Sul limite fra imprudenza e abnormità nel comportamento del lavoratore
Ancora una volta la Corte di Cassazione in questa sentenza ha preso in esame il comportamento del lavoratore che ha subito un infortunio ed è tornata ad esprimersi sul concetto dell’abnormità della sua condotta evidenziando gli elementi che lo caratterizzano. In tema di prevenzione antinfortunistica, ha infatti sostenuto la suprema Corte nella stessa, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venire meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio suo contegno abnorme configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità.
Con riferimento al concetto di "atto abnorme", ha inoltre precisato, non si può considerare appunto abnorme il compimento da parte del lavoratore di un'operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo. L’abnormità del comportamento del lavoratore, infatti, si può apprezzare solo in presenza della imprevedibilità della sua condotta e tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in un comportamento che, per quanto imperito, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni che gli sono state assegnate perché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dalla piena prudenza, diligenza e perizia è insita nella stessa organizzazione del lavoro. Per individuare la presenza del " comportamento abnorme" è pertanto necessario che siano portate alla luce circostanze peculiari, interne o esterne al processo lavorativo, che connotino la condotta dell'infortunato in modo che essa si collochi al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso e dell’area di rischio che il datore di lavoro è chiamato a governare.
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in cassazione
La Corte d'appello, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, appellata dal presidente del consiglio di amministrazione e dal dirigente di un’azienda condannati per il reato di cui agli artt. 113, 40 cpv. 590, comma 3 del codice penale ai danni di un lavoratore dipendente, ha concesso al primo il beneficio della non menzione, confermando il resto. Ai predetti era stato contestato di avere cagionato al lavoratore, nella loro qualità, delle lesioni consistite nello schiacciamento dell'avambraccio e della mano destra, con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni, per colpa consistita in imprudenza, negligenza e imperizia, nonché nella violazione degli artt. 71 comma 1 e 71 comma 2 lett. c) del D. Lgs. n. 81/2008, avendo il primo messo a disposizione dei lavoratori una macchina vaglio-rotativa priva della prevista protezione atta ad impedire il rischio di contatto degli operatori, e il secondo omesso di prendere in considerazione, a fronte della mancata protezione, i rischi derivanti dall'impiego della macchina stessa, facendo sì che il lavoratore, intervenuto con la mano destra nel tentativo di rimuovere la terra accumulatasi in prossimità del cuscinetto di rullo di trasmissione del nastro trasportatore, fosse trascinato e schiacciato tra il rullo di trasmissione ed il cuscinetto del nastro superiore.
Avverso la sentenza hanno ricorso in cassazione entrambi gli imputati a mezzo dello stesso difensore e con separati atti, dal contenuto in buona parte identico. Fra i motivi di analogo contenuto la difesa ha dedotto una violazione di legge in relazione alla valutazione di non abnormità del comportamento del lavoratore, rilevando che il macchinario era stato predisposto all'uso così come fornito dalla casa produttrice e che i dipendenti avevano ricevuto specifica formazione, anche grazie alla collaborazione di un tecnico della casa produttrice. Analogamente il ricorrente ha dedotto un vizio della motivazione, sempre con riferimento alla valutazione dell'incidenza della condotta imprudente del lavoratore sulla produzione dell'evento, trattandosi di condotta neppure necessitata dall'impostazione del macchinario e dal processo di lavorazione.
La parte civile, da parte sua, ha depositato una propria memoria con la quale ha replicato alle argomentazioni difensive esposte nei motivi dei ricorsi, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Le considerazioni in diritto e le decisioni della Corte di Cassazione.
I ricorsi sono stati rigettati dalla Corte di Cassazione. La stessa in riferimento alla contestazione degli appellanti che avevano sostenuto che al momento della messa in funzione del macchinario lo stesso non presentava alcun carter di protezione, che era comunque impossibile pulire il rullo a mani nude, che l'infortunato aveva partecipato ai corsi di formazione e che, in occasione dell'infortunio, lo stesso aveva effettuato una manovra non necessaria, ha rilevato che gli Ispettori del Lavoro, intervenuti subito dopo l'incidente, avevano descritto il macchinario in questione precisando che l'infortunio era avvenuto sul nastro trasportatore che portava il materiale al vaglio allorquando il lavoratore, notato un accumulo di terra in prossimità del rullo di trasmissione del nastro trasportatore, aveva tentato di rimuoverlo, rimanendo la sua mano schiacciata tra il rullo di trasmissione e il primo cuscinetto guida del nastro superiore, evento reso possibile dalla mancanza di un carter di protezione del nastro e del rullo di trasmissione del moto.
Secondo quando accertato dai giudici di merito, inoltre, la casa costruttrice nel periodo di formazione aveva segnalato, nella documentazione tecnica di sicurezza consegnata all'acquirente, la necessità che la protezione non fosse mai rimossa per evitare il contatto con le parti in movimento e che ogni intervento doveva essere effettuato previa verifica della esclusione al 100% di un avvio accidentale del macchinario.
Quanto alla dedotta abnormità del comportamento del lavoratore la Sez. IV ha ritenuta la decisione della Corte di merito del tutto conforme alla giurisprudenza costante della Corte di Cassazione che ha più volte affermato che "in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (cfr. Sez. 4 n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259127)” e che, sempre con riferimento al concetto di "atto abnorme", ha pure precisato che “tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un'operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4 n. 7955 del 10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313)”.
La stessa Corte ha inoltre precisato che “l'abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in presenza della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto, si è peraltro efficacemente sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro” il che è servito ad evidenziare “la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari - interne o esterne al processo di lavoro - che connotano la condotta dell'infortunato in modo che essa si collochi al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso”.
“Tale comportamento” ha così concluso la suprema Corte, “è "interruttivo (per restare al lessico tradizionale) non perché ‘eccezionale’ ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare".
Gerardo Porreca
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