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Sul contenuto del Duvri nel caso di un appalto interno di lavori edili
Commento a cura di Gerardo Porreca.
Vengono forniti dalla Corte di Cassazione in questa interessante sentenza delle utili precisazioni che attengono specificatamente alla natura dei rischi interferenziali ed all’applicazione corretta dell’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. e più in particolare alla elaborazione del documento unico di valutazione dei rischi interferenti (Duvri). Quando il legislatore, ha sostenuto la suprema Corte, con l’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008 ha imposto al datore di lavoro committente di fornire agli appaltatori “dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività” ha voluto fare riferimento non soltanto alla organizzazione facente capo allo stesso datore di lavoro committente ma anche ad ogni altro fattore di rischio presente nell’ambiente di lavoro entro il quale l’appaltatore si troverà ad operare pertanto, ove in tale ambiente si preveda la presenza di una terza impresa alla quale sia stato affidato un altro appalto interno, dovranno essere valutati e segnalati anche i rischi che possono derivare dalla sua presenza. In altre parole, ha sostenuto la Corte di Cassazione, in tema di valutazione dei rischi interferenziali di cui all’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. il datore di lavoro committente deve tenere conto della presenza di ditte o di lavoratori autonomi terzi, operanti all’interno dell’ambiente di lavoro in concomitanza dell’espletamento dei lavori affidati in appalto, i quali possono verosimilmente arrecare rischi persino più elevati rispetto a quelli legati alla organizzazione del datore di lavoro committente e dell’appaltatore.
Il fatto e i ricorsi in Cassazione
La Corte di Appello, in riforma della pronuncia di assoluzione emessa dal Tribunale, ha giudicato il dirigente responsabile della produzione di una società e il coordinatore per l'esecuzione di alcuni lavori edili realizzati dalla stessa responsabili dell'infortunio occorso a due lavoratori elettricisti dipendenti di due ditte appaltatrici alle quali erano stati commissionati lavori di impiantistica nel capannone della società medesima i quali, secondo l'accertamento condotto nei gradi di merito, stavano operando su una piattaforma aerea all'interno del predetto capannone allorquando un carroponte avviato da un carpentiere di una terza ditta operante nel cantiere, alla quale erano stati appaltati lavori correlati al processo produttivo della società era andato a toccare la piattaforma medesima, facendola rovinare a terra e così cagionando la caduta al suolo dei due lavoratori, che nell’incidente riportavano lesioni dalle quali derivava una malattia giudicata guaribile in più di quaranta giorni.
Al dirigente responsabile della produzione era stato rimproverato di aver redatto un piano di valutazione dei rischi da interferenze con i lavori delle imprese terze rispetto alle due legate da rapporto di appalto inadeguato perché non precludeva l'utilizzo del carroponte nella campata in cui operava il personale di quelle imprese mentre al coordinatore per l’esecuzione è stato contestato di non aver adeguato il piano di sicurezza e di coordinamento al rischio derivante dalla compresenza di più squadre di lavoratori di diversa estrazione e di non avere altresì adottato le relative misure di sicurezza.
Avverso la decisione della Corte di Appello hanno ricorso cassazione gli imputati a mezzo di un comune difensore di fiducia. Il dirigente responsabile della produzione, come primo motivo di difesa, ha sostenuto che la Corte di Appello era pervenuta ad affermare la sua responsabilità senza accertare se la condotta doverosa, ove tenuta, avesse impedito l'infortunio, avendo il giudice di primo grado escluso specificamente che la correttezza della valutazione dei rischi e del piano di sicurezza avrebbe evitato il sinistro, dovuto invece alla avventata movimentazione del carroponte ad opera del dipendente di una ditta appaltatrice e che era rimasta estranea alla imputazione l'eventuale omessa formazione del manovratore del carroponte e l'ipotetica mancata supervisione del suo operato da parte dei responsabili. Come secondo motivo il dirigente responsabile della produzione si è lamentato che la Corte di Appello aveva confuso i contenuti del documento unico di valutazione dei rischi con quelli del piano di sicurezza e di coordinamento, attribuendogli così una violazione che era riferibile solo al coordinatore per l’esecuzione perché concernente l'adeguamento del piano. Lo stesso ha messo in evidenza, altresì, che la sentenza della Corte di Appello aveva interpretato erroneamente le norme prevenzionistiche in quanto il capannone della società rappresentava nella circostanza un cantiere edile e l'infortunio aveva riguardato gli elettricisti nel corso dei lavori edili per cui, non riguardando il DVR i cantieri edili, le misure di prevenzione relative a questi ultimi erano da prevedersi solo con il piano di sicurezza, fermo restando che anche nel DVR erano previsti i rischi di interferenza tra le lavorazioni e le relative misure di sicurezza.
