conseguenza di un gesto imprevedibile del giovane, il quale avrebbe deciso di salire sulla scala quando il lavoratore anziano si era allontanato, tentando di effettuare una lavorazione impossibile per l'altezza da raggiungere. Secondo quanto sostenuto dal datore di lavoro, infatti, lo stesso aveva fornito al dipendente i dispositivi individuali, aveva impartito l'opportuna formazione e, tramite l'organizzazione esistente sul luogo, aveva fatto in modo che il giovane non fosse esposto a pericolo. La decisione autonoma dell’operaio di salire sulla scala era quindi da ritenersi causa sopravvenuta, idonea ad interrompere il nesso rispetto alla condotta contestata, con conseguente esonero della sua responsabilità.
Il preposto a sua difesa ha inoltre sostenuto che i giudici di merito sarebbero pervenuti al giudizio della sua colpevolezza sulla base del collegamento causale tra il suo presunto ruolo di preposto e l’evento della caduta del lavoratore dalla scala. Lo stesso ha sostenuto che nessuno aveva mai ordinato all’infortunato di fare il lavoro da solo e di salire sulla scala per cui l'infortunio non avrebbe potuto essere messo in relazione con azioni od omissioni sue o del datore di lavoro. Con riferimento poi al ruolo di preposto attribuitogli lo stesso ha sostenuto che tale ruolo non sarebbe stato provato per la mancanza di documenti in atti idonei a dimostrare tale qualifica. Dagli atti, anzi, sarebbe risultato che era semplicemente un operaio più esperto il che avrebbe fatto venire meno la possibilità di addossargli la responsabilità dell’evento.
Le decisioni della suprema Corte di Cassazione
I motivi di doglianza proposti da entrambi i ricorrenti sono stati ritenuti infondati dalla Corte di Cassazione che li ha pertanto rigettati. Secondo la stessa l'impianto motivazionale della sentenza della Corte territoriale, che ha confermato la responsabilità degli imputati, è apparsa, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, assolutamente immune da censure, sia sotto il profilo motivazionale, sia sotto il profilo della corretta applicazione della legge. Con riferimento alla posizione del datore di lavoro, in particolare, ha ricordato la suprema Corte, tale figura è destinataria delle norme antinfortunistiche ed “è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente possa essere definito abnorme, dovendosi ritenere tale, il comportamento imprudente o negligente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente, in un ambito estraneo alle mansioni che gli sono state affidate e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità”.
La Corte di Cassazione ha ricordato, altresì, che “E' orientamento costante di questa Corte, in materia di infortuni sul lavoro, quello in base al quale la condotta colposa del lavoratore infortunato non possa assurgere a causa sopravvenuta, da sola sufficiente a produrre l'evento, quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e dell'esorbitanza, rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive di organizzazione ricevute”. Pertanto, ha così proseguito, può definirsi abnorme soltanto la condotta del lavoratore che si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e sia assolutamente estranea al processo produttivo o alle mansioni che gli siano state affidate.
A ciò deve aggiungersi, ha precisato ancora la Sez. IV, che la condotta imprudente o negligente del lavoratore, in presenza di evidenti criticità del sistema di sicurezza approntato dal datore di lavoro, non potrà mai spiegare alcuna efficacia esimente in favore dei soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza. Ciò in quanto, tali disposizioni, secondo orientamento conforme della giurisprudenza della Corte stessa, sono dirette a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da una sua colpa, dovendo, il datore di lavoro, prevedere ed evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli. Nessuna iniziativa autonoma, imprevedibile ed abnorme è risultato essere stata assunta nel caso in esame dal dipendente infortunato e nessuna causa sopravvenuta, suscettibile di interrompere il nesso causale, può essere individuata dall'analisi dei fatti. Peraltro, come aveva correttamente già osservato la Corte territoriale, la condizione di apprendista del lavoratore, avrebbe dovuto indurre il datore di lavoro ad essere particolarmente attento e zelante nel mettere a disposizione del giovane le attrezzature idonee per eseguire in tutta sicurezza il lavoro e nel renderlo edotto dei relativi rischi.
Con riferimento, infine, al ricorso avanzato dal preposto, la Corte di Cassazione ha fatto presente che la tesi alternativa dallo stesso proposta secondo cui non rivestiva la qualità di preposto, essendo un semplice lavoratore maggiormente esperto, è risultata priva di qualunque appiglio probatorio ed è stata smentita dalle testimonianze e dall'organigramma dell'azienda. L’imputato, ha così concluso la Corte di Cassazione, aveva l'obbligo preciso, in qualità di preposto, di vigilare sull'uso di attrezzature conformi in materia di sicurezza e tale non poteva essere ritenuta, in maniera evidente, la scala adoperata dall'operaio che era sprovvista dei dispositivi antiscivolo ed era comunque inidonea a consentire il tipo di attività che lo stesso era stato chiamato a svolgere.
Gerardo Porreca
I contenuti presenti sul sito PuntoSicuro non possono essere utilizzati al fine di addestrare sistemi di intelligenza artificiale.