Casteldaccia e gli ambienti confinati: perché avvengono gli infortuni?
Brescia, 13 Mag – In questi giorni, per cercare di raccontare qualcosa in più rispetto al gravissimo incidente avvenuto il 6 maggio a Casteldaccia, nel palermitano, che è costato la vita a diversi lavoratori impegnati in attività in un ambiente confinato come la rete fognaria, abbiamo cercato di fornire qualche informazione in più rispetto alla mera cronaca fornita dai giornali. Ad esempio, raccontando del rischio chimico e della presenza di idrogeno solforato – “ Incidente a Casteldaccia: gli ambienti confinati e i rischi chimici” – che, secondo una recente autopsia, è sicuramente una delle cause principali di questa tragedia.
Ma anche soffermandoci più in generale sugli ambienti confinati – “ Infortuni e ambienti confinati: i rischi, le criticità e gli strumenti” - sui rischi, sulla normativa cercando di fornire ai lettori utili strumenti per conoscere questi ambienti e capire quello che potrebbe essere avvenuto.
Ora è probabilmente venuto il momento di andare oltre, affidandoci alle riflessioni e indicazioni di chi questi ambienti li conosce bene.
Stiamo parlando dell’Ing. Adriano Paolo Bacchetta, uno dei principali esperti nazionali in tema di ambienti confinati, che da anni sottolinea tutte le criticità, le sfide per la salute e sicurezza, di questi luoghi di lavoro. Un interlocutore a cui ci rivolgiamo, lo abbiamo fatto anche per l’incidente di qualche anno fa a Milano in un’azienda di produzione per laminazione a freddo di nastri di alta precisione, quando serve uno sguardo attento e delle proposte fattive per prevenire o almeno ridurre i tanti infortuni mortali che continuano ad avvenire negli ambienti confinati.
Alcune domande che gli abbiamo rivolto, non solo connesse allo specifico incidente di Casteldaccia, riguardano anche la normativa vigente e l’attesa norma tecnica, sugli spazi confinati, su cui si sta lavorando da diverso tempo in Commissione UNI.
Cosa potrebbe essere successo a Casteldaccia e cosa è successo in precedenti gravi incidenti simili?
In materia di soccorso come mai ancora oggi in molte aziende manca un’adeguata preparazione o pianificazione delle possibili emergenze?
Quali sono ad oggi le criticità più evidenti e perché non si riesce a porre un argine a queste tipologie di infortuni?
Sono passati ormai più di dieci anni dall’emanazione del DPR 177. Cosa si potrebbe fare per rendere questa norma più incisiva?
A che punto siamo con la norma UNI? Su cosa inciderà? Potrà essere uno strumento utile per migliorare la prevenzione?
Su quali altri aspetti bisognerebbe intervenire per migliorare la prevenzione degli infortuni negli ambienti confinati?
L’intervista si sofferma sui seguenti argomenti:
- L’incidente di Casteldaccia: gli elementi ricorrenti e le fasi di soccorso
- Gli ambienti confinati: procedure operative e analisi degli infortuni
- Gli ambienti confinati: DPR 177, norma UNI e rete di collaborazione
L’incidente di Casteldaccia: gli elementi ricorrenti e le fasi di soccorso
Le prime domande non possono che partire dal gravissimo incidente avvenuto a Casteldaccia. Intanto mi pare che questo incidente riguardi una tipologia di ambienti confinati che anche in passato è stata teatro di vari infortuni mortali, anche in relazione alla presenza di idrogeno solforato…
Adriano Paolo Bacchetta: Come ho già avuto modo di dire in altre occasioni, non è mia abitudine esprimermi a ridosso di eventi che riguardano incidenti quale quello di Casteldaccia. Peraltro, non si può dimenticare l’incidente al depuratore di Mineo (12 giugno 2008), altro tragico evento che coinvolse sei lavoratori esposti a una concentrazione letale di idrogeno solforato.
