Subappalto: le responsabilità di cui il committente non si libera
Occorre anzitutto premettere, come ricordato dalla Suprema Corte ( Cassazione Penale, Sez.IV, 31 luglio 2018 n.36715, pronunciatasi su un caso in cui “sussisteva una catena di appalti e subappalti”), che “l’art.26 T.U. 81/2008 che disciplina la fattispecie è norma, che palesa la volontà del Legislatore di assicurare al massimo grado la tutela individuale all’interno del luogo di lavoro, con massima estensione della previsione dei soggetti in posizione di garanzia nell’attuazione delle misure di prevenzione nel distretto produttivo aziendale.”
In tale ottica, lo “scopo della norma è, invero, di tutelare tutti i soggetti che, a vario titolo, concorrono a raggiungere la finalità dell’intero ciclo produttivo attuato dall’imprenditore-datore di lavoro.”
La Corte ricorda così che “la normale diligenza e prudenza deve sempre sovrintendere alle attività imprenditoriali, e pertanto si rende necessario che un imprenditore non solo provveda alla sicurezza dei propri dipendenti, ma anche garantisca la sicurezza all’interno della propria azienda anche a chiunque fosse chiamato a lavorarvi, a qualsiasi titolo.”
Ciò ricordato, vediamo in via esemplificativa qualche caso concreto (come sempre senza la pretesa di essere esaustivi in materia) che ha applicato tali principi evidenziando che, anche in caso di subappalto, il committente conserva una specifica posizione di garanzia.
Mancata nomina dei coordinatori e verifica dell’idoneità quali cause dell’infortunio del subappaltatore: il committente non è liberato da responsabilità in virtù dell’eventuale omessa conoscenza del subappalto “riconducibile alla negligenza dell’imputato”
Con una sentenza dell’anno scorso ( Cassazione Penale, Sez.IV, 27 ottobre 2021 n.38423), la Corte ha confermato la responsabilità di G.C. (a fini civili perché, sotto il profilo penale, il reato era estinto per prescrizione), quale datore di lavoro della R. s.r.l. “per avere, quale committente di lavori di smantellamento di capannoni, provocato lesioni a G.B., il quale precipitava dall’alto, non essendo munito di alcun presidio anticaduta, con colpa consistita nella mancata nomina di un coordinatore per la sicurezza dei lavori e nella mancata verifica della idoneità tecnica della impresa incaricata, in data 19 aprile 2013.”
Ancora “più precisamente, al fine di smantellare alcuni capannoni in lamiera, ubicati su un terreno nella sua disponibilità, la R. S.r.l. ha appaltato il lavoro all’impresa C S.r.l., la quale a sua volta l’ha subappaltato all’impresa individuale di A.A., che, per portare a termine l’attività, si è avvalso dell’aiuto di G.B., suo conoscente. Quest’ultimo, durante la realizzazione dei lavori, su indicazione di A.A., salendo, privo di protezioni, sul tetto di uno dei capannoni, è caduto ed ha riportato lesioni”.
Nel confermare la responsabilità (nei termini su precisati) di G.C., la Cassazione ha dato ragione alla Corte d’Appello dal momento che, con riferimento ai motivi dedotti nel ricorso, “in ordine all’omessa verifica dell’idoneità tecnica dell’impresa incaricata, la Corte territoriale, anche richiamando le argomentazioni del giudice di primo grado, ha sottolineato che l’eventuale omessa conoscenza del subappalto dei lavori è, comunque, nel caso di specie, riconducibile alla negligenza dell’imputato, che ha sostanzialmente confermato di non aver svolto specifici controlli.”
Inoltre, “a ciò si aggiunga che la rilevanza causale dell’omessa verifica, da parte del committente, dell’idoneità tecnico professionale dell’appaltatore si ricava chiaramente dalla motivazione della sentenza di primo grado […]: una verifica accurata e responsabile avrebbe comportato la scelta di altra impresa.”
In conclusione, secondo la Corte la sentenza d’appello è da ritenersi “conforme agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, atteso che il committente non può limitarsi a “confidare” (come prospettato nel ricorso) che l’appaltatore abbia le competenze tecniche necessarie per procedere ai lavori esclusivamente sulla base dell’accettazione dell’incarico, ma è tenuto ad eseguire un controllo effettivo sulla struttura organizzativa dell’impresa incaricata e sulla sua adeguatezza rispetto alla pericolosità dell’opera commissionata - in particolare, in caso di lavori in quota, il committente deve assicurarsi dell’effettiva disponibilità, da parte dell’appaltatore, dei necessari dispositivi di sicurezza”.
In caso di mancata redazione del DUVRI da parte del committente, l’obbligo di coordinamento di appaltatori e subappaltatori “non può estendersi sino alla sostituzione dell’opera di coordinamento posta in capo al committente inadempiente”
Con un’altra sentenza dell’anno scorso ( Cassazione Penale, Sez.IV, 6 agosto 2021 n.30792), la Corte si è pronunciata sulle responsabilità di A.C., quale datore di lavoro della I.W. s.r.l. (appaltatore), il quale era stato condannato nei precedenti gradi di giudizio per lesioni colpose “per avere omesso di coordinarsi con le altre imprese presenti nel cantiere della N.S., s.r.l. proprietaria dell’imbarcazione, così non impedendo che O.D.N.F., operaio di una ditta subappaltatrice dei lavori di carpenteria, si ponesse all’opera, usando un seghetto elettrico, in un locale adiacente a quello nel quale, in precedenza, un dipendente della M.G. s.n.c., aveva svolto attività schiumatura utilizzando materiale contenente poliuretano, che a causa dell’azionamento del seghetto elettrico esplodeva, cagionando a O.D.N.F. lesioni gravi, consistite in ustioni alle braccia ed al volto.”