Le decisioni della Corte di Cassazione
I ricorsi sono stati ritenuti infondati dalla Corte di Cassazione e quindi rigettati. La stessa ha posto in evidenza che all'interno del capannone della società committente operavano diverse compagini, quella del committente stesso, quella della ditta alla quale questa aveva commissionato particolari lavorazioni del proprio processo produttivo e quelle delle due ditte alle quali erano stati appaltati i lavori edili per la ristrutturazione del capannone. Tale situazione, ha sostenuto la suprema Corte, implicava per la pluri-committente di provvedere sia agli adempimenti previsti dall'art. 26 del D. Lgs. 9.4.2008 n. 81 per l'ipotesi di un appalto cosiddetto interno al processo produttivo dell'appaltante, sia agli adempimenti previsti dagli artt. 88 e seguenti del medesimo decreto legislativo per il fatto che era attivato un cantiere edile.
Con riferimento alla difesa del dirigente della società committente secondo la quale la manchevolezza che aveva portato all’infortunio occorso ai due elettricisti era da ascrivere al PSC e non al Duvri perché l'infortunio aveva riguardato lavoratori impegnati nei lavori edili la Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno svolgere in merito alcune precisazioni, che attengono specificamente alla materia dei rischi interferenziali. La tesi sostenuta dal dirigente è stata basata, secondo la stessa Corte, su di una concezione riduttiva delle funzionalità del Duvri nel senso che alla valutazione dei rischi interferenziali è da assegnare il compito di prendere in considerazione le ricadute della compresenza sui lavoratori dell'una e dell'altra organizzazione, risultando quindi esclusi dalla rilevazione e dalla programmazione i rischi derivanti a soggetti terzi, pur presenti ed operanti sul medesimo luogo di lavoro. Una simile concezione, secondo la Corte ancora, non trova però conforto nel dato normativo e in un principio reiteratamente espresso dalla giurisprudenza di legittimità. “Il primo elemento da prendere in esame”, ha precisato in merito la suprema Corte, “è la previsione dell'art. 26 d.lgs. n. 81/2008, per la quale il datore di lavoro che affida un appalto cd. interno deve fornire agli appaltatori ‘dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività’". Vi sono quindi nella norma riferimenti all'intero ambiente di lavoro e all'intera attività del datore di lavoro committente. Se ne ricava che l'obbligo informativo non riguarda soltanto l'organizzazione facente capo al datore di lavoro committente ma ogni fattore di rischio presente nell'ambiente di lavoro entro il quale l'appaltatore si troverà ad operare. Pertanto, ove l'ambiente di lavoro entro il quale l'appaltatore dovrà eseguire la prestazione concordata preveda la presenza di una terza compagine - ad esempio un lavoratore autonomo al quale sia affidato un diverso appalto interno o lavori edili -, dovranno essere valutati e regolati i rischi che da quella presenza derivano”.
“D'altro canto”, ha proseguito la stessa, “sarebbe irragionevole ritenere che possa essere ignorato un fattore di rischio persino più elevato rispetto a quello determinato dalla compresenza delle organizzazioni del datore di lavoro committente e dell'appaltatore; entrambi, infatti, hanno conoscenza della propria organizzazione e possibilità di conoscere dell'altrui, mentre della ditta estranea all'appalto non è nota che la presenza. Non si può fare a meno di notare, al riguardo, che l'art. 26 non impone alle parti dell'appalto - e segnatamente al datore di lavoro committente – di adempiere agli obblighi informativi, cooperativi e coordinativi anche nel confronti della ditta terza, comunque interferente”
Secondo una consolidata giurisprudenza, ha fatto notare la Corte, la cerchia dei destinatari della tutela prevenzionistica che il datore di lavoro deve apprestare include tutti i soggetti che prestano la loro opera nell'impresa, senza distinguere tra lavoratori subordinati e persone estranee all'ambito imprenditoriale. L’imprenditore assume, infatti, una posizione di garanzia in ordine alla sicurezza degli impianti non solo nei confronti dei lavoratori subordinati o dei soggetti a questi equiparati, ma altresì nel riguardi di tutti coloro che possono comunque venire a contatto o trovarsi ad operare nell'area della loro operatività per cui la posizione di garanzia sussiste anche nei confronti di coloro che, pur estranei all'ambito imprenditoriale, vengano comunque ad operare nel campo funzionale dell’imprenditore medesimo. Può quindi, ha proseguito la Corte, formularsi il principio di diritto secondo il quale "in tema di valutazione del rischio di cui alt'art, 26 d.lgs. n, 81/2008, il datore di lavoro committente deve tener conto della presenza di ditte o di lavoratori autonomi terzi operanti all'interna dell'ambiente di lavoro in concomitanza dell'espletamento dei lavori affidati in appalto”.
