Preposto di fatto: gli elementi che conducono a tale qualificazione
Una sentenza di pochi anni fa (Cassazione Penale, Sez.IV, 30 aprile 2018, n. 18677) ha inquadrato in maniera efficace il “ruolo di preposto di fatto” richiamando “l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto (Sez.4, n.50037 del 10/10/2017 Ud., Rv.271327).”
Vediamo quali sono gli elementi che caratterizzano la figura giuridica del “preposto di fatto” e le sue possibili applicazioni, attraverso la sintesi di alcune significative sentenze di Cassazione Penale (proposte come sempre senza pretese di esaustività ed in ordine cronologico, dalle più recenti alle più risalenti).
Condannato come preposto di fatto un responsabile produzione che ha dato ordini e direttive ad un lavoratore somministrato distogliendolo dalle sue mansioni ordinarie e causandogli un infortunio: l’assunzione di una “posizione di preminenza”
Con Cassazione Penale, Sez.IV, 19 aprile 2019 n.17202 la Corte ha confermato la condanna di B.A. quale responsabile di produzione di una S.r.l. per aver causato “all’operaio S.T., lavoratore interinale dislocato in via permanente presso lo stabilimento di …, quale addetto alle operazioni di colata, lesioni personali gravissime, consistite nell’amputazione del terzo medio della gamba sin”.
In particolare, si era verificato che il giorno dell’infortunio, “su disposizioni del B.A.”, il lavoratore S.T. “era stato addetto a prelevare sotto le sue direttive e alla sua presenza pezzi di lavorazione all’interno del fondo di stagionatura marca LMB con porta a ghigliottina motorizzata che era priva, perché rimossa, della barra di sicurezza in dotazione dell’impianto, atta a tenere il portello in caso di rottura della catena di sollevamento, pericolo quest’ultimo evidenziato dal costruttore nel manuale di uso della macchina”.
Di conseguenza, “mentre il lavoratore si trovava sulla linea di apertura della porta, che non si era completamente alzata, l’improvvisa caduta della catena di sollevamento, aveva fatto precipitare la pesante paratia di chiusura sulla gamba dell’operaio che rimaneva incastrata.”
L’infortunio “doveva essere attribuito al comportamento colposo di B.A. cui va riconosciuto, alla luce delle acquisizioni processuali, il ruolo operativo e organizzativo sovraordinato di preposto nonché di responsabile della produzione e a cui faceva capo una posizione di garanzia in relazione agli specifici obblighi di sicurezza sul lavoro; quel giorno aveva impartito precisi ordini all’operaio rimasto leso distogliendolo dalle sue mansioni ordinarie, quelle cioè di occuparsi della colata al fondo piccolo, ordinandogli di portarsi con lui al forno di stagionatura, in quanto aveva urgenza di soddisfare le richieste di un cliente.”
Riguardo alla qualificazione di B.A. come “preposto di fatto”, la Cassazione premette che “la previsione di cui all’art.299 D.Lgs.n.81 del 2008 (rubricata esercizio di fatto di poteri direttivi), per la quale le posizioni di garanzia gravano altresì su colui che, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati ha natura meramente ricognitiva del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite e consolidato, per il quale l’individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale.”
Pertanto - ribadisce la Corte - “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, le responsabilità del dirigente e del preposto” possono “derivare, comunque, dall’investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garanti”.
E “con riferimento proprio alla posizione di garanzia c.d. originaria del “preposto di fatto”, la Cassazione chiarisce che “il conferimento della qualifica di preposto deve essere attribuita, più che in base a formali qualificazioni giuridiche, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell’impresa. Con la conseguenza che chiunque abbia assunto, in qualsiasi modo, posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato, per ciò stesso, tenuto a norma all’osservanza ed all’attuazione delle prescritte misure di sicurezza ed al controllo del loro rispetto da parte dei singoli lavoratori.”
Nel caso di specie, “anche alla luce delle dichiarazioni del teste persona offesa risulta che “gli ordini li dava lui (B.A.), lui era il principale quello che seguiva i lavori nello stabilimento di produzione; da qualche tempo infatti (teste B.) il padre stava in ufficio e il figlio B.A. seguiva il capannone dando disposizioni ai capireparto; anzi risultava da un organigramma acquisito dalla PG che era stato indicato come responsabile della produzione. La Corte territoriale, in uno con le argomentazioni della sentenza di primo grado, logicamente e coerentemente alla luce dei riscontri probatori, attribuiva quindi al B.A. almeno la posizione di preposto se non di dirigente in quanto è pacifico che il giorno dell’infortunio diede dirette disposizioni all’operaio”.
Lo svolgimento di fatto del ruolo di caposquadra: l’autonomia e la quotidiana indicazione ai colleghi dei lavori da svolgere in virtù della “maggiore anzianità ed esperienza” che era “di fatto conosciuta e riconosciuta” dai colleghi e dai superiori
Con la sentenza Cassazione Penale, Sez.IV, 22 marzo 2018 n.13334, la Corte si è pronunciata sulle responsabilità di C.F. il quale era stato condannato in appello “perché, in qualità di preposto coordinatore della squadra di operai addetti ai lavori di manutenzione nel Comune di S., cagionava a D.M., per negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza delle norme contro infortuni sul lavoro, lesioni personali gravi”.
