Sulla non responsabilità del committente per un infortunio in cantiere
In questa sentenza due sono i principi, ormai consolidati in giurisprudenza, che ha richiamati la Corte di Cassazione nel decidere su di un ricorso presentato da un committente condannato dal G.U.P. di un Tribunale perché ritenuto responsabile dell’omicidio colposo di un lavoratore con violazione della disciplina antinfortunistica e successivamente invece assolto dalla Corte di Appello per non avere commesso il fatto.
In tema di infortuni sul lavoro, ha ricordato infatti la suprema Corte con riferimento alla individuazione della responsabilità della figura del committente, il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori per cui, ai fini della configurazione della sua responsabilità, occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore e del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte sua di situazioni di pericolo.
In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha inoltre sostenuto la stessa Corte di Cassazione, il committente è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio di un lavoratore, sia per la scelta dell'impresa sia in caso di omesso controllo dell'adozione da parte dell'appaltatore delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini.
È proprio basandosi su questi due principi che la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalle parti civili e ha annullata la sentenza di condanna del proprietario di un immobile che aveva commissionato a una impresa esecutrice alcuni lavori di manutenzione straordinaria del fabbricato durante i quali si era verificato l’infortunio mortale di un lavoratore dovuto al crollo di una parte della struttura.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni
La Corte di Appello, in riforma integrale della sentenza con cui il G.U.P. del Tribunale, all'esito del giudizio abbreviato, ha riconosciuto il proprietario di un immobile e committente dei lavori responsabile dell'omicidio colposo di un lavoratore, con violazione della disciplina antinfortunistica, condannandolo in conseguenza alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni alle parti civili e con assegnazione alle stesse di provvisionale, ha assolto l'imputato dalla contestazione per non avere commesso il fatto revocando le statuizioni civili.
Il lavoratore infortunatosi, operaio dipendente di una ditta esecutrice, stava svolgendo alla guida di un miniescavatore alcuni lavori edili in un cantiere allorquando, dopo avere attraversato la porta di ingresso di un immobile sottoposto a manutenzione straordinaria, che era stata preventivamente allargata con un martello demolitore per fare spazio al suo passaggio, ha iniziato ad asportare da terra il materiale da scavo quando è stato travolto da sassi e da materiali caduti dall'alto derivanti dal cedimento parziale della sovrastante volta, così decedendo.
La causa del crollo era stata individuata sia nell'indebolimento della struttura in ragione delle vibrazioni provocate dal martello demolitore e dal miniescavatore sia nella mancanza di previe adeguate opere provvisionali di messa in sicurezza e di sostegno della struttura. Era stata constatata altresì la genericità del piano operativo di sicurezza e del piano di sicurezza e di coordinamento, quest'ultimo firmato dallo stesso committente dei lavori e proprietario dell'immobile.
Il Tribunale, all'esito dell'abbreviato, aveva ritenuto responsabile dell'accaduto, in cooperazione colposa con altri (separatamente giudicati), il proprietario dell'immobile e committente dei lavori di manutenzione straordinaria, ritenuto, in base a prove documentali e testimoniali, a sicura conoscenza della gravissima situazione di degrado del fabbricato, della necessità di attuare delle opere provvisionali di sostegno sullo stesso e della loro omissione in concreto, oltre che ritenuto inadempiente all'obbligo di vigilare sull'effettiva esecuzione dell'incarico da parte del coordinatore per l'esecuzione dei lavori.
La Corte di Appello era giunta successivamente invece ad opposte conclusioni sostenendo che il committente era privo di cognizioni tecniche e aveva comunque incaricato un geometra, in possesso dei requisiti professionali richiesti, dello svolgimento dell'attività di coordinatore in fase di progettazione e di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione. L’imputato, aveva evidenziato la Corte territoriale, la mattina dell'incidente si era presentato presso il cantiere chiedendo spiegazioni sui lavori effettuati con il martello demolitore e, dopo aver chiesto se non fosse stato opportuno iniziare i lavori dalla parte superiore e avere ricevuto rassicurazioni da parte del direttore tecnico del cantiere che sarebbe stata messa in sicurezza l'area, si era allontanato. La mattina, inoltre, ha messo in evidenza la Corte di Appello, al momento del suo arrivo in cantiere, non vi erano situazioni tali da potersi rendere conto visivamente dell'esistenza di una situazione di pericolo e, avendo fatto in precedenza alcuni altri lavori, prima dell'inizio dei lavori di "alleggerimento" della volta, non erano emerse prove sufficienti che gli stessi potessero avere peggiorato la stabilità dell'edificio, lavori che comunque avrebbero interessato una zona diversa da quella poi crollata.
Le parti civili, tramite il difensore, hanno ricorso per la cassazione della sentenza affidandosi ad un unico, complessivo, motivo con il quale hanno denunziato la nullità della sentenza impugnata per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e per la mancanza della necessaria motivazione "rafforzata" della decisione assolutoria, sotto più profili. Quanto all'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, che l'imputato non fosse a conoscenza dell'inizio dei lavori e che la mattina dell'incidente si fosse precipitato in cantiere chiedendo agli operai che cosa stessero facendo e se i lavori non dovessero iniziare dall'alto, ricevendo dal direttore tecnico rassicurazioni sul fatto che l'area sarebbe stata posta in sicurezza, i ricorrenti hanno fatto presente che la Corte di Appello aveva ritenuto attendibile la versione dell’imputato, in difformità della valutazione operata sul punto dal Tribunale basata invece sulle affermazioni della moglie dell'imputato stesso secondo cui sia la gru che il ponteggio erano stati montati due o tre settimane prima dell'infortunio per cui l’imputato stesso doveva averlo certamente notato.
