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La responsabilità per infortunio in ambiente confinato

La responsabilità per infortunio in ambiente confinato
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

28/03/2022

Risponde il capocantiere, quale preposto, per l’infortunio occorso a un lavoratore in un ambiente confinato se non ha verificato che fosse stato sottoposto a visita medica di idoneità alla mansione e che fosse stato formato e fornito dei necessari DPI.

Riguarda questa sentenza della Corte di Cassazione l’infortunio accaduto a un lavoratore durante la sua attività in un “ ambiente confinato” e deceduto per mancanza d’aria dopo essere caduto da una altezza superiore a due metri; lo stesso è risultato sprovvisto di maschera antigas e cintura di sicurezza, benché espressamente previste dalle disposizioni di legge e dal piano operativo di sicurezza (POS), e di non essere stato formato né sottoposto a verifica di idoneità alla mansione specifica. Responsabile dell’accaduto è stato ritenuto il capocantiere che è stato condannato nei due primi gradi di giudizio. L’imputato ha ricorso alla Corte di Cassazione alla quale ha chiesto l’annullamento della sentenza di condanna invocando l’applicazione del principio di effettività di cui all’art. 299 del D. Lgs. n. 81/2008 e sostenendo altresì che al momento dell’infortunio si era dovuto allontanare momentaneamente dal luogo dell’accaduto per motivi di lavoro e che comunque al momento dell’infortunio era presente un capo squadra da lui ritenuto vice preposto di fatto.

 

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso confermando la condanna del capocantiere e ha osservato in merito, contrariamente a quanto dallo stesso sostenuto, che le funzioni di vice preposto si attivano per assenze prolungate del preposto dal cantiere e non, come nel caso particolare, momentanee e che il capo squadra, ritenuto dall’imputato suo sostituto, non aveva comunque ricevuto da lui le istruzioni e le opportune direttive onde verificare, prima dell'inizio della particolare attività lavorativa nell’ambiente confinato, che al suo interno vi fosse sufficiente aerazione ed ossigenazione, come previsto non solo dalla legge ma espressamente anche dal POS.


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Il fatto e l’iter giudiziario

La Corte di Appello ha integralmente confermata la sentenza con cui il Tribunale aveva riconosciuto un capocantiere responsabile del reato di omicidio colposo con violazione della disciplina antinfortunistica, per l’infortunio mortale accaduto a un lavoratore dipendente di una ditta appaltatrice, alla quale erano stati affidati dall’Enel i lavori di manutenzione da effettuare all'interno di una centrale elettrica, condannandolo di conseguenza, con le attenuanti generiche stimate equivalenti all'aggravante, alla pena di giustizia. Il lavoratore era precipitato a terra da un "riscaldatore d'aria" che era oggetto di manutenzione ed era deceduto dopo quindici giorni per le gravi lesioni riportate.

 

I giudici di merito avevano accertato che la vittima all'interno del riscaldatore era sì munita di casco protettivo e di maschera antipolvere ma non era fornita comunque di maschera antigas e nemmeno di cintura di sicurezza, benché tale dotazione fosse stata espressamente prescritta dal POS, una volta valutata la presenza di un rischio da "ambiente confinato", e che, dopo avere avvertito un malore a causa della mancanza d'aria, era caduta giù da un'altezza superiore a due metri. Era stato accertato anche che il lavoratore non era stato sottoposto a visita medica per valutare la sua idoneità a svolgere lavori in ambienti confinati, che non aveva altresì frequentato un corso di formazione specifico per la peculiare attività lavorativa da svolgere, che non era stato munito di tutte le dotazioni di sicurezza necessarie (maschera antigas e cintura di sicurezza) e che non era ancorato ad un punto fisso.

 

Il ricorso per cassazione e le decisioni in merito della suprema Corte

L’imputato ha ricorso per la cassazione della sentenza, tramite il proprio difensore di fiducia, e ha chiesto l’annullamento della sentenza affidandosi ad un solo, complessivo, motivo con il quale ha denunciato promiscuamente una violazione di legge, in particolare degli artt. 192, 530, comma 2, e 533 cod. proc. pen. e dell’art. 299 del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in relazione al principio di "effettività" delle mansioni. Lo stesso, premesso che nell'organigramma e nel POS del cantiere era stato sì indicato come "capo cantiere" e "preposto responsabile del processo lavorativo" ma che in esso era stato anche indicato un’altra persona come "capo squadra" e "preposto", ha evidenziato che la Corte di Appello non aveva tenuto conto che lui, al momento dell'infortunio, era legittimamente impegnato in altre incombenze lavorative e che era risultato sostituito pertanto di fatto dal capo squadra, in veste di vice capo cantiere, in possesso delle stesse sue competenze tecniche. L’imputato ha censurato, altresì, l'affermazione della Corte di Appello secondo cui il subentro di un vice-preposto sarebbe giustificato soltanto per una assenza significativa del preposto stesso (congedo, ferie, malattia od altro) e non momentanea e fatta altresì per ragioni di lavoro.

 

Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato. La stessa ha fatto presente che, secondo i giudici di merito, il ricorrente, nella sua qualifica pacificamente rivestita di capocantiere, non aveva controllato che il lavoratore fosse idoneo e preparato per l'attività rischiosa da svolgere in ambienti confinati e che fosse inoltre provvisto dei necessari mezzi di protezione individuale (mascherina con filtro specifico e cintura di sicurezza ancorata a punto fisso) la cui assenza è stata riconosciuta in diretta correlazione causale con l'infortunio mortale. Era stato inoltre specificato, ha così concluso la suprema Corte, che i dispositivi di sicurezza erano stati forniti al lavoratore dal capo squadra che non aveva però ricevute dall’imputato capocantiere le opportune direttive onde verificare, prima dell'inizio dell'attività lavorativa, che all'interno dell’ambiente confinato vi fosse sufficiente aerazione ed ossigenazione, come previsto non solo dalla legge ma anche espressamente dal POS.

 

Al rigetto del ricorso è susseguita la condanna del ricorrente da parte della Corte di Cassazione al pagamento delle spese processuali.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 8423 del 14 marzo 2022 (u.p. 12 novembre 2021) - Pres. Ciampi – Est. Cenci – Ric. V.C.. - Risponde il capocantiere, quale preposto, per l’infortunio occorso a un lavoratore in un ambiente confinato se non ha verificato che fosse stato sottoposto a visita medica di idoneità alla mansione e che fosse stato formato e fornito dei necessari dpi.




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Rispondi Autore: Fausto Pane - likes: 0
29/03/2022 (17:35:34)
Buonasera.
Continua l'attività di spargimento di 'fumus' da parte della Cassazione.
Il Datore di Lavoro del lavoratore defunto non aveva attivato la sorveglianza sanitaria, non aveva erogato la formazione necessaria, non aveva fornito i DPI necessari. Sarebbe stato da chiamare in causa, no? Quelli elencati non sono obblighi del Datore di Lavoro? Cosa centra il preposto, che non ha l'obbligo di accertarsi che il datore di lavoro abbia fatto quanto deve?
E la responsabilità del lavoratore? Mai, mai e poi mai chi agisce in modo così sconsiderato è chiamato a risponderne.
Che confusione!
saluti cari
Fausto Pane

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