L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione sottolineando “che la Corte territoriale nell’affermare la responsabilità di A.C. pur riconoscendo che la I.W. s.r.l. non era la committente dei lavori e che come tale, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, non aveva l’onere di compilazione del DUVRI, questo spettando unicamente alla N.S. s.r.l., nondimeno, manca di considerare che il suo legale rappresentante, A.C., non aveva omesso di coordinarsi con le altre imprese, posto che non era stata l’attività della I.W. s.r.l. a generare il rischio dal quale era derivato l’infortunio del lavoratore, ma la M.G. s.n.c., mentre il soggetto infortunato apparteneva alla D. subappaltatrice dei lavori di carpenteria.”
Egli ha osservato che, “sinanco nel ragionamento della Corte territoriale, l’asserito inadempimento dell’obbligo di informazione da parte di C. non assume rilievo causale rispetto all’evento. Solo se la M.G. avesse comunicato il proprio intervento l’infortunio avrebbe potuto essere evitato, né l’imputato avrebbe potuto comunicare a terzi attività pericolose svolte da altri senza che lui ne fosse a conoscenza.”
La Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza d’appello agli effetti penali perché il reato era estinto per prescrizione ed ha annullato la medesima pronuncia agli effetti civili rinviando al giudice civile compente.
Secondo la Suprema Corte, infatti, “seppure la Corte territoriale abbia riconosciuto che la compilazione del DUVRI era di competenza del committente N.S. s.r.l. - che non vi aveva provveduto - nell’affermare la sussistenza dell’obbligo di cooperazione in capo agli appaltatori delle opere - e quindi anche ad A.C., quale legale rappresentante della I.W. s.r.l., cui erano affidati i lavori di carpenteria - non chiarisce quale sarebbe stata, in concreto, la condotta omessa dall’imputato, idonea ad evitare l’evento, posto che l’informazione sull’effettuazione dei lavori di schiumatura, che comportavano l’utilizzo di materiale dalla potenzialità esplosiva, non poteva che essere resa dall’impresa che vi provvedeva e cioè dalla M.G. s.n.c..”
A parere della Cassazione, “se, infatti, come correttamente premesso dalla Corte territoriale, l’obbligo di cui all’art.26, comma 3 d.lgs.81/2008 inerente alla redazione del Documento unico di valutazione dei rischi interferenziali è posto in carico al committente, per affermare la sussistenza del contributo causale dell’appaltatore, secondo la clausola di equivalenza prevista dall’art.40, comma 2, cod. pen, occorre, in primo luogo, identificare la regola condotta violata, potendosi iscrivere efficienza causale all’essere rimasto inerte, o all’avere diversamente agito, non contrastando fattori di rischio con provvedimenti adeguati, solo allorquando, il potere impeditivo dell’evento sia collegato ad un potere di organizzazione o di disposizione su situazioni potenzialmente pericolose, che sebbene possa estrinsecarsi in oneri di natura sollecitatoria o di informazione, deve comunque riferirsi alla sfera di conoscibilità e prevedibilità del garante nella specifica situazione di fatto.”
La Corte ha così avuto modo di chiarire che “il mancato assolvimento dell’obbligo di cui all’art.26, comma 3 d.lgs.81/2008 da parte del committente, invero, non esonera gli appaltatori e subappaltatori dell’opera dagli oneri di cooperazione reciproca, previsti dall’art.26, comma 2, che impongono di dare attuazione alla misure di prevenzione ‘incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto’ [lett. a)], coordinando ‘gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese’ [lett. b)].”
La Corte prosegue: “ma l’adempimento di simili prescrizioni - pur ampie - non può estendersi sino alla sostituzione dell’opera di coordinamento posta in capo al committente inadempiente, finalizzata all’eliminazione o quantomeno alla riduzione dei rischi da interferenza, potendo certamente richiedersi all’appaltatore di informare gli altri soggetti operanti nel medesimo luogo dei rischi che l’opera a loro affidata comporta e delle misure cautelative adottate per scongiurarne la realizzazione, ma non di evitare un rischio non conosciuto perché non comunicato da alcuno, né di per sé manifesto o deducibile da particolari evidenze fattuali, soprattutto quando creato da un diverso soggetto presente in cantiere, non adempiente all’onere di informare e coordinarsi con le altre imprese, tanto più se incaricato dello svolgimento di opere del tutto avulse da quella appaltata.”
In conclusione, nel caso di specie, “non può, quindi, sostenersi, come fa la Corte territoriale, che l’evento derivato dall’utilizzo di un seghetto elettrico da parte di uno dei dipendenti del subappaltatore della I.W., in un ambiente adiacente a quello in cui altra impresa aveva utilizzato una sostanza esplodente, depositatasi anche sul fondo del distinto del locale nel quale era chiamato a lavorare l’infortunato, possa essere addebitato all’imputato, laddove questi non fosse a conoscenza del pericolo, non essendo stato informato.”
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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