Partendo dai pochi dati che si possono avere a distanza di pochi giorni dall’incidente e anche dall’esperienza dei tanti incidenti simili avvenuti nel passato, cosa potrebbe essere successo o cosa succede generalmente in questi casi?
A.P.B.: Non credo sia possibile basarsi solo sui primi lanci di agenzia per riuscire a definire la dinamica. Per quanto si apprende dai giornali, i lavoratori erano impegnati in un intervento di manutenzione della rete fognaria gestita da AMAP (la municipalizzata di Palermo che gestisce le condotte idriche), attività che l’azienda aveva esternalizzato.
Nello specifico, sembra che il contratto di appalto prevedesse la messa in quota dei pozzetti e la disostruzione con ausilio di autospurgo. L'aspirazione dei liquami, quindi, non credo prevedesse la necessità di ingresso e avrebbe dovuto svolgersi operando dall’esterno.
Tra le ipotesi è che qualcosa non abbia funzionato e/o, durante le operazioni di aspirazione, il tubo di aspirazione o una sonda siano rimasti incastrati. Da qui, forse, la decisione di scendere nella prima "stanza" dell'impianto fognario per cercare di risolvere il problema, con il conseguente malore dei lavoratori entrati e attivazione della “catena della solidarietà” che, in assenza di adeguate attrezzature e uno specifico piano di emergenza e salvataggio, ha trasformato la vasca in una trappola che non ha lasciato via di scampo ai lavoratori.
Detto questo, non possiamo non ricordare l’incidente di Molfetta (8 aprile 2014) a seguito del quale il titolare di una ditta di autospurghi di Bitonto e uno dei suoi figli hanno perso la vita per essere entrati all’intero della vasca interrata che avrebbero dovuto svuotare e che conteneva reflui di lavorazione. Anche in quel caso non era previsto l’accesso all’interno della vasca (dovevano solo aspirare dall’esterno) ma, per tentare di salvare un altro figlio che era entrato nella vasca per recuperate il chiusino del pozzetto che era caduto all’interno della vasca, il padre e l’altro figlio sono entrati senza protezioni, non riuscendo più a uscire. Cosa che, invece, ha potuto fare l’unico superstite della famiglia.
Eventi distanti nel tempo che però presentano elementi ricorrenti: omessa adozione delle cautele doverose atte ad evitare e scongiurare il rischio, azioni intraprese senza una adeguata individuazione dei pericoli e valutazione dei rischi, mancanza di idonee modalità operative e di gestione della fase di emergenza, cui associare anche la stessa condotta dei soccorritori che evidenzia carenze gestionali legate all'assenza di attrezzature e capacità operative.
Un tema su cui ci siamo soffermati anche in passato è poi quello dei soccorritori. Molti infortuni mortali avvengono proprio nel tentativo di soccorrere altri lavoratori in difficoltà. Come mai ancora oggi in molte aziende manca un’adeguata preparazione o pianificazione delle possibili emergenze?
A.P.B.: Premesso che, una volta verificato che non vi sono alternative all’ingresso, l’attenzione di chi si deve occupare di pianificare le operazioni deve tendenzialmente orientarsi verso la corretta progettazione dell’intervento (individuazione dei pericoli, valutazione dei rischi, scelta di dispositivi di protezione individuale, strumentazione e attrezzature di lavoro idonei alla prevenzione dei rischi propri delle attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, adozione ed efficace attuazione di procedure di lavoro specificamente dirette a eliminare o ridurre al minimo i rischi propri delle attività in ambienti confinati, ecc.) non si può trascurare il verificarsi di una potenziale situazione di emergenza che, sebbene dovrebbe essere una condizione residuale, richiede a sua volta una specifica analisi per la definizione della corretta procedura di salvataggio.
Infatti, e questo è fondamentale per garantire un intervento in sicurezza, in fase progettuale è necessario sviluppare anche un’adeguata procedura per gestire l’eventuale fase di soccorso, che comprenda anche il coordinamento con il sistema di emergenza del Servizio sanitario nazionale e dei Vigili del Fuoco.