Infondata quindi è risultata, secondo la Corte di Cassazione, la tesi secondo la quale il dirigente non era tenuto a prendere in considerazione, nella elaborazione e nella redazione del Duvri il rischio interferente con l'esecuzione dell'appalto interno derivante dalla presenza delle ditte edili. Si trattava, infatti, di un rischio attinente all'ambiente di lavoro entro il quale si sarebbe trovata ad operare la ditta appaltatrice, in grado di generare pericoli tanto per i lavoratori dipendenti dal datore di lavoro committente che per i lavoratori della ditta appaltatrice nonché, infine, per i lavoratori dipendenti della terza ditta esecutrice.
Con riferimento infine alla posizione del coordinatore secondo il quale il PSC era completo di ogni previsione necessaria e secondo il quale la Corte di Appello avrebbe confuso le previsioni del Duvri e quelle del PSC, la Corte suprema ha fatto notare che, così come sostenuto dalla Corte distrettuale, era "rimasto sulla carta" e che la sua previsione principale consistente nella differenziazione nel tempo dei vari interventi nelle aree comuni era in realtà indeterminata perché rinviato all'effettivo avanzamento dei lavori, la necessità di sviluppare le linee guida per il coordinamento". Per tali ultimi motivi, ha così concluso la Corte di Cassazione, è risultato non scalfito l'addebito a carico del coordinatore di non aver previsto e attuato idonei accorgimenti organizzativi o tecnici.
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Rispondi Autore: Gianluca Tomei - likes: 0 | 09/03/2015 (07:47:47) |
È un grosso errore questa sentenza. |
Rispondi Autore: Gianluca Tomei - likes: 0 | 09/03/2015 (07:55:50) |
Inteso nel senso della conclusione circa l'obbligatorietà di entrambi i documenti Duvri e PSC. |
Rispondi Autore: M.M. - likes: 0 | 09/03/2015 (09:40:44) |
Nel PSC non possono essere ricompresi gli obblighi del DUVRI. La Cassazione in questo modo porta all'esasperazione chi di queste norme è obbligato ad applicarle, andando oltre i compiti che gli competono, ....sostituendosi al legislatore. |
Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0 | 09/03/2015 (23:48:22) |
Leggendo il commento (poi andrò a cercarmi il testo della sentenza) in questo caso c'erano due appalti: uno rientrante nel campo di applicazione del titolo IV (nel cui ambito lavoravano i due elettricisti) ed uno rientrante nel campo di applicazione dell'art.26. In questo caso all'interno dell'azienda ci devono essere sia un PSC che un DUVRI per il semplice motivo che gli appalti sono diversi. Nel PSC devo tenere conto anche dei rischi che le attività di cantiere "proiettano" verso l'esterno e dei rischi che dall'esterno al cantiere impattano sulle attività di cantiere. Quindi se nel PSC non mi sono preoccupato del fatto che nello stesso luogo e nello stesso tempo c'erano altre attività oltre quelle del mio cantiere e quelle del mio datore di lavoro committente (in questo caso le attività che avevano a che fare con il carroponte con appalto che non aveva nulla a che vedere con quello all'interno del quale operavano i due elettricisti), e non ho individuato le misure per gestire la situazione, allora "pago pegno". Analogamente se io come datore di lavoro committente non mi pongo il citato problema e non fornisco informazioni sull'esistenza di un appalto in titolo IV alla ditta che deve operare con il carroponte (ad esempio, per la manutenzione dello stesso) e non ho individuato le misure per gestire la situazione, allora pago pegno. Quindi va chiarito che la cassazione non ci sta dicendo che nello stesso appalto devono convivere PSC e DUVRI ma che se ci sono appalti diversi, essi devono essere gestiti ognuno con gli "strumenti di coordinamento" adeguati e che gli attori che "manovrano" questi strumenti devono far circolare le informazioni e gestire in modo coordinato le lavorazioni che vengono effettuate all'interno dei due distinti appalti tenendo conto dei reciproci impatti in termini di sicurezza. |