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Se il lavoratore infortunato ha utilizzato mezzi di fortuna

Se il lavoratore infortunato ha utilizzato mezzi di fortuna
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Sentenze commentate

18/04/2018

Una sentenza della Corte di Cassazione sul tema del comportamento abnorme. Cosa accade se un lavoratore, privo delle necessarie dotazioni antinfortunistiche, si avvale di mezzi di fortuna per assolvere agli impegni lavorativi?

Roma, 18 Apr – Non si contano le sentenze della Corte di Cassazione che affrontano, in risposta ai ricorsi presentati dagli imputati, il tema dell’imprevedibilità o dell’abnormità del comportamento dei lavoratori. E ricordiamo che, come ben spiegato e argomentato nell’interessante articolo “ Quando il comportamento del lavoratore è imprevedibile?” di Anna Guardavilla, il comportamento “imprevedibile”, “abnorme” ed “esorbitante dal processo produttivo” e dall’area di rischio posto in essere dal lavoratore è considerato tale da interrompere il nesso di causalità tra l’infortunio o la malattia professionale e la condotta di altri soggetti (datore di lavoro, dirigente, preposto, RSPP o altri..) e quindi tale da esonerarli da responsabilità.

 

Tuttavia ci sono situazioni particolari che, malgrado le tante pronunzie sul tema da parte della Cassazione, possono ancora originare dubbi su quando un comportamento si possa definire abnorme. Cosa accade ad esempio se il lavoratore, privo delle necessarie dotazioni antinfortunistiche, si avvale di mezzi di fortuna per assolvere agli impegni lavorativi? Si può definire come comportamento abnorme?



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Per rispondere a questa domanda possiamo fare riferimento ad una recente sentenza della Corte di Cassazione – la Sentenza n. 4916 del 01 febbraio 2018 – che indica come non sia né imprevedibile né eccezionale che un dipendente, privo delle necessarie attrezzature e dotazioni antinfortunistiche, si avvalga di mezzi di fortuna per assolvere agli impegni lavorativi.

 

L’evento infortunistico e il ricorso

Nella sentenza n. 4916 si indica che la Corte di Appello di Catania con sentenza pronunciata in data 5 aprile 2017 “confermava la sentenza del Tribunale di Catania che aveva ritenuto LM.A. colpevole del reato di lesioni colpose subite dal proprio dipendente M.S.S.”.

In particolare all'imputato, quale socio accomandatario della azienda datrice di lavoro, era contestato “di non avere messo a disposizione del lavoratore attrezzature adeguate per la realizzazione del compito affidato, consistente nella sistemazione di pedane in legno da accatastarsi in pile all'interno di capannone industriale, e in particolare di non avergli fornito una scala doppia auto stabile munita di piattaforma di lavoro”.

 

Inoltre contro tale pronuncia proponeva ricorso per cassazione la difesa del LM.A. articolando due motivi di ricorso:

  • un primo motivodeduceva violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui il giudice di appello aveva escluso che la condotta del lavoratore per la sua abnormità ed eccezionalità avesse interferito con la serie causale così da rappresentare la causa esclusiva dell'evento, laddove lo stesso aveva agito di propria iniziativa prevedendo ed accettando le conseguenze”;
  • un secondo motivolamentava violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art.131 bis cod.pen. stante l'occasionalità e non particolare offensività della condotta, nonché con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziario”.

 

Le indicazioni della Corte di Cassazione

La cassazione indica che “non pare cogliere nel segno il primo motivo di ricorso il quale deduce assoluta carenza motivazionale da parte del giudice di appello ma che al contrario fornisce una adeguata motivazione sull'asserita abnormità del comportamento tenuto dal lavoratore, tale da interrompere la serie causale attivata dalla condotta omissiva del datore di lavoro”.

 

A questo proposito va preliminarmente osservato – come in molte altre sentenze – il compito del giudice di legittimità, della Corte di Cassazione, è quello di “accertare (oltre che la presenza fisica della motivazione) la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, non già quello di stabilire se la stessa proponga la migliore ricostruzione dei fatti. Neppure il giudice di legittimità è tenuto a condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia coerente con una valutazione di logicità giuridica della fattispecie nell'ambito di una adeguata opinabilità di apprezzamento”.

 

E alla stregua di tali principi la sentenza impugnata “non presenta alcuno dei vizi dedotti dal ricorrente, atteso che la valutazione articolata dai giudici di merito, degli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a ritenere la responsabilità dell'Imputato”.

Quanto alla deduzione del comportamento abnorme del lavoratore, è stato evidenziato più volte che “la colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento-morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento”.

 

In questo caso non pare dubbio - e il giudice di appello ne ha dato conto in motivazione – “che sebbene il lavoratore fosse adibito a sistemare le pedane all'interno del capannone accatastandole in pile che raggiungevano l'altezza di sei metri, allo stesso non era stata messa a disposizione una scala o trabattello e che l'infortunio occorso costituiva diretta conseguenza della suddetta omissione, in quanto per provvedere all'incombente assegnato l'operaio si era issato su un muro da cui era precipitato”.

E dunque “appare del tutto congruo ed esente da vizi logici il ragionamento dei giudici di merito che hanno ritenuto né imprevedibile nè eccezionale il fatto che il dipendente, privo delle necessarie dotazioni antinfortunistiche (compreso il casco), si fosse avvalso di mezzi di fortuna per assolvere agli impegni lavorativi”.

 

Anche il secondo motivo di ricorso si presenta al pari infondato “avendo il giudice di appello, con motivazione integra e coerente sotto il profilo logico giuridico, escluso che il fatto occorso potesse essere sussunto sotto il paradigma della particolare tenuità tenuto conto del grado della colpa, della specifica violazione della disciplina infortunistica, della rilevanza delle lesioni occorse alla persona offesa e della complessiva gravità del fatto reato”. E parimenti il giudice di appello ha rappresentato, con adeguato costrutto argomentativo, le ragioni per cui ha inteso escludere il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

 

In definitiva la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4916 del 01 febbraio 2018 “rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali”.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica la sentenza da cui è tratto l’articolo:

Cassazione Penale Sez. IV – Sentenza 01 febbraio 2018, n. 4916 - Non è né imprevedibile né eccezionale che un dipendente, privo delle necessarie attrezzature e dotazioni antinfortunistiche, si avvalga di mezzi di fortuna per assolvere agli impegni lavorativi



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