La gestione delle fasi di soccorso, in caso di incidente occorso durante attività in spazi confinati, necessita però una specifica attenzione in modo da poter predisporre una procedura adeguata e specificatamente applicabile (quindi non è pensabile e/o possibile predisporre una procedura generica valevole e applicabile a tutti i diversi contesti operativi) allo specifico ambito in cui si è chiamati a operare. L’aggravamento generale della situazione emergenziale in caso di attività in spazi confinati avrà normalmente un andamento esponenziale e potrà pregiudicare il buon fine delle operazioni di salvataggio, oltre ad esporre i soccorritori a rischi non accettabili potendosi trasformare, loro malgrado, in vittime della situazione, diventando così parte integrante della situazione di crisi che, invece, avrebbero dovuto contribuire a risolvere.
Inoltre, quando si parla di informazione/addestramento del personale addetto al soccorso, bisogna considerare che la gestione in sicurezza delle manovre di soccorso viene determinata dal concorso di diversi fattori, ognuno dei quali riveste un ruolo fondamentale (standardizzazione, sicurezza del singolo operatore, tutela dell’infortunato, sicurezza dello scenario incidentale, attrezzature e strumentazione idonei alle specifiche esigenze e soggetti a corretta manutenzione ecc.).
Detto questo, ribadisco il fatto che l’attenzione deve essere prioritariamente diretta verso la corretta progettazione dell’intervento nei termini di cui sopra alla quale, ovviamente, va associata la definizione della eventuale fase di soccorso. Attività che, però, devono vedere impegnati tecnici in possesso di una adeguata preparazione.
Gli ambienti confinati: procedure operative e analisi degli infortuni
Veniamo ad un discorso più generale sugli ambienti confinati. Quali sono ad oggi le criticità più evidenti e perché non si riesce a porre un argine a questi infortuni?
A.P.B.: Scopo fondamentale di ogni attività di prevenzione è riuscire a evitare che gli incidenti accadano. Se comunque qualcosa non ha funzionato e, purtroppo, non è stato possibile evitare l’incidente, la cosa importante sarebbe quella di riuscire a capitalizzare l’esperienza eseguendo un’approfondita analisi degli eventi che hanno preceduto l’evento, così da individuarne le cause profonde (root causes analysis) per evitare che, in futuro, si possa verificare una situazione analoga.
Come precisa il modello “Sbagliando s’impara”, gli infortuni sul lavoro avvengono in circostanze straordinariamente varie e può essere davvero un problema cercare di ricondurre ogni singolo infortunio all’interno di un unico schema interpretativo.
Per operare questo riconoscimento, è necessario approfondire e rendere esplicita la “natura” del pericolo, dell’esposizione e del danno in ambito infortunistico, analogamente a quanto è stato fatto dall’igiene industriale e dalla medicina del lavoro per le malattie professionali, i disturbi e i disagi legati al lavoro.
L’analisi della dinamica dell’infortunio ricostruito all’interno di uno schema che renda evidenti i punti su cui intervenire con azioni prevenzionistiche mirate, dovrebbe consentire di ridurre la probabilità che abbiano a ripetersi, in futuro, infortuni con analogie strutturali con quelli già occorsi in passato. La disponibilità d’informazioni sugli incidenti storicamente verificatesi, consente di identificare i tipi di eventi probabili, le loro cause e le loro modalità di evoluzione ricorrenti. Evidentemente i limiti di questo tipo d’indagine sono essenzialmente legati al tipo e alla qualità delle informazioni raccolte (non sempre sono ben esplicitate le cause iniziatrici che hanno comportato gravi sequenze incidentali) e al numero di eventi complessivamente analizzati. Ma nel web è possibile comunque individuare informazioni utili a supportare l’elaborazione di adeguate procedure operative, da non confondersi con quanto viene purtroppo spesso predisposto (talvolta copia-incollando contributi resi disponibili da esperti del settore senza nemmeno contestualizzare i concetti applicati al contesto specifico) ricercando più la apparente conformità al disposto normativo che la reale efficacia dell’azione di prevenzione.