Quanto poi all'affermazione della Corte di Appello secondo cui l'imputato non si sarebbe reso conto visivamente dell'esistenza di una situazione di pericolo imminente nel cantiere, i ricorrenti hanno sottolineato che dall'istruttoria era emerso che quella mattina gli operai stavano allargando la porta di ingresso del locale al piano terra mediante un martello demolitore, attrezzo che produceva forti vibrazioni che si ripercuotevano sull'immobile, situazione estremamente pericolosa, al fine di far entrare un miniescavatore all'interno e hanno sottolineato altresì che nel cantiere vi erano anche comuni attrezzi da scavo (badile, piccone, carriola) ma che mancavano attrezzature e materiali, quali tavole di legno o sbadacchi, idonei a puntellare la struttura e, quindi, a metterla in sicurezza per cui risultava inverosimile che il direttore tecnico potesse avere ordinato agli operai di mettere in sicurezza l'area.
La sentenza impugnata inoltre, ad avviso dei ricorrenti, aveva sottovalutato ovvero male inteso quanto riferito da un teste che abitava vicino al cantiere e che aveva detto di avere visto l’imputato la settimana prima dell'infortunio entrare nel cantiere e rimuovere per almeno 5 centimetri il pavimento nel locale che era stato adibito a stalla, lavoro propedeutico alla prosecuzione dello scavo per circa 30-41 centimetri per realizzare il "vespaio" il che avrebbe rafforzato la esatta comprensione da parte dell’imputato stesso di quanto stessero facendo gli operai la mattina dell'infortunio e cioè l’allargamento dell'ingresso e l’apertura di un varco per fare entrare il miniescavatore con il quale proseguire lo scavo.
I ricorrenti hanno sostenuto ancora, in relazione alla fase lavorativa inerente l'infortunio, che nel piano di sicurezza e coordinamento firmato dall’imputato, seppure in maniera generica, erano state comunque indicate espressamente "sbadacchiature" e puntelli per armare le pareti dello scavo per cui l’imputato stesso doveva essere a conoscenza della necessità di una messa in sicurezza; questa circostanza di fatto non sarebbe stata presa in considerazione dalla Corte di Appello. L'imputato inoltre, ad avviso dei ricorrenti, non avrebbe verificato che il coordinatore per l'esecutore dei lavori vigilasse sulla esecuzione dei lavori che si stavano svolgendo, incarico praticamente omesso da parte del coordinatore. Gli stessi hanno chiesto in conclusione l'annullamento della sentenza impugnata sostenendo che l’imputato era a conoscenza delle condizioni di gravissimo degrado dell'immobile e della necessità di attuare delle opere provvisionali, come già affermato dal Giudice di primo grado contrariamente a quanto poi sostenuto dalla Corte territoriale.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
I ricorsi sono stati ritenuti infondati dalla Corte di Cassazione che li ha pertanto rigettati.
Secondo la stessa infatti nel caso in esame non può ravvisarsi una culpa in eligendo, essendosi rivolto il committente, privato proprietario dell'immobile e privo di ogni cognizione tecnica, a un’impresa provvista di adeguate competenze ed in regola e avendo altresì incaricato dello svolgimento dell' attività di coordinatore in fase di progettazione e di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione un geometra in possesso dei requisiti professionali richiesti. Lo stesso aveva inoltre valutato il POS e il PSC privo di vizi e di lacune macroscopicamente ravvisabili da parte di un soggetto non addetto ai lavori e inoltre, recatosi in cantiere la mattina dell’infortunio, si era poi allontanato dallo stesso dopo avere ricevuto rassicurazioni dall'amministratore e direttore tecnico per la sicurezza dell’impresa, senza che fossero comunque emersi evidenti segni di pericolo.
Secondo la suprema Corte quindi la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di un principio di diritto in tema di responsabilità del committente e cioè di quello secondo cui “In tema di infortuni sul lavoro, a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori; ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore e del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o dei contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo”, citando a proposito, fra le altre. la sentenza della IV Sezione penale n. 44131 del 2/11/2015, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ La responsabilità del committente e l’eziologia dell’evento” e la sentenza della IV Sezione penale n. 28728 del 16/10/2020, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ Le modalità della verifica della idoneità tecnico professionale”.
Quanto poi alla questione della percepibilità o meno di una situazione di pericolo da parte del garante-committente, la Sezione IV ha sottolineato che la Corte territoriale, nel giustificare la decisione liberatoria, si era attenuta al principio di diritto più volte espresso in giurisprudenza, citando tra le altre la sentenza della IV Sezione penale n. 7188 del 10/01/2018, secondo cui “In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di subappalto, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza su, luoghi di lavoro, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini”.
Alla luce dei principi sopraindicati, in definitiva, la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Gerardo Porreca
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