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Società di capitali: l’individuazione del datore di lavoro e la delega
Commento
Due i principi ribaditi dalla Corte di Cassazione in questa sentenza riferiti uno alla individuazione della posizione di garanzia e delle responsabilità in materia di salute e di sicurezza sul lavoro in seno ad una società di capitali e l’altro sui limiti della validità della delega con riferimento ai contenuti delle funzioni delegate. Il primo è quello che la stessa Corte di Cassazione ha avuto modo di stabilire in diverse precedenti sentenze e cioè quello secondo il quale nelle imprese gestite da società di capitali gli obblighi inerenti la prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro, posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione e quello secondo il quale, anche di fronte alla presenza di una eventuale delega di gestione conferita ad uno o più amministratori, specifica e comprensiva dei poteri di deliberazione e di spesa, tale situazione può ridurre la portata della posizione di garanzia gravante sugli altri componenti dl consiglio ma non escluderla integralmente perché permangono comunque i doveri da parte di questi di controllo del generale andamento della gestione dell’azienda e di intervento sostitutivo nel caso di mancato esercizio della delega.
Il secondo principio riguarda invece la effettiva validità della delega. In presenza di strutture aziendali complesse, ha infatti tenuto a rimarcare la suprema Corte, la delega di funzioni esclude la riferibilità di eventi lesivi ai deleganti se gli stessi sono risultati legati ad occasionali disfunzioni mentre, se sono invece determinate da difetti strutturali aziendali o da processi produttivi, permane la responsabilità dei vertici aziendali e quindi di tutti i componenti del consiglio di amministrazione. Se fosse vero il contrario, ha infatti messo in evidenza la suprema Corte, si violerebbe il principio del divieto di totale derogabilità della posizione di garanzia il quale prevede che pur sempre permangono a carico del delegante gli obblighi di vigilanza e di intervento sostitutivo. Anche in presenza di una delega di funzioni ad uno o più amministratori, ha aggiunto infatti la suprema Corte, la posizione di garanzia degli altri componenti del consiglio di amministrazione non viene meno, pur in presenza di una struttura aziendale complessa, per quanto riguarda le scelte aziendali sulla organizzazione delle lavorazioni di più alto livello che sono di stretta competenza del datore di lavoro.
Il fatto
Il legale rappresentante di una società per azioni è stato tratto a giudizio avanti il Tribunale per rispondere del delitto p. e p. dagli artt. 40, comma secondo, e 590, comma secondo, del codice penale perché, per colpa consistita nell'aver omesso di adottare tutti gli accorgimenti necessari per la sicurezza dei lavoratori impegnati nell'utilizzo delle attrezzature di sollevamento di carichi (fusti metallici) ed in particolare nell'avere omesso di assicurarsi che tali operazioni venissero correttamente progettate nonché adeguatamente controllate ed eseguite, in violazione dell'art. 35 comma 4 ter del D. Lgs. n. 626/1994, poneva in essere la causa delle lesioni subite da un lavoratore il quale, mentre effettuava un'operazione di sollevamento di un fusto metallico del peso di 830 Kg. senza utilizzare gli appositi accessori (denominati rane), veniva colpito al volto da una trave di legno sospinta dal peso del fusto sganciatosi improvvisamente dai sostegni e riportava lesioni personali dalle quali derivava una malattia giudicata guarita in oltre quaranta giorni, con conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni protrattasi per uguale periodo di tempo.
Il Tribunale ha riconosciuto quindi l'imputato colpevole del reato ascritto e lo ha condannato alla pena di tre mesi di reclusione, sospesa ex art. 163 del codice penale, ed al risarcimento dei danni alla parte civile da liquidarsi in separata sede. Il giudice di primo grado ha riconosciuto infatti il legale rappresentante della società come soggetto investito della qualifica di datore di lavoro, escludendo che la delega in materia di prevenzione infortuni e di igiene del lavoro conferita con una delibera assembleare ad altro componente del consiglio potesse considerarsi come vera e propria delega di funzioni idonea a trasferire gli obblighi di prevenzione e sorveglianza del datore di lavoro al delegato. Il Tribunale in merito ha osservato infatti che:
- la delega difettava del requisito di specificità in ordine ai compiti attribuiti, non preventivamente e dettagliatamente indicati;
- in essa non vi era prova della capacità tecnica del delegato;
- nella stessa non vi era alcun riferimento al potere di spesa del delegato ed alla sua piena autonomia decisionale nonché alla disponibilità di mezzi adeguati in relazione alla natura e complessità dell'incarico, disponibilità che persisteva invece in capo al rappresentante legale;
- al datore di lavoro era in ogni caso addebitabile la mancata valutazione del rischio e la negligente redazione del documento di valutazione dei rischi, attività queste dallo stesso non delegatali.
La Corte di Appello ha successivamente confermata la decisione impugnata ponendo in evidenza a sua volta che:
- la qualità di datore di lavoro, dunque non solo di legale rappresentante della società, è stata spesa dallo stesso imputato in diversi atti e documenti della società;
- in un verbale di riunione dell’assemblea dei soci nella quale era stato specificato il contenuto delle deleghe attribuite ai vari componenti del consiglio di amministrazione non è stata fatta nessuna menzione ai poteri di gestione e di spesa attribuiti al delegato essendo risultata invece l’attribuzione al delegato di un potere di generale direzione dello stabilimento che lo ha visto assumere semmai la qualità di preposto, essendo invece mantenuti dal presidente indiscussi poteri di gestione dell'impresa comprensivi degli atti di straordinaria amministrazione e senza limiti di spesa;
- non è risultato che il delegato avesse accettato la delega;
- la ridotta capacità tecnica del delegato è stato il motivo per cui lo stesso non si era avveduto del rischio insito nella movimentazione dei gusci dallo stesso progettata;
- il ruolo di responsabile del servizio di prevenzione e protezione attribuito al delegato non ha implicato comunque la sua assunzione della qualità di delegato alla sicurezza;
- la società aveva un solo stabilimento, quello presso il quale è accaduto l’infortunio dove operavano 27 dipendenti e non 40 sicché anche le dimensioni dell'impresa non consentivano di attribuire rilevanza al principio di affidamento al fine dell'esonero della responsabilità;
- la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione ed i compiti allo stesso affidati di effettuare la valutazione dei rischi e di elaborare le misure preventive e protettive e le procedure di sicurezza relative alle varie attività aziendali non hanno fatto venir meno il dovere di vigilanza e di controllo del rappresentante legale della società.
Il ricorso in Cassazione e le motivazioni
Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione il rappresentante legale della società sulla base di due motivi. Come primo lo stesso ha contestato l’attribuzione fattagli della qualifica di datore di lavoro ed il conseguente riconoscimento, a suo carico, della posizione di garanzia in relazione all'incidente occorso al dipendente. Ha messo in evidenza al riguardo che la Corte di Appello non aveva tenuto conto della organizzazione effettiva dell’azienda limitandosi invece a considerare solo quella formale in base alla quale lo stesso era stato individuato come datore di lavoro della struttura. Ad avvalorare in particolare quanto dallo stesso sostenuto, il legale rappresentante ha messo in evidenza che, al di là della regolarità o meno della delega presa in considerazione dal Tribunale, il direttore della struttura, che tra l’altro ricopriva già tale mansione da diversi anni, era anche componente del consiglio di amministrazione e che lo stesso, con una delibera dell'assemblea dei soci, era stato incaricato a sovraintendere all'attività dello stabilimento e ad accertare che i lavori fossero stati predisposti e condotti nell'osservanza delle normative in materia di infortuni e di igiene sul lavoro. Lo stesso direttore, ha sostenuto il ricorrente, era dotato, altresì, di poteri di organizzazione dello stabilimento e di poteri illimitati di spesa all'interno dell'azienda e non doveva essere previamente autorizzato dal legale rappresentante per effettuare acquisti o prendere iniziative in materia di sicurezza sul lavoro oltre ad essere stato colui che ha progettato personalmente la procedura di sollevamento dei gusci mediante le cosiddette "rane". L’imputato quindi ha aggiunto che la Corte di Appello, non tenendo conto della organizzazione di fatto presente nella gestione dell’azienda, aveva invece dato rilevanza nella sua decisione al mero dato formale della firma apposta dallo stesso sul documento di valutazione rischi.
Con il secondo motivo, l’imputato ha posto in evidenza che, in conformità con il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione in proprie precedenti sentenze, la veste sostanziale di datore di lavoro doveva essere attribuita al direttore dello stabilimento e consigliere di amministrazione. L’imputato ha fatto presente infatti che, secondo quanto affermato dalla stessa Corte di Cassazione (sentenza n. 12370 del 9/3/2005 Sez. III) “nelle persone giuridiche e segnatamente nelle società di capitali il datore di lavoro si identifica con i soggetti effettivamente titolari di poteri decisionali e di spesa all'interno dell'azienda e quindi con i vertici dell'azienda stessa, quali il presidente del consiglio d'amministrazione, l'amministratore delegato o un componente del consiglio d'amministrazione al quale siano state attribuite le relative funzioni o nel preposto ad un determinato stabilimento. Nell'eventualità di una ripartizione di funzioni e di compiti nell'ambito del consiglio d'amministrazione ai sensi dell'articolo 2381 c.c., dei fatti illeciti compiuti dall'amministratore delegato o dal preposto ad un determinato stabilimento, risponde solo quest'ultimo, salvo che gli altri amministratori abbiano dolosamente omesso di vigilare o, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli per la società o dell'inidoneità del delegato, non siano intervenuti”.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione e quindi rigettato.
“Questa Corte”, ha sostenuto la Sez. IV, “in plurime sentenze, ha già avuto modo di statuire che nelle imprese gestite da società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni ed igiene sul lavoro, posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione” ed ha aggiunto che infatti “anche di fronte alla presenza di una eventuale delega di gestione conferita ad uno o più amministratori, specifica e comprensiva dei poteri di deliberazione e spesa, tale situazione può ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita agli ulteriori componenti del consiglio, ma non escluderla interamente, poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso di mancato esercizio della delega” e “ciò in perfetta sintonia con quanto previsto dall'art. 2392 c.c., in tema di s.p.a. e vigente all'epoca dei fatti. Tale disposizione, nel prevedere che gli amministratori nella gestione della società devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo, stabilisce che anche se taluni compiti sono attribuiti ad uno o più amministratori, gli altri componenti sono solidalmente responsabili se non hanno vigilato sul generale andamento della gestione”.
In merito poi alla validità della delega in presenza di difetti strutturali o di processo dell’azienda la suprema Corte ha inoltre tenuto a precisare che “in sostanza, in presenza di strutture aziendali complesse, la delega di funzioni esclude la riferibilità di eventi lesivi ai deleganti se sono il frutto di occasionali disfunzioni; quando invece sono determinate da difetti strutturali aziendali e del processo produttivo, permane la responsabilità dei vertici aziendali e quindi di tutti i componenti del consiglio di amministrazione. Diversamente opinando, si violerebbe il principio del divieto di totale derogabilità della posizione di garanzia, il quale prevede che pur sempre a carico del delegante permangano obblighi di vigilanza ed intervento sostitutivo”.
“In definitiva”, ha quindi concluso la Sez. IV, “anche in presenza di una delega di funzioni ad uno o più amministratori (con specifiche attribuzioni in materia di igiene del lavoro), la posizione di garanzia degli altri componenti del consiglio non viene meno, pur in presenza di una struttura aziendale complessa ed organizzata, con riferimento a ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione delle lavorazioni che attingono direttamente la sfera di responsabilità del datore di lavoro”. E ciò, ha evidenziato la Corte di Cassazione, è quello che è accaduto nel caso in esame nel quale è stato riscontrato che la violazione delle disposizioni a tutela della sicurezza dei lavoratori hanno riguardato un aspetto strutturale e permanente del processo produttivo interno allo stabilimento e in particolare un momento particolarmente delicato, quale quello del sollevamento dei gusci, mai sottoposto ad adeguata attenzione e anzi neppure considerato nel documento di valutazione dei rischi. Tale violazione pertanto, in definitiva, non poteva imputarsi ad un fattore contingente e occasionale o comunque non prevedibile, ma si è rivelata talmente grave e "strutturale", da investire indubitabilmente compiti e decisioni di alto livello aziendale non delegabili e proprie di tutto il consiglio di amministrazione ed, in ogni caso, obblighi di sorveglianza e denuncia gravanti su ciascuno dei suoi componenti.
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