Una corretta ed estesa ricerca documentale tesa a dare una risposta alla domanda What Can Go Wrong in Confined Space entering?, grazie alla mole d’informazioni ricavabile da siti istituzionali e/o specializzati, risulta essere un potente strumento di supporto per l’identificazione dei pericoli – reali o potenziali - associati alle operazioni usualmente eseguite in ambienti sospetti di inquinamento o confinati e, quindi, favorisce un’efficace valutazione dei rischi e la conseguente elaborazione delle procedure di lavoro. Ricordare la dinamica dei diversi incidenti occorsi in passato, significa non solo far tesoro degli errori commessi, ma operare affinché - più che un auspicio – diventi un impegno per tutti fare sì che eventi così drammatici non si ripetano mai più.
Gli ambienti confinati: DPR 177, norma UNI e rete di collaborazione
Sono passati ormai più di dieci anni dall’emanazione del DPR 177. Cosa si potrebbe fare per rendere questa norma più incisiva?
A.P.B.: Abrogarlo e, contestualmente, introdurre nel D.Lgs. 81/08 un titolo specifico nel quale, oltre a fare chiarezza in merito alla querelle legata alla mancanza di una “definizione”, sia possibile risolvere alcuni problemi interpretativi e identificare gli adempimenti veramente necessari ai fini della tutela della salute e sicurezza degli operatori eliminando storture burocratiche quali la certificazione dei contratti.
Lei ci ha già parlato, in una precedente intervista, di una norma UNI in materia di spazi confinati. A che punto siamo con la norma? Su cosa inciderà? Potrà essere uno strumento utile per migliorare la prevenzione?
A.P.B.: Il documento elaborato nell’ambito del progetto UNI1607706 è stato in inchiesta pubblica fino al 5 gennaio u.s. e, attualmente, nel gruppo UNI/CT 042/GL 59 stiamo analizzando i commenti pervenuti e modificando di conseguenza il testo.
Si tratta di un lavoro lungo e impegnativo che sta però giungendo alle battute finali.
Ricordando che il progetto di norma ha preso le mosse dalla consapevolezza che l’entrata in vigore del DPR 177/2011 ha determinato l’osservanza di obblighi per il Datore di lavoro committente che non tengono conto delle differenti tipologie di ambienti confinati/sospetti di inquinamento esistenti (differenze di natura strutturale, impiantistica, di lavorazioni condotte al loro interno, di natura e tipologia di sostanze pericolose e in termini di correlazione o meno tra la presenza di tali sostanze e il processo di lavoro della committente). L’attività si è orientata verso la condivisione dei criteri per l'identificazione dei pericoli e la valutazione dei rischi, l'elaborazione delle procedure operative e di emergenza, la scelta delle attrezzature di lavoro e della strumentazione, i requisiti dei dispositivi di protezione collettiva e individuale, i compiti e i ruoli dei lavoratori impegnati nelle attività. Questo, facendo riferimento a quanto già presente nei documenti elaborati a livello nazionale / europeo e alla normativa internazionale.
L’auspicio è che lo schema di riferimento proposto possa essere di indirizzo per tutte le imprese che operano in questi particolari ambienti ad elevato rischio e che vorranno applicare i principi proposti nel testo della norma.
Infine, su quali altri aspetti, al di là della normativa, bisognerebbe intervenire per migliorare la prevenzione degli infortuni negli ambienti confinati?
A.P.B.: Come ho già avuto modo di spiegare anche in altre occasioni (“ Spazi confinati: quali sono gli ostacoli ad una efficace prevenzione?”), esiste una evidente difficoltà nel reperire informazioni attendibili rispetto agli eventi occorsi (per poter leggere o avere una descrizione di dettaglio della dinamica bisogna aspettare anni fino alla pronuncia della Cassazione) a differenza di quanto accade all’estero dove, ad esempio, sono pubblicati specifici factsheet elaborati dal Chemical Safety Board, dall’OSHA e altre istituzioni.