In particolare, “il dipendente comunale D.M. subiva un infortunio mentre era intento all’attività di potatura degli alberi su una strada comunale di S., insieme ad altro lavoratore, su incarico dato da C.F., il quale, dopo aver portato i due operai sul posto a bordo di un camion, si era allontanato.”
La sentenza precisa che “gli operai avevano con loro solamente una scala a pioli, che si apriva e si appoggiava all’albero senza avere nulla che la tenesse ferma” e che “il D.M., per procedere alla potatura, vi saliva sopra con una motosega, mentre il collega era ai piedi della scala, deputato a raccogliere i rami potati.”
Così “la scala vacillava, senza che fosse tenuta da nessuno e senza che i lavoratori fossero dotati di alcun presidio antinfortunistico (quali caschi o cinture di sicurezza) né tanto meno di una scala con cestello, ed il D.M. cadeva al suolo, provocandosi le lesioni per cui è processo.”
Era stato accertato che “il gruppo di “stradini” (così venivano chiamati gli operai addetti alla manutenzione)” risultava di fatto “dotato di particolare “autonomia”, potendosi “muovere” in base a determinate esigenze e situazioni che richiedessero il suo intervento.”
Pertanto, “in tale quadro di autonomia, un ruolo organizzativo di fatto e assai preciso veniva ricostruito in capo al C.F. Era infatti il prevenuto ad indicare ai colleghi - nel corso di appositi ritrovi la mattina presto presso il deposito dove erano custoditi gli attrezzi - i lavori da svolgere quotidianamente, ricoprendo, di fatto, il ruolo di caposquadra.”
Dunque “la sua attività non era la medesima degli altri stradini, ma consisteva anche nel ripartire le competenze degli operai e nel dislocare gli stradini nei diversi luoghi dove era necessaria l’attività lavorativa. Tale delineata situazione di preminenza, organizzativa e funzionale, era dovuta alla maggiore anzianità ed esperienza del C.F., ed era di fatto conosciuta e riconosciuta non solo dai colleghi ma anche dall’amministrazione comunale.”
La sentenza della Corte d’Appello in ogni caso è stata annullata senza rinvio in virtù dell’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Il preposto di fatto in un cantiere edile: gli elementi da cui è stata dedotta l’assunzione di fatto di questa posizione di garanzia
Concludiamo questa breve disamina con Cassazione Penale, Sez.III, 20 febbraio 2018 n.8028, che ha confermato la condanna di G.B. per omicidio colposo perché, “quale direttore tecnico e di cantiere, e dunque di preposto dall’impresa appaltatrice …, che anche a seguito del subappalto continuava a essere presente sul cantiere, […] per non essersi accertato che i lavoratori indossassero le cinture di protezione e che fosse stata ripristinata la fune di sicurezza facente parte della linea di ancoraggio, costituita da tre paletti, di cui uno era stato rimosso, cagionava la morte di K.B., che, mentre era impegnato nei lavori di bonifica di una copertura in eternit, nell’afferrare un pannello da posizionare sopra tale copertura, perdeva l’equilibrio e cadeva a terra, precipitando da una altezza di circa otto metri e decedendo sul colpo”.
La Corte d’Appello “lo ha ritenuto responsabile del reato contestatogli, in base al principio di effettività vigente in materia antinfortunistica, ai sensi dell’art.299 d.lgs.81/2008, in quanto lo stesso aveva assunto di fatto il ruolo di preposto nel cantiere”.
In particolare, “la Corte d’appello ha sottolineato che il G.B. sovraintendeva quotidianamente e personalmente alle attività, impartiva istruzioni - anche quanto alla sicurezza del lavoro - e dirigeva gli operai, ponendosi, di fatto, in posizione di garanzia antinfortunistica nei loro confronti, tanto da sollecitare continuamente l’utilizzo delle cinture di sicurezza e da ordinare al K.B., il pomeriggio antecedente l’infortunio, di riposizionare la fune d’acciaio di trattenuta che il lavoratore aveva rimosso (salvo poi non prendere provvedimenti pur avendo constato che il K. non la aveva rimessa), essendo stato informato dagli altri operai che il KB. era solito toglierla quando il G.B. non era presente.”
La Cassazione conferma dunque la qualificazione operata in appello in quanto è risultata accertata la “sistematica ingerenza da parte del ricorrente nella organizzazione del lavoro, delle condizioni in cui lo stesso veniva svolto e del rispetto delle prescrizioni antinfortunistiche, sottolineandone la presenza costante in cantiere, l’adozione di provvedimenti organizzativi e la vigilanza (rivelatasi insufficiente) sul rispetto delle norme di sicurezza e sull’utilizzo di tutti i presidi antinfortunistici”.
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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