Documenti che, però, vanno alla ricerca delle cause, non alla ricerca delle colpe. E questa è una fondamentale differenza.
In questi contesti, come ho già detto, è fondamentale comprendere meglio le dinamiche, per poi andare a identificare le cause profonde degli incidenti, che possono essere di tipo organizzativo, di tipo gestionale ed anche di origine comportamentale, anche se in realtà l'errore comportamentale (al netto del comportamento volontario – violazione deliberata) dipende dall'organizzazione del contesto, nel senso che l'uomo sbaglia se viene messo nelle condizioni di poter sbagliare.
Detto questo, bisogna segnalare che purtroppo non si riesce a costruire – e questa è una cosa che ho riscontrato negli anni – una rete di collaborazione aperta tra i tecnici esperti del settore secondo i principi della “Comunità di pratica”, che possa aggregare il maggior numero di persone competenti sul tema in modo da poter condividere di più è meglio una serie di esperienze, in particolar modo riguardo le dinamiche degli accadimenti. Obiettivo che, da anni, cerco di raggiungere attraverso il mio impegno diretto nell’organizzazione dell’unico Convegno nazionale che si tiene dal 2011, la pubblicazione di articoli e contributi, la partecipazione ad eventi e/o iniziative a tema.
Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto
Scarica la normativa di riferimento:
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Rispondi Autore: raffaele giovanni - likes: 0 | 13/05/2024 (14:14:05) |
Concordo con Lei ing. Bacchetta come sempre, ma ci aggiungo qualcosa, e cioè in questi casi imporrei per legge che tutti i lavoratori debbano essere obbligatoriamente formati come primo soccorso, e poi che prima di intraprendere il lavoro effettuano una simulazione di intervento di emergenza con recupero uomo. |
Rispondi Autore: Marco C. - likes: 0 | 14/05/2024 (12:56:06) |
Ottimo intervento ing. Bacchetta! proporrei solo di dare molta più enfasi all'aspetto comportamentale e culturale che rappresentano, a mio avviso, una delle cause principali di infortunio. Pensiamo ai lavoratori che dicono: "sono vent'anni che lavoro così e non è mai successo niente" oppure che agiscono in maniera non sicura perché hanno la pressione su costi e tempi. Sono cause che non si risolvono solo con l'approccio ingegneristico puro ma eventualmente con lo "human engineering". |
Rispondi Autore: Massimo Tedone - likes: 0 | 19/05/2024 (23:51:55) |
Concordo con tutto e tutti però, a mio modesto parere manca qualcosa. Tutti parlano di DPI-DPC da migliorare e di formazione specifica e continua e queste, diciamolo sottovoce, viene più o meno rispettata ovunque, poi se è efficace si vedrà. Però qualcosa manca sempre e sono regole ferme e dure per quanto riguarda il discorso appalti. Faccio un esempio breve: Io Committente più che altro pubblico, devo eseguire un servizio o lavoro che mi costa 100 ma non ho personale. Lo devo assumere, formare, dotare di idonei dispositivi e attrezzature e materiali per fare, diciamo, un servizio semestrale e per il restante tempo?!? lo occupo in altre attività per le quali devo formarlo ecc. ecc.; quindi per fare quel servizio avrei un costo totale di circa il 90%, 10 mi rimangono come tesoretto per i bilanci di fine anno, OK ma quel personale mi rimane sul groppone per anni. Decido di indire una gara d'appalto che aggiudico a 80 (qui il mio tesoretto diventa 20), ma anche l'aggiudicatario ha più o meno la stessa percentuale di spesa, quindi 72+8. Decide di chiedere il subappalto consegnando tutta la documentazione prevista e questo viene ceduto a 60 e la storia si ripete. Morale della favola c'è qualcuno che pensa veramente che un subappaltatore rispetta perfettamente tutte le condizioni? Io non credo, mi spiace ma non